Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21011 del 13/09/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 21011 Anno 2013
Presidente: LUCCIOLI MARIA GABRIELLA
Relatore: CAMPANILE PIETRO

Data pubblicazione: 13/09/2013

SENTENZA

sul ricorso N. 14071-2008 proposto da:
BUTTAFUOCO FABRIZIO

domiciliato in Roma, piazza Cavour, nella Cancelleria
Civile della Corte di cassazione; rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe Buttafuoco, giusta procura speciale in calce el ricorso.
ricorrente
contro

0

20)3

‘5W
1

v

SCIFO MARIA ANTONELLA

Elettivamente domiciliata in Roma, via Vodice, n. 7,
nello studio dell’avv. Salvatore Maria Pappalardo;
rappresentata e difesa, giusta procura speciale a mar-

controricorrente

nonché sul ricorso n. 17788 – 2008 proposto da
SCIFO MARIA ANTONELLA

Come sopra rappresentata
ricorrente incidentale
contro
BUTTAFUOCO FABRIZIO
intimato

avverso la sentenza della Corte di appello di Catania,
n. 375, depositata in data 11 marzo 2008;
sentita la relazione svolta all’udienza pubblica del 6
marzo 2013 dal consigliere dott. Pietro Campanile;
sentito per il ricorrente l’avv. *Pierfrancesco Buttafuoco, munito di delega, che ha chiesto l’accoglimento
del ricorso principale e il rigetto dell’incidentale;
sentito per la controricorrente e ricorrente incidentale l’avv. Enrico Calabrese, che ha chiesto dichiararsi
l’inammissibilità

ricorso

del

l’accoglimento dell’incidentale;

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principale,

e

gine del controricorso, dall’avv. Enrico Calabrese.

udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del sostituto dott. Costantino Fucci, il quale
ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
Svolgimento del processo

Modica rigettava le domande proposte da Buttafuoco Fabrizio nei confronti della moglie Scifo Maria Antonella, da cui era consensualmente separato in forza di accordo omologato con decreto del 17 settembre 1999, tendenti alla restituzione di beni personali, dei quali la
stessa coniuge si sarebbe appropriata, nonché al risarcimento dei danni conseguenti al danneggiamento di
alcune parti della casa dell’attore, nella quale la
Scifo era rimasta, sulla base di precedenti intese, fino al 30 novembre 1999.
La Corte di appello di Catania, con la sentenza indicata in epigrafe, in parziale accoglimento dell’appello
proposto dal Buttafuoco, condannava la Scifo al pagamento della somma di C 2.000,00, comprensiva di rivalutazione monetaria e interessi, ritenendo che fosse stato adeguatamente dimostrato, sulla base delle ammissioni rese al riguardo dalla stessa appellata, il danneggiamento di un portoncino e di una cassaforte.
La questione concernente la richiesta dell’appellante
di restituzione di beni personali, rigettata dal Tribunale in quanto ritenuta sfornita di adeguato supporto

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Con sentenza in data 10 gennaio 2002 il Tribunale di

probatorio, veniva decisa in base al giuramento deferito dall’appellante ed ammesso dalla Corte di appello :
la relativa formula, interamente trascritta nella decisione in esame, riguardava la negazione che i beni ivi

versa stabilito che fossero assegnati alla Scifo in
proprietà esclusiva. Tenuto conto dell’esito del giudizio, che riguardava anche la domanda, giudicata inammissibile, di revoca della cancellazione di espressioni
ritenute offensive, venivano interamente compensate le
spese processuali.
Per la cassazione di tale decisione il Buttafuoco propone ricorso, affidato a quattro motivi, cui la Scifo
resiste con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale, sorretto da tre motivi, illustrati
da memoria.
Motivi della decisione

Preliminarmente va disposta la riunione dei procedimenti, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., essendo stati i ricorsi proposti avverso la medesima decisione.
Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia
“violazione dell’art. 360 n.3 e n. 5 c.p.c. in relazione all’art. 2649 c.c.”, sostenendosi che la corte territoriale avrebbe omesso di esaminare la questione relativa all’onere della prova circa la proprietà dei beni richiesti in restituzione, ricadente, come dedotto

