Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21014 del 12/10/2011

Cassazione civile sez. II, 12/10/2011, (ud. 14/04/2011, dep. 12/10/2011), n.21014

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GOLDONI Umberto – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26685-2005 proposto da:

G.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA S. GIROLAMO EMILIANI 19, presso lo studio dell’avvocato

D’APICE FRANCESCO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

G.A. (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 507/2005 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 09/06/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/04/2011 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARII SAN GIORGIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con atto di citazione notificato il 12/11/1993, A. G. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Avezzano G.I., esponendo che il 22 febbraio 1971 aveva dichiarato, insieme a quest’ultima, di accettare con beneficio d’inventario l’eredità del padre G.V., mentre gli altri coeredi avevano formulato atto di rinuncia a tale eredità, e che, a seguito dell’accettazione, egli stesso e G.I. erano divenuti comproprietari di una serie di terreni. L’attore sostenne che dal momento dell’acquisto della proprietà era stato l’unico possessore di detti beni, provvedendo alla manutenzione degli stessi e all’adempimento degli obblighi tributari connessi alla proprietà, mentre I. non se ne era mai occupata, e chiese di essere riconosciuto proprietario esclusivo dei detti immobili per usucapione. Intervenuto volontariamente in causa, G.G. contestò il possesso esclusivo dei beni immobili da parte di A. e G.I., chiedendo procedersi allo scioglimento della comunione di detti beni con formazione di un progetto di divisione ed assegnazione delle quote di spettanza, e, poichè I. era rimasta contumace, ottenne termine per notificare la domanda riconvenzionale di divisione giudiziale alla predetta.

Si costituì G.I., la quale sostenne che con la rinuncia degli altri coeredi all’eredità di G.V. non si era verificato l’accrescimento delle quote spettanti a lei stessa e ad A., dovendo succedere per rappresentazione i figli all’epoca minorenni dei rinuncianti e sussistendo quindi, per lei, una carenza di legittimazione passiva per la parte eccedente la quota di un nono effettivamente ereditata; che, inoltre, si era sempre curata degli immobili in questione.

Il giudice istruttore ritenne che dovesse essere chiarita la legittimazione ad intervenire di G.G.. Questi produsse il proprio certificato di stato di famiglia e sostenne che suo figlio L. stava provvedendo all’accettazione dell’eredità di G.V. subentrando per rappresentazione al padre, ritenendo necessaria la integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i discendenti dei fratelli di A. chiamati a succedere a G.V. per rappresentazione a seguito della rinuncia all’eredità dei loro ascendenti.

A. replicò che l’accettazione dell’eredità da parte di G.L. non era stata provata, e che il diritto di accettazione doveva ritenersi proscritto ex art. 480 cod. civ..

Il giudice istruttore rinviò per l’articolazione dei mezzi istruttori. Quindi, con ordinanza del 25 novembre 1998, ammise la prova testimoniale articolata da G.A., e non invece quella articolata da G., sottolineando che il pagamento di debiti ereditari con danaro non prelevato dall’asse ereditario e in data imprecisata era comportamento non univoco, inidoneo, pertanto, a dimostrare l’accettazione tacita dell’eredità e la tempestività rispetto alla prescrizione decennale ex art. 480 cod. civ. eccepita da G.A..

G.G. propose reclamo avverso tale ordinanza, che fu respinto dal Tribunale, il quale richiamò le ragioni già addotte dal g.i. ed aggiunse che la validità della rinuncia all’eredità di G.G. era già stata implicitamente riconosciuta con sentenza del Tribunale di Roma passata in giudicato, con la quale era stata rigettata la domanda dello stesso di declaratoria di nullità della rinuncia all’eredità.

2. – Il Tribunale di Avezzano accolse la domanda di usucapione di G.A., respingendo quella di divisione giudiziale dei beni proposta da G. e G.L..

3. – Il primo impugnò la decisione, che fu confermata dalla Corte d’appello di L’Aquila con sentenza depositata il 9 giugno 2005.

