Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21006 del 06/08/2019

Cassazione civile sez. II, 06/08/2019, (ud. 01/04/2019, dep. 06/08/2019), n.21006

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10791-2015 proposto da:

M.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI 55,

presso lo studio dell’avvocato ALBERTO LINGUITI, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANTONELLA GIORDANO;

– ricorrente –

contro

T.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G AVEZZANA

51, presso lo studio dell’avvocato EUGENIO ZOPPIS, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato RICCARDO PRANDI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 112/2014 del TRIBUNALE di ASTI, depositata il

28/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

01/04/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO.

Fatto

RITENUTO

che:

M.B. chiamava in giudizio davanti al Tribunale di Asti T.S. per il pagamento di onorari professionali per la stesura completa di un Progetto P.E.C. (piano esecutivo convenzionato).

Costituitosi, il convenuto contestava la pretesa, eccependo, fra gli altri motivi, che la prestazione di cui l’attore aveva chiesto il pagamento esulava dalla competenza dei geometri.

Il tribunale rigettava la domanda, ritenendo che non fosse stata data la prova del credito.

Il M. proponeva appello, che la corte dichiarava inammissibile ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c., in assenza di ragionevole probabilità di accoglimento.

La corte considerava separatamente i motivi di appello riguardanti il progetto P.E.C. e i motivi riguardanti le altre prestazioni, osservando:

– quanto ai primi che la relativa attività rientrava nella competenza riservata degli ingegneri e architetti, con conseguente nullità dell’incarico conferito a professionista non iscritto, nullità rilevabile d’ufficio;

– quanto ai secondi che non era stato prodotto alcun documento che provasse l’effettivo compimento delle prestazioni oggetto della pretesa.

Il M. ha proposto ricorso per cassazione contro l’ordinanza e la sentenza di primo grado affidato a cinque motivi.

Il T. ha resistito con controricorso.

Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Il ricorso è inammissibile, per essere carente del requisito della sommaria esposizione dei fatti di causa.

Il ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado, previsto dall’art. 348-ter c.p.c., comma 3, ha natura ordinaria e, in quanto tale, deve contenere, a pena di inammissibilità, “l’esposizione sommaria dei fatti di causa”, prevista al n. 3) dell’art. 366 c.p.c., da intendersi come esposizione dei fatti sostanziali oggetto della controversia e di quelli processuali relativi al giudizio di primo e di secondo grado, e dunque le domande ed eccezioni proposte innanzi al giudice di prime cure e non accolte o rimaste assorbite, oltre agli elementi che evidenzino la tempestività dell’appello e i motivi su cui esso era fondato (Cass. n. 19060/2016; Cass. n. 6140/2015).

In difformità da tali regole, il ricorrente, dopo aver descritto le vicende del giudizio di primo grado, riporta esclusivamente, alla fine di pag. 2 e all’inizio di pag. 3 del ricorso, solo il dispositivo della sentenza del tribunale, mentre omette la sintesi degli argomenti usati dal primo giudice al fine di giustificare la decisione.

Analoga genericità si riscontra con riferimento ai motivi d’appello, la cui illustrazione si esaurisce in un generico richiamo degli argomenti spesi davanti al giudice dell’impugnazione.

Le carenze sopra segnalate non possono dirsi supplite dai richiami operati nella esposizione dei singoli motivi di ricorso per cassazione, dove sono trascritti i passaggi motivazionali oggetto delle singole censure.

Tale scelta, infatti, non soddisfa il requisito richiesto dall’art. 366 c.p.c. n. 3 cit., perchè la trascrizione frammentaria di singoli passaggi della sentenza impugnata non consente di aver una visione chiara, completa e unitaria delle ragioni del decidere.

E’ poi del tutto omessa la necessaria correlazione fra il singolo passaggio motivazionale trascritto e i motivi d’appello (Cass. n. 21750/2016), per cui non si riesce neanche a stabilire l’identità fra le questioni oggetto del ricorso e motivi d’appello (identità che condiziona l’ammissibilità del ricorso per cassazione ex art. 348-ter c.p.c.: “nel caso in cui l’appello sia stato dichiarato inammissibile ex art. 348-ter c.p.c., il ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado può essere proposto entro i limiti delle questioni già sollevate con l’atto di appello e di quelle riproposte ex art. 346 c.p.c., senza che possa assumere rilievo la diversa formulazione dei motivi, che trova giustificazione nella natura del ricorso per cassazione, quale mezzo di impugnazione a critica vincolata, proponibile esclusivamente per i vizi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, non comportando la dichiarazione di inammissibilità dell’appello sostanziali modificazioni nel giudizio di legittimità, fatta eccezione per la necessità che l’impugnazione sia rivolta direttamente contro la sentenza di primo grado e per l’esclusione della deducibilità del vizio di motivazione: Cass. n. 23320/2018)”.

I motivi, a loro volta, incorrono in autonome ragioni di inammissibilità.

Il primo motivo – violazione del contratto di conferimento dell’incarico ed erronea applicazione delle normative sulla nullità del contratto avente ad oggetto prestazioni riservate – perchè diretto contro l’ordinanza ai sensi dell’art. 348-bis fuori dai casi in cui ciò è consentito secondo la giurisprudenza di questa Corte, che ne consente l’autonoma impugnazione solo per vizi processuali (Cass., S.U., n. 1914/2016).

Il secondo motivo – violazione dell’art. 115 c.p.c. – perchè si denuncia la mancata applicazione del principio di non contestazione in termini generici, là dove “il motivo di ricorso per cassazione con il quale si intenda denunciare l’omessa considerazione, nella sentenza impugnata, della prova derivante dalla assenza di contestazioni della controparte su una determinata circostanza, deve indicare specificamente il contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori atti difensivi, evidenziando in modo puntuale la genericità o l’eventuale totale assenza di contestazioni sul punto” (Cass. n. 12840/2017).

Il terzo motivo – violazione del principio jura novit curia e mancata applicazione dell’art. 2233 c.c. – perchè, già da ciò che si comprende in base alla frammentaria trascrizione della decisione di primo grado, la censura è rivolta contro una argomentazione inserita nell’ambito di una valutazione globale volta a fare emergere una complessiva carenza probatoria (mentre la censura avrebbe avuto un senso se il giudice, dopo avere riconosciuto la pretesa nell’an, l’avesse poi rigettato solo perchè il professionista non aveva provato la misura del compenso).

Il quarto motivo – erronea applicazione della L. n. 144 del 1940 – perchè riguarda un aspetto di cui non si coglie il nesso con la sentenza di primo grado, nè si comprende se la questione fu proposta con i motivi d’appello (v. supra).

E’ del pari inammissibile il quinto motivo, perchè non contiene alcuna critica della sentenza: con esso si deduce infatti che il giudice se avesse deciso correttamente riconoscendo il diritto al compenso, avrebbe dovuto accordare anche il rimborso delle spese.

Lo stesso dicasi del sesto motivo: necessità del rinvio al giudice di merito per rimessione in istruttoria.

Il motivo, infatti, non contiene alcuna censura, ma vuole pleonasticamente ribadire dire che la sentenza è ingiusta e che il ricorso contro di essa è fondato, conseguendone da ciò la necessità che la causa sia istruita.

In conclusione il ricorso è dichiarato inammissibile con addebito di spese.

Sussistono i presupposti dell’obbligo del versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge;

dichiara ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 1 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 agosto 2019

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