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indicati appartenessero al Buttafuoco, essendosi vice-

con il primo motivo di appello, sulla Scifo. Viene formulato il seguente quesito di diritto: ” Dica l’Ecc.ma
Corte adita se la Corte di appello di Catania poteva
confermare la statuizione di rigetto della domanda di

co, senza prendere in esame il primo motivo di appello
e senza statuire sullo stesso”.
Il motivo non può essere accolto, in quanto si prospetta, in sostanza, senza per altro richiamare, nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso, i
termini nei quali la doglianza sarebbe stata dedotta in
sede di gravame, l’omesso esame della questione della
distribuzione dell’onere della prova. Il ricorrente
omette quindi di considerare che, decidendo la causa
sulla base dell’esito del giuramento decisorio deferito
dallo stesso Buttafuoco, la Corte di appello ha implicitamente quanto inequivocabilmente considerato priva
di consistenza giuridica detta questione.
Del pari infondato è il secondo motivo, con il quale si
deduce violazione degli artt. 2736 c.c., 233, 237 e 249
c.p.c., nonché vizio di motivazione. Va innanzitutto
rilevato, quanto a quest’ultimo aspetto, che non risulta formulato, in violazione dell’art. 366 bis c.p.c.,
come costantemente interpretato dalla giurisprudenza,
anche a Sezioni unite, di questa Corte (cfr., ex multis, Cass., Sez. Un., n. 20603/2007; Sez.3

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restituzione dei beni reclamati da parte del Buttafuo-

n.16002/2007; n.8897/2008), quel momento di sintesi,
omologo del quesito di diritto, che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valuta-

Invero il quesito risulta prospettato solo in merito
alle dedotte violazioni di legge, con le quali, esprimendosi riserve sulla decisorietà del giuramento, ci si
duole della omessa pronuncia in merito ai motivi concernenti la suindicata questione inerente all’onere
della prova e alla mancata ammissione dei mezzi di prova comunque al riguardo dedotti. In proposito va osservato che, se è vero che il giuramento decisorio deferito subordinatamente all’eventuale non ammissione di altri mezzi di prova richiesti può essere ammesso dal
giudice del merito solo dopo che egli abbia escluso
l’ammissibilità e la rilevanza degli altri mezzi di
prova, è altrettanto vero che tale giudizio può essere
formulato, come rilevato in relazione al primo motivo,
anche implicitamente (Cass., 11 febbraio 2005, n.
2854).
Quanto alla decisorietà del giuramento, vale bene richiamare il principio secondo cui trattasi di valutazione riservata al giudice del merito (Cass., 13 novembre 2009, n. 24025; Cass., 23 febbraio 2006, n. 4001),
sindacabile in questa sede solo sotto il profilo moti-

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zione della sua ammissibilità.

vazionale, il cui esame risulta nel caso di specie inibito dalla rilevata inammissibilità della relativa censura ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c..
Il terzo motivo, con il quale si denuncia violazione

all’omessa revoca del provvedimento con il quale era
stata disposta la cancellazione di talune espressioni,
ritenute ingiuriose, è inammissibile, dovendo trovare
applicazione il principio, costantemente affermato da
questa Corte, secondo cui, poiché la cancellazione di
frasi o parole ingiuriose contenute negli scritti difensivi è rimessa al potere discrezionale del giudice
di merito, che può disporla anche d’ufficio a norma
dell’art. 89 cod. proc. civ., l’istanza di cancellazione costituisce una mera sollecitazione per l’esercizio
dell’anzidetto potere discrezionale, di guisa che non
può formare oggetto di impugnazione l’omesso esame di
essa né l’omesso esercizio del suddetto potere (Cass.,
20 ottobre 2009, n. 22186; cfr. anche Cass., 27 febbraio 2003, n. 2954, nonché Cass., 12 agosto 2000, n.
10801).
Con il quarto motivo si deduce violazione degli artt.
92 e 96 c.p.c. : si sostiene che, essendosi l’appellata
opposta in malafede all’accoglimento del gravame,
avrebbe dovuto essere condannata al rimborso delle spe-