Osservo il giudice di secondo grado, quanto al primo motivo di appello, con il quale si eccepiva che G.G., subito dopo la morte del de cuius, (aveva dato luogo ad un atto di accettazione dell’eredità, consistente nella designazione di A. quale successore di V. nella assegnazione di un podere dell’Ente Maremma, sicchè la successiva i rinuncia doveva considerasi tamquam non esset, che l’accettazione dell’eredità non può essere parziale, sicchè quella designazione si inquadrava proprio nella volontà di rinunzia poi formalizzata.

Sul secondo motivo, con il quale si sosteneva che i due giudizi promossi innanzi al Tribunale di Roma costituivano essi stessi atti di revoca della rinuncia, la Corte, premesso che il giudizio instaurato nel 1984 era coperto da prescrizione, osservò, quanto a quello iniziato nel 1980, che la revoca della rinunzia è sottoposta non solo ad un termine temporale, ma anche alla condizione che l’eredità non sia stata acquistata, medio tempore, da alcuno degli altri chiamati, come, invece, era accaduto nella specie. Inoltre rilevò la Corte che comunque quella scaturente dalla proposizione della domanda giudiziale del 1980 sarebbe stata pur sempre una forma di revoca non espressa, ma tacita, mentre, nei sistema delineato dagli artt. 519 e 525 cod. civ., l’atto di rinunzia deve essere rivestito di forma solenne.

3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre G.G. sulla base di due motivi. L’intimato non si è costituito in giudizio.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con la prima censura il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 475 c.c., comma 3, e art. 478 cod. civ..

Avrebbe errato la Corte di merito nel negare la inefficacia, invocata da G.G., della sua rinuncia all’eredità di cui si tratta in virtù del principio di irretrattabilità dell’accettazione. Nella specie, si era verificata un’accettazione tacita da parte sua per effetto della designazione, da lui operata unitamente agli altri coeredi di G.V., ai sensi della L. 29 maggio 1967, n. 379, art. 7 del nuovo assegnatario del podere di pertinenza dell’Ente Maremma designazione non effettuata in vita dallo stesso V., originario assegnatario – nella persona di G.A., con coevo versamento pro quota del prezzo del riscatto: tali comportamenti avrebbero la natura di. atti univocamente idonei ad esprimere una effettiva assunzione della qualità di erede, senza che alcun rilievo possa assumere in contrario la circostanza che gli stessi riguardassero un singolo cespite, atteggiandosi, rispetto all’accettazione parziale dell’eredità, il principio secondo il quale l’accettazione dell’eredità non può essere parziale nel senso che un comportamento concludente riguardante un singolo bene determina ipso iure l’acquisizione della qualità di erede con riguardo all’intero patrimonio.

2.1. – La censura non è meritevole di accoglimento.

2.2. – La Corte di merito ha, invero, correttamente inquadrato la designazione di G.A. quale assegnatario del podere dell’Ente Maremma originariamente assegnato al de cuius G. V. nella volontà di riunzia all’eredità – infatti successivamente esplicitata in un atto formale – e non al contrario di quanto auspicato dall’attuale ricorrente, in un atto di accettazione dell’eredità.

Secondo il ragionamento del giudice di secondo grado, che non risulta affetto dal denunciato vizio, posto che l’accettazione dell’eredità non può essere parziale, ostandovi il disposto dell’art. 475 c.c., comma 3, la rinuncia ai diritti successori che, se fatta a favore solo di alcuni dei chiamati, importa accettazione ai sensi della disposizione dell’art. 473 cod. civ., invocata dall’attuale ricorrente, può essere solo quella relativa all’intera eredità, e non già ad un singolo cespite della stessa: anche perchè è nulla, a norma dell’art. 520 cod. civ., la rinunzia solo per parte all’eredità.

Nè alcuna disposizione autorizza ad escludere – come vorrebbe il ricorrente – l’applicabilità del principio della nullità dell’accettazione parziale di eredità in caso di accettazione tacita, non apparendo, del resto, ragionevole che un comportamento concludente riguardante un singolo bene determini ipso iure l’acquisizione della qualità di erede.

