Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21012 del 06/08/2019

Cassazione civile sez. II, 06/08/2019, (ud. 11/04/2019, dep. 06/08/2019), n.21012

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28340-2015 proposto da:

P.M.P., rappresentata e difesa dall’avvocato ROBERTO

GIOVANNI GUIDA;

– ricorrente –

contro

S.S.A., rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE

MILOTTA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 13662/2014 del TRIBUNALE di MILANO, depositata

il 08/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/04/2019 dal Consigliere VINCENZO CORRENTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

P.M.P. propone ricorso per cassazione, illustrato da memoria, contro S.S.A., che resiste con controricorso eccependo l’inammissibilità del ricorso, avverso la sentenza del Tribunale di Milano del 13.11.2014, il cui appello è stato dichiarato inammissibile con ordinanza ex art. 348 bis c.p.c. della Corte di appello di Milano, comunicata il 2.10.2015.

La causa, introdotta dalla S. che aveva premesso di aver acquistato unitamente alla convenuta in quota paritaria indivisa terreni in (OMISSIS) con accensione di un mutuo ipotecario concesso dal Credito cooperativo di Busto Garolfo e Buguggiate e di aver concesso la locazione a Total spa per il canone annuo di Euro 40.000; di aver accesso presso detto Credito cooperativo conto corrente per il pagamento delle rate di mutuo e per l’accredito del canone di locazione ma la P. aveva prelevato il 50% delle rimesse della Total senza depositare la quota di rimborso del mutuo e contestato ad essa attrice con ricorso al Giudice di Pace di essersi impossessata di Euro 20.000 ma essa S. era stata assolta dal Giudice di Pace perchè il fatto non sussiste; di aver constatato che la convenuta persisteva nel prelevare il 50% del canone anzi nel 2010 l’intero canone era stato versato sul suo conto personale mentre essa attrice continuava a farsi carico delle rate di mutuo con un credito di Euro 29.199; ciò premesso chiedeva che il Tribunale accertasse il prelievo della convenuta dal conto corrente dei canoni e l’avvenuto pagamento del mutuo da parte dell’attrice con la conseguente condanna al pagamento di Euro 29.199.

La convenuta contestava la domanda e svolgeva riconvenzionale per il rimborso del 50% della somma di Euro 60.000 pagata a titolo di caparra confirmatoria in sede di preliminare.

Il Tribunale dichiarava che l’attrice aveva sostenuto spese per il pagamento del mutuo e la convenuta aveva effettuato prelievi dal conto comune nei limiti accertati dal giudice di pace penale e condannava la P. a pagare Euro 8575 con interessi, respingendo la riconvenzionale.

Per quanto ancora interessa il Tribunale, rispetto alla tesi della convenuta di aver prelevato dal conto il 75% dei canoni per l’esistenza di soci occulti, ha ritenuto non provata tale circostanza, per il resto si è rifatto al giudicato penale.

Il ricorso si articola in tre motivi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

La ricorrente denunziano 1) nullità della sentenza e violazione degli artt. 652 e 654 c.p.p. perchè si è fatto riferimento a tre assegni relativi al processo penale senza la relativa produzione nel giudizio civile e senza dimostrazione della causale mentre in quella sede la ricorrente si era costituita parte civile contro la S. imputata di essersi appropriata di Euro 20.000; 2) nullità della sentenza resa a sorpresa per i riferimenti del giudice civile a quanto emerso in sede penale senza la produzione degli assegni nel giudizio civile; 3) violazione dell’art. 101 c.p.c. e art. 2697 c.c. perchè per il primo giudice gli assegni prodotti nel giudizio penale coprivano la metà della caparra versata e comprovavano che l’importo richiesto in via riconvenzionale era stato restituito prima del giudizio mentre essa ricorrente aveva dedotto, anche in appello, che non era stata data prova da controparte della causale.

La controricorrente eccepisce l’inammissibilità del ricorso e nel merito la sua infondatezza posto che il Giudice di Pace aveva dovuto necessariamente accertare, nel contraddittorio delle parti, l’esatta entità dei rapporti di dare ed avere.

Ciò premesso, si osserva:

Le censure, pur ammissibili, sono infondate.

In ordine ai primi due motivi, che possono trattarsi congiuntamente, stante la loro connessione, è sufficiente osservare che il Tribunale, premesso che la convenuta aveva ammesso di aver prelevato la maggior quota del 75% dei canoni per l’esistenza di soci occulti, circostanza non provata, partendo da questa confessione, si è giovato del giudicato penale, nel quale, si era accertato che non sussisteva il fatto contestato alla imputata, previa ricostruzione dei rapporti di dare avere.

Due, pertanto, sono i profili considerati dal Tribunale mentre le censure fanno riferimento solo ad uno di essi ed in modo parziale ed incompleto mentre la riconosciuta costituzione di parte civile nel processo penale fa stato rispetto a quanto accertato.

Non si ignora la giurisprudenza che limita gli effetti del giudicato penale in omaggio al principio di autonomia e separazione tra giudizio penale e civile ma ciò comporta solo che il Giudice civile deve autonomamente rivalutare, nel rispetto del contraddittorio, il fatto in contestazione, sebbene possa tenere conto di tutti gli elementi di prova acquisiti in sede penale, ripercorrendo lo stesso “iter” argomentativo del decidente (Cass. 3.7.2018 n. 17316) e ciò è stato fatto nella fattispecie sulla scorta della duplice argomentazione sopra esposta: la convenuta aveva ammesso di aver prelevato la maggior quota del 75% dei canoni per l’esistenza di soci occulti, circostanza non provata, ed in sede penale si era accertato che non sussisteva il fatto contestato alla imputata, previa ricostruzione dei rapporti di dare avere, indagine identica a quella sottoposta al giudice civile.

Quanto alla terza censura ne va osservata la genericità nel riferimento alla contestazione “anche in appello” della causale degli assegni, di cui non si contesta quindi l’esistenza per cui è inconferente il richiamo alla giurisprudenza invocata ed all’onere della prova rispetto ad una vicenda in cui è stato necessario ricostruire i rapporti di dare e avere tra le parti.

Donde il rigetto del ricorso e la condanna alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condanna la ricorrente alle spese, liquidate in Euro 4500 di cui 200 per esborsi, oltre spese forfettarie nel 15% ed accessori, dando atto dell’esistenza dei presupposti ex D.P.R. n. 115 del 2002, per il versamento dell’ulteriore contributo unificato.

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 agosto 2019

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