Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21011 del 08/09/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 08/09/2017, (ud. 07/07/2017, dep.08/09/2017),  n. 21011

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17242/2016 proposto da:

(OMISSIS) SAS, in persona del legale rappresentante, elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato VINCENZO FIORILLO;

– ricorrente –

L.O., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA EUDO

GIULIOLI, 47/B/18, presso il sig. GIUSEPPE MAZZITELLI, rappresentato

e difeso dall’avvocato ANTONIO SORICE;

– controricorrente –

e contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SAS, S.P., F.S.,

I.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 88/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 17/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 07/07/2017 dal Consigliere Dott. LOREDANA NAZZICONE.

Fatto

RILEVATO

– che la parte ricorrente ha proposto ricorso, per un motivo, avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli del 17 giugno 2016, la quale ha respinto il reclamo avverso la sentenza dichiarativa del fallimento della (OMISSIS) s.a.s.;

– che il creditore istante si è costituito con controricorso;

– che è stata ravvisata la sussistenza dei presupposti per la trattazione camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.;

– che la ricorrente ha depositato la memoria.

Diritto

CONSIDERATO

– che l’unico motivo – il quale verte, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, sulla violazione dell’art. 111 Cost., art. 2697 c.c., art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4 e L. Fall., art. 15, comma 4, non avendo la decisione impugnata adeguatamente valutato il requisito dell’insolvenza – è manifestamente infondato;

– che, invero, la decisione impugnata ha accertato che: a) il credito di Euro, 113.517,77 non è stato pagato e la sede della società risulta chiusa, come verificato dal giudice di primo grado; b) la società non ha partecipato alla istruttoria prefallimentare, nè prodotto in giudizio i bilanci degli ultimi tre esercizi, che neppure risultano depositati presso il registro delle imprese; c) nessuna situazione patrimoniale aggiornata la società ha provveduto a produrre in giudizio, al fine di dimostrare l’esistenza di una diversa condizione; d) il mero elenco di alcune attività ancora sub iudice e di alcuni diritti reali immobiliari non confuta la prova della insolvenza, in quanto non dà informazione della completa situazione patrimoniale e del conto economico della società; e) il credito del creditore istante continua a rimanere insoddisfatto, sebbene ciò dipenda dal disposto della L. Fall., art. 44;

– che, in particolare, la corte territoriale ha ravvisato la sussistenza dello stato di insolvenza, di cui alla L. Fall., art. 5, in quanto, a fronte del mancato pagamento di obbligazioni, la società si è limitata ad elencare crediti ancora in corso di accertamento e diritti reali immobiliari, senza adeguata documentazione al riguardo, mentre risulta la grave situazione di illiquidità ed incapacità di far fronte alle proprie obbligazioni;

– che, in tal modo, la sentenza impugnata (con le indicate argomentazioni, restando irrilevante l’ulteriore argomento concorrente ad adiuvandum, di cui sub e) ha dato adeguatamente conto del convincimento raggiunto in ordine al presupposto fattuale dell’insolvenza: onde, da un lato, ogni pretesa di riproporre il giudizio di fatto si scontra con l’inammissibilità di una simile valutazione in sede di legittimità, e, dall’altro lato, la motivazione sussiste e non presenta mende riconducibili alla violazione del c.d. “minimo costituzionale” della motivazione, non essendo essa nè mancante, nè apparente, nè prospettando un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” o un argomentare “obiettivamente incomprensibile” (alla stregua di Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053);

– che le spese seguono la soccombenza;

– che deve provvedersi alla dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.

Dichiara che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 8 settembre 2017

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