2.3. – Infine, la Corte di merito ha richiamato la sentenza dei Tribunale di Roma depositata il 26 settembre 1987, passata in giudicato, all’epoca del giudizio di cui si tratta, che aveva riconosciuto la validità ed efficacia della formale rinuncia all’eredità da parte di Ge.Gr. in data 3 marzo 1971.

3. – Con la seconda doglianza si deduce la violazione – e falsa applicazione degli artt. 525 e 522 cod. civ.. Avrebbe errato La Corte di merito nel disconoscere la natura di revoca della rinuncia, con conseguente accettazione dell’eredità, all’azione di divisione ereditaria e di nullità per simulazione della rinuncia, in ragione sia della considerazione che l’operatività della revoca è subordinata, oltre che alla mancata prescrizione del diritto di accettare l’eredità, alla ulteriore condizione che l’eredità non sia stata acquistata da qualcuno degli altri cui la rinuncia profitti, sia della considerazione che la revoca della rinuncia deve essere altrettanto solenne della rinuncia stessa. Al riguardo, la Corte territoriale non avrebbe considerato che, in tema di devoluzione nelle successioni legittime, l’art. 522 cod. civ. stabilisce che la parte di colui che rinuncia si accresce bensì a favore di coloro che avrebbero concorso con il rinunciante, ma fatto salvo il diritto di rappresentazione. Nella specie, la parte spettante a coloro che avevano rinunciato all’eredità, tra i quali lo stesso attuale ricorrente, era stata devoluta a coloro che avrebbero potuto accettare per rappresentazione, i quali, però, non avevano esercitato tale diritto. Nulla ostava, pertanto, alla operatività della revoca della rinuncia. Quanto alla affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, dei principio secondo i. quale la revoca del a rinuncia deve essere altrettanto formale della rinuncia stessa, si rileva che, nella specie, detta formalità sussisteva, essendosi la revoca esplicitata in una citazione in giudizio, contenente la espressa volontà di far dichiarare nulla la precedente rinuncia all’eredità.

4.1. – La doglianza è infondata.

4.2. – Essa si risolve sostanzialmente nella censura della valutazione che del giudizio promosso innanzi al Tribunale di Roma nel 1980 ha operato la Corte aquilana, la quale ha argomentato in modo convincente in ordine alla ritenuta non configurabilità, nella proposizione de predetto giudizio, un atto di revoca della rinuncia all’eredità, ai sensi dell’art. 525 cod. civ., e, quindi, di accettazione della stessa.

La citata disposizione codicistica consente la revoca della rinunzia ai a duplice condizione che il diritto di accettare l’eredita non sia prescritto e che la stessa non sia stata ancora acquistata da altri, dei chiamati.

Nella specie, la Corte territoriale, rilevato che la prescrizione si era compiuta so Lo con riguardo al giudizio instaurato nel 1984, e non a quello promosso con atto di citazione del 12 dicembre 1980, si è attentamente posta, con riferimento al secondo giudizio, il problema se nella relativa domanda giudiziale potesse ravvisarsi un atto di revoca della rinunzia. Al riguardo, essa ha rilevato, per un verso, che l’eredità di cui si tratta era stata accettata da G.I. e A. per l’altro, che la proposizione della domanda del 1980 rappresentava una forma di revoca tacita, e, perciò, inidonea a determinare l’accettazione dell’eredità, alla stregua del principio di diritto, già enunciato da questa Corte, secondo il quale, nel sistema delineato dagli artt. 519 e 525 cod. civ. in tema di rinunzia all’eredità, la quale determina la perdita del diritto all’eredità ove ne sopraggiunga l’acquisto da parte degli altri chiamati, l’atto di rinunzia deve essere rivestito di forma solenne (dichiarazione resa davanti a notaio o al cancelliere e iscrizione nei registro delle successioni); con la conseguenza che della inammissibilità della revoca tacita della rinunzia (v. Cass., sent. n. 4846 del 2003).

Tale motivazione si sottrae, pertanto, ad ogni censura di violazione di Legge.

5. – Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. Non si da luogo a provvedimenti sulle spese, non avendo la parte intimata svolto attività di difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione civile, il 14 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2011

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