Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21012 del 16/10/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 21012 Anno 2015
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: VENUTI PIETRO

SENTENZA

sul ricorso 18855-2009 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio
dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2015
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DI CLEMENTE ROSSELLA;
– intimata –

sul ricorso 1069-2010 proposto da:

Data pubblicazione: 16/10/2015

.•
e

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio
dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;

nonchè contro

DI CLEMENTE ROSSELLA;
– intimata –

avverso la sentenza n. 1103/2008 della CORTE
D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 01/09/2008 R.G.
N. 366/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 09/07/2015 dal Consigliere Dott. PIETRO
VENUTI;
udito l’Avvocato ANNA BUTTAFOCO per delega verbale
ROBERTO FESSI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI, che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

– ricorrente –

R.G. n. 18855/09 e n. 1069/10
Ud. 9 luglio 2015

SVO

“MENTO DEL PROCESSO

1° settembre 2008, ha confermato la decisione di primo grado, che
aveva dichiarato la nullità del termine apposto al contratto stipulato da
Di Clemente Rossella con Poste Italiane s.p.a., disponendo il ripristino
del rapporto e la condanna della società al pagamento delle
retribuzioni a decorrere dalla data di messa in mora.
Il contratto era stato stipulato dal 5 febbraio 2001 al 31 maggio
2001, ai sensi dell’art. 25 CCNL 11/01/2001, “per esigenze di

carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi
ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul
territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero
conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie,
prodotti o servizi”.
La Corte di merito ha ritenuto, con riguardo alle esigenze di
carattere straordinario, che la censura proposta da Poste era
inammissibile perché generica; in ogni caso era infondata perché dette
esigenze non erano tali “da costituire ragioni contingenti e suscettibili
di giustificare una deroga al sistema”. Inoltre, non era stato rispettato
il limite, posto dall’art. 25 CCNL del 2001, dei lavoratori assunti a
termine rispetto a quelli in servizio in pianta stabile.
Infondata era poi l’eccezione di risoluzione del contratto per
mutuo consenso nonché quella di aliunde perceptum proposte dalla
società.
Contro questa sentenza ricorre per cassazione, con due distinti,
identici ricorsi affidati a sette motivi, Poste Italiane s.p.a. La
lavoratrice è rimasta intimata.

La Corte d’app llo dell’Aquila, con sentenza depositata in data

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MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Deve innanzitutto disporsi la riunione dei ricorsi ex art. 335
cod. proc. civ., in quanto proposti avverso la stessa sentenza.
2. Con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione
degli artt. 23 L. n. 56 del 1987 e 1362 cod. civ. nonché vizio di
con la legge anzidetta, l’autonomia sindacale non incontra limiti ed
ostacoli di sorta nella tipologia dei contratti a termine in relazione alle
ipotesi che ne legittimano la conclusione. Non sussisteva alcun limite
temporale per la operatività della deroga relativa ai contratti a termine,
come era dimostrato dagli accordi sindacali succedutisi nella vigenza
del CCNL dei dipendenti postali del 26 novembre 1994 nonché dal
CCNL dell’Il gennaio 2001 e dall’accordo del 18 gennaio 2001.
3. Con il secondo motivo, denunciando violazione e falsa
applicazione di contratti e accordi collettivi, la ricorrente deduce che
la causale indicata nel contratto (esigenze di carattere straordinario
conseguenti al processo di riorganizzazione dell’ente)

era

espressamente prevista dall’art. 25 CCNL del 2001 quale ipotesi
legittimante le assunzioni a termine. Non era pertanto necessario
indicare nel contratto il collegamento funzionale “tra l’assunzione e la
specifica realtà dell’ufficio di applicazione”.
4. Con il terzo motivo, denunciando violazione degli arti. 2697
cod. eiv., 421 e 437 cod. proc. civ. nonché vizio di motivazione, la
ricorrente assume che era a carico della lavoratrice l’onere della prova
del rispetto della percentuale dei lavoratori che potevano essere
assunti a tempo determinato. In ogni caso detta percentuale non era
stata superata e comunque, ove il giudice d’appello avesse ritenuto
insufficiente la documentazione prodotta, avrebbe dovuto disporre una
consulenza tecnica al fine di verificare il rispetto della clausola in
questione.

motivazione, deduce che, in virtù della delega conferita dal legislatore

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.?

