Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 21003 del 06/08/2019

Cassazione civile sez. II, 06/08/2019, (ud. 15/03/2019, dep. 06/08/2019), n.21003

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25838-2015 proposto da:

C.C., elettivamente domiciliata in ROMA, C.SO VITTORIO

EMANUELE II 269, presso lo studio dell’avvocato ROMANO VACCARELLA,

che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

CA.SE., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F

CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato LUIGI MANZI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato BRUNO BAREL;

– controricorrente –

e contro

COMPRENSORIO TERRA MARE DI LEGNANO SABBIADORO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 651/2014 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 31/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/03/2019 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato VACCARELLA Romano, difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato MANZI Federica con delega depositata in udienza

dell’avvocato MANZI Luigi, difensore del resistente che ha chiesto

il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

C.C. con atto di citazione del giugno del 2006, premesso di essere proprietaria di una unità abitativa sita nel Comprensorio Terra Mare di Lignano Sabbiadoro, costituito in Condominio complesso, e composto da immobili condominiali e da singole unità immobiliari affiancate le une alle altre con accessi indipendenti dalla pubblica via – chiedeva la condanna di Ca.Se., proprietario di altra unità immobiliare facente parte del medesimo Comprensorio, alla remissione in pristino stato di detta unità mediante demolizione di una sopraelevazione dallo stesso realizzata sul proprio terrazzo in violazione della servitù di sopraelevare gravante sulle unità abitative dell’intero complesso.

A sostegno della domanda, allegava che le unità immobiliari del Comprensorio, in quanto “realizzate nell’ambito di un unitario programma costruttivo, sono tenute all’osservanza di una serie di vincoli, preordinati a mantenere l’iniziale ed unitaria configurazione architettonica ed estetica nonchè gestionale, tra i quali quello di natura sicuramente reale rappresentato dalla servitù di non sopraelevazione, espressamente costituita, e come trascritta, nel primo atto di vendita di ciascuna unità immobiliare (e quindi anche di quella del convenuto sig. Ca.) dalla Adriatica Turistica S.p.A., società costruttrice ed originaria proprietaria di tutti gli immobili del Comprensorio (….) ai singoli successivi proprietari”.

Nel giudizio veniva citato anche il Comprensorio Terra Mare in persona dell’amministratore, che, ritualmente costituito, eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva. Il Ca. si costituiva chiedendo il rigetto della domanda.

Nel giudizio veniva espletata CTU descrittiva, per accertare le caratteristiche della sopraelevazione anche in relazione al suo impatto estetico sull’intero complesso.

Il Tribunale di Udine, con sentenza, n. 1171 del 2011, dichiarava il difetto di legittimazione del Consorzio e rigettava la domanda proposta dalla C. nei confronti del Ca. rilevando: che la servitù convenzionale, come pattuita dall’originario costruttore recepita nel successivo atto di acquisto stipulato dal convenuto, non impediva qualsiasi limitazione ma limitava soltanto tale facoltà, mediante il richiamo a un criterio estetico più esteso di quello di cui all’art. 1127 c.c., comma 2, poichè comprendeva anche l’uniformità architettonica dell’intero gruppo di fabbricati considerato nell’atto; che tale limite, nel caso di specie, non era stato violato, come accertato dal CTU e visibile nelle foto allegate alla sua relazione.

Avverso tal decisione, proponeva impugnazione l’attrice, limitatamente al capo che rigettava la propria domanda.

Ritualmente citati si sono costituiti entrambi gli appellati: il Ca. ha chiesto il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza appellata; il Consorzio ha invece chiesto declaratoria di inammissibilità dell’appello, con rifusione delle spese, non essendo stati impugnati i capi della sentenza che lo riguardavano direttamente (declaratoria di difetto di legittimazione passiva e condanna alle spese) che pertanto erano passati in giudicato.