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dell’art. 342 c.p.c. e vizio motivazionale in relazione

se e al risarcimento del danno per responsabilità processuale.
Il primo profilo di censura è infondato.
La Corte territoriale ha proceduto alla compensazione

potere discrezionale a lei riservato e fornendo al riguardo, con riferimento al quadro normativo applicabile
“ratione temporis”, adeguata motivazione, in considerazione “dell’esito complessivo della controversia, del
parziale accoglimento dell’appello e del rilievo della
doglianza accolta rispetto a quelle respinte”.
Quanto alla censura di omessa pronuncia in merito alla
richiesta di condanna della controparte al risarcimento
del danno ai sensi dell’art. 96 c.p.c., va osservato
preliminarmente che il Buttafuoco non ha indicato, in
ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, in quali termini e con quali atti avrebbe proposto
la relativa domanda, che, per altro, non risulta inclusa nelle conclusioni trascritte nella sentenza impugnata. D’altra parte, secondo uno specifico orientamento
di questa Corte (Cass., n. 4804 del 1993; n. 3876 del
2000), la sentenza con la quale il giudice compensi le
spese di lite, indicando le circostanze che integrano i
giusti motivi per detta pronuncia, contiene una implicita esclusione dei presupposti richiesti per la condanna della parte soccombente al risarcimento dei danni

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delle spese processuali correttamente utilizzando il

per responsabilità aggravata, restando quindi sottratta
ad ogni censura non solo sotto il profilo motivazionale, ma anche in relazione al vizio di omessa pronuncia.
Passando all’esame del ricorso incidentale, con riferi-

via equitativa del danno arrecato dalla Scifo a beni
del ricorrente principale, deve preliminarmente rilevarsi che, in assenza della formulazione del momento
dal sintesi, la censura inerente al denunciato vizio
motivazionale è inammissibile.
Dovendosi ribadire l’insussistenza dell’obbligo di disporre consulenza tecnica d’ufficio, la questione inerente alla ricorrenza dei presupposti per la liquidazione equitativa del danno e all’entità della somma liquidata attiene a una valutazione di merito, non sindacabile in questa sede per la testé rilevata inammissibilità del motivo inerente al vizio motivazionale.
Valgano, quanto al secondo motivo, inerente alla cancellazione di espressione ingiuriose, i rilievi sopra
svolti, non avendo la parte, che ha denunciato unicamente il vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5,
c.p.c., formulato il quesito contenellié il c.d. “momento
di sintesi”, dovendosi ribadire, quanto al terzo motivo, inerente al regolamento delle spese processuali,
che la compensazione è il frutto di una ponderata valutazione dell’esito del giudizio, costituendo, per al-

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mento al primo motivo, relativo alla liquidazione in

tro, quanto alla Scifo, soccombente sia pure parzialmente, il risultato migliore cui potesse aspirare.
Né può trovare accoglimento l’istanza (avanzata nel
controricorso: pagg. 21 e 40) di cancellazione di

con assorbimento della conseguente domanda risarcitoria, in quanto trattasi di termini pertinenti alla questioni controverse e non esulanti dall’esercizio – implicante una negativa valutazione della condotta della
controparte, così come alla stessa attribuita – del diritto di difesa.
In conclusione, entrambi i ricorsi vanno rigettati.
Avuto riguardo alla reciproca soccombenza, va disposta
la compensazione delle spese relative al presente giudizi l di legittimità.
P. Q. M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta, dichiarando
interamente compensate fra le parti le spese processuali relative al giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
prima sezione ivile, in data 6 marzo 2013.

espressioni ritenute ingiuriose contenute nel ricorso,

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