5. Con il quarto motivo, denunciando violazione degli artt. 115
e 116 cod. proc. civ., la ricorrente deduce che, diversamente da quanto
affermato dalla sentenza impugnata, dai prospetti riepilogativi
prodotti, non contestati dalla controparte, risultava il rispetto della
quota percentuale degli assunti a termine.
6. Con il quinto motivo, denunciando violazione e falsa
rileva che la condanna, disposta dalla sentenza impugnata, al
pagamento delle retribuzioni dalla data di messa in mora non era
supportata da alcun elemento probatorio. Inoltre la lavoratrice non
aveva provato i danni subiti per effetto della nullità del termine
apposto al contratto, sicchè non aveva diritto alle retribuzioni sino a
quando non avesse offerto le prestazioni lavorative, determinando una
situazione di mora accipiendi.
7. Con il sesto motivo — erroneamente indicato quale “Secondo
motivo” — la ricorrente, denunciando violazione dell’art. 1372, commi
1 e 2, cod. civ., nonché vizio di motivazione, censura la sentenza
impugnata per avere respinto l’eccezione di risoluzione del rapporto
per mutuo consenso.
Rileva che il prolungato ritardo del lavoratore nel proporre
l’azione giudiziale (“dopo anni”) non poteva che essere interpretato
come espressione di un definitivo disinteresse a far valere la nullità
del termine apposto al contratto e, quindi, come tacito consenso alla
definitiva risoluzione del rapporto.
8. Con il settimo motivo — erroneamente indicato quale “Quarto
motivo” — la ricorrente denuncia violazione degli artt. 210 e 421 cod.
proc. civ. nonché nullità della sentenza e del procedimento.
Deduce che la Corte territoriale, in relazione all’eccezione di
aliunde perceptum, avrebbe dovuto disporre l’esibizione del libretto di

e

lavoro e delle buste paga al fine di accertare le retribuzioni percepite
dalla lavoratrice alle dipendenze di terzi. Aggiunge che l’aliunde

applicazione di norme di diritto e vizio di motivazione, la ricorrente

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perceptum non poteva che essere dedotto genericamente da essa
ricorrente.
9. Il ricorso non è fondato.
La Corte di merito ha ritenuto illegittimo il contratto per cui è
controversia sotto un duplice profilo: da un lato ha considerato
generiche le censure mosse alla sentenza di primo grado con riguardo
alla causale apposta al contratto, aggiungendo che in ogni caso esse
erano infondate perché le esigenze di carattere straordinario
conseguenti al processo di riorganizzazione dell’ente non erano tali
“da costituire ragioni contingenti e suscettibili di giustificare una
deroga al sistema”; dall’altro ha ritenuto che non era stato rispettato il
limite, posto dall’art. 25 CCNL del 2001, dei lavoratori assunti a
termine rispetto a quelli in servizio in pianta stabile.
Tale seconda statuizione — distinta ed autonoma dalla prima ed
idonea giuridicamente e logicamente a giustificare la decisione
adottata (cfr. Cass. 11 febbraio 2011 n. 3386; Cass. 3 novembre 2011
n. 22753; Cass. 29 marzo 2013 n. 7931) — va condivisa, con il
conseguente rigetto del terzo e del quarto motivo del ricorso, assorbiti
il primo e il secondo.
E’ infatti privo di fondamento l’assunto della ricorrente,
secondo cui l’onere della prova del rispetto della percentuale dei
lavoratori assunti a termine fosse a carico del lavoratore, pacifico
essendo, viceversa, che tale onere è a carico del datore di lavoro (cfr.
Cass. 13536/12, Cass. 6010/09, Cass. 839/10), mentre, sotto altro
profilo, nulla è dato evincere dai prospetti riepilogativi prodotti dalla
ricorrente unitamente al ricorso, dal momento che essi non danno
assolutamente conto del rispetto di detta percentuale.
Va pertanto confermata l’illegittimità del termink apposto al
contratto.
10. 11 quinto motivo è inammissibile.
La sentenza impugnata non affronta le questioni dedotte dalla
ricorrente con tale motivo. La ricorrente non allega di averle proposte

i

in sede di gravame né tanto meno, in violazione del principio di
autosufficienza del ricorso per cassazione, ne espone i termini. Tutto
2 l

ciò rende il motivo inammissibile.
11. 11 sesto motivo, con il quale la ricorrente censura la sentenza

a

impugnata per avere respinto l’eccezione di risoluzione del rapporto
per mutuo consenso, non è fondato.
giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un
unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto
dell’illegittima apposizione al contratto di un termine fmale ormai
scaduto, affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per
mutuo consenso è necessario che sia accertata — sulla base del lasso di
tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine
nonchè del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze
significative — una chiara e certa comune volontà delle parti medesime
di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo. L’onere di
provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi siffatta volontà grava
sul datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso
del rapporto (cfr. Cass. n. 16932/11; Cass. n. 5887/11; Cass. n.
23319/10; Cass. n. 23057/10: Cass. n. 16424/10; Cass. n. 2279/10).
E’ stato altresì precisato che, ai fini della valutazione del
comportamento concludente della parte, non è di per sé sufficiente la
mera inerzia o il semplice ritardo nell’esercizio del diritto (Cass. n.
20390/07; Cass. n. 26935/08; Cass. n. 2279/10).
La citata giurisprudenza ha infine affermato che la valutazione
del significato e della portata del complesso dei suddetti elementi
compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili
in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto.
Nella specie la Corte di merito ha fatto corretta applicazione dei
principi sopra enunciati. Ed infatti ha ritenuto che il decorso del tempo
produce effetti giuridici soltanto nelle ipotesi previste dalla legge, e
cioè ai finì della prescrizione e della decadenza, e non può essere

Questa Corte ha ripetutamente affermato al riguardo che nel

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interpretato quale rinuncia a far valere i propri diritti. Tanto più
quando, come nella specie, si tratta di lavoratore che, prima di essere
assunto, era iscritto nelle liste di collocamento.
12. Inammissibile è infme il settimo motivo.
La Corte di merito ha dichiarato inammissibile la censura
relativa all’aliunde perceptum sul rilievo che l’odierna ricorrente non
che in appello, “limitandosi ad ipotizzarne una “eventuale esistenza’.
La ricorrente, nel contestare tale affermazione, afferma che quel
giudice avrebbe dovuto disporre l’esibizione del libretto di lavoro e
delle buste paga della lavoratrice al fme di accertare le retribuzioni
percepite dopo la conclusione del rapporto, ma la censura appare fuori
luogo e non correlata alle ragioni della decisione, avendo la Corte
spiegato che nulla di specifico era stato dedotto al riguardo, onde la
censura non poteva trovare ingresso in quella sede.
13. Con la memoria ex art. 378 cod. proc. civ., la ricorrente,
nel rilevare che nel corso del giudizio è sopravvenuta la legge n.
183/10, art. 32, che ha disciplinato le conseguenze economiche in caso
di conversione del rapporto a termine, chiede che, in ogni caso, venga
applicata tale normativa.
La richiesta non può essere accolta, risultando inammissibili,
come sopra precisato, i motivi relativi alle conseguenze economiche
derivanti dalla illegittimità del temine apposto al contratto.
Al riguardo, come più volte affermato da questa Corte, per
poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia
introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto
controverso, è necessario non solo che quest’ultima sia in qualche
modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso,
in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è
limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 17974/11; Cass.
9583/11 cit; Cass. 10547/06; Cass. 4070/04), ma anche che il motivo
di ricorso che investe, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla

aveva dedotto al riguardo “alcunché di specifico” sia in primo grado

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disciplina sopravvenuta, sia ammissibile secondo la disciplina sua
propria (v., fra le altre, Cass. 80/11; Cass. 9583/11; Cass. 17974/11
Cit.).
Non sussistendo nella specie tale ultima condizione, la
normativa sopravvenuta non è applicabile.
14. In conclusione il ricorso deve essere respinto.
essendo la lavoratrice rimasta intimata.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Nulla per le spese.
Così deciso in Roma in data 9 luglio 2015.

Non v’è luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio,

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