La Corte di Appello di Trieste, con sentenza n.. 651 del 2014 rigettava l’appello e condannava l’appellante al pagamento delle spese del giudizio, compensava le spese tra Comprensorio e C.. Secondo la Corte di Trieste, considerato che il Comprensorio non aveva alcun interesse di costituirsi non dovendo proporre appello incidentale contro i capi di sentenza ad esso favorevoli appariva destituita la richiesta di declaratoria di inammissibilità dell’appello e la stessa domanda di rifusione delle spese del giudizio. Per tali ragioni le spese relative al rapporto tra Comprensorio e C. andavano compensate. Correttamente il Tribunale aveva interpretato la clausola del Regolamento relativo al divieto di sopraelevazione e dunque andava confermata.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da C. con ricorso affidato a due motivi. Ca.Se. ha resistito con controricorso, illustrato con memoria. Comprensorio Terra Mare in questa fase è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.= Con il primo motivo di ricorso C.C. lamenta la violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 degli artt. 1027, 1028, 1058, 1063, 1064 c.c., art. 1067c.c., comma 2, art. 1074c.c. e art. 1362c.c. e segg. e art. 132 c.p.c., n. 4 nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ovvero nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4. Secondo il ricorrente la Corte nel ritenere che la costruzione realizzata (copertura del terrazzo) da Ca. non violava la servitù altius non tollendi perchè questa era limitata a far rispettare l’uniformità architettonico non avrebbe tenuto conto dell’assolutezza del diritto di servitù, che ove violata non tollera una indagine sulla sussistenza di un pregiudizio effettivo del fondo dominate. Pertanto, ritine il ricorrente, sarebbe certamente erronea la decisione impugnata nella parte in cui avrebbe rigettato la domanda mancando in concreto un pregiudizio all’uniformità architettonica e all’estetica del comprensorio.

1.1. = Il motivo è infondato non solo perchè si risolve nella richiesta di una diversa interpretazione di una clausola contrattuale, attività riservata al Giudice del merito, non censurabile nel giudizio di cassazione se rispetta, come nel caso in esame, i canoni interpretativi di cui agli artt. 1362 c.c., ma, soprattutto, perchè, il diritto di servitù altius non tollendi per quanto diritto assoluto può avere, come nel caso in esame, un contenuto specifico, il rispetto di una uniformità architettonica.

Giova ricordare che ai sensi dell’art. 1027 c.c. “La servitù prediale consiste nel peso imposto sopra un fondo per l’utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario”. Il successivo art. 1028 c.c. completando la norma appena citata, afferma che “l’utilità può consistere anche nella maggiore comodità o amenità del fondo dominante. Può del pari essere inerente alla destinazione industriale del fondo”. Come emerge con chiarezza, sin dalla lettura della normativa richiamata, il diritto di servitù, nel suo costituirsi, può essere ben circostanziato nella sua utilitas, cioè, le parti possono assegnare al diritto di servitù, che intendono costituire, una specifica funzione rispondente all’utilità che il fondo servente dovrà assicurare al fondo dominante. Sicchè, in via di principio, la servitù altius non tollendi è perfettamente compatibile con, o in modo più esplicito può alla stessa assegnarsi, un’utilità di tipo architettonico. Nei limitati confini dell’utilità individuata, ovviamente, il diritto di servitù risponderà alle sue caratteristiche di realità e di assolutezza.

E, ad ogni buon conto, va qui richiamato e confermato, il principio già indicato da questa Corte secondo cui: “L’indagine sulla sussistenza, ad opera del proprietario del fondo servente, di atti di violazione o turbativa della servitù va condotta con riferimento all’estensione ed alle modalità di esercizio della servitù medesima, come fissate dal titolo costitutivo, e, pertanto, deve tenere conto anche delle specificazioni che tale titolo contenga in ordine alla “utilitas”, ove le stesse non abbiano mero valore indicativo, ma valgano a qualificare e delimitare il diritto (Cass. n. 3942 del 1991).

La Corte distrettuale ha pienamente rispettato questi principi avendo precisato: “(…) nella clausola costitutiva del vincolo reale, il requisito dell’utilitas della servitù in esame si identifica nella salvaguardia dell’uniformità architettonica e nell’estetica dell’intero complesso residenziale, con la conseguenza che “entro certi limiti va circoscritta sia la relativa estensione sia la modalità di esercizio” (….) ai sensi dell’art. 1063 c.c. l’estensione e l’esercizio della servitù sono regolati dal titolo (e solo in mancanza dalla disposizioni codicistiche) con il titolo costitutivo le parti nell’esercizio della loro autonomia contrattuale, ben possono individuare l’utilitas e circoscrivere in rapporto ad essa ed entro ambiti più ristretti l’estensione della servitù (….) (pag. 8 della sentenza impugnata).

2.= Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 degli artt. 1027, 1028, 1058, 1063, 1064 c.c., art. 1067c.c., comma 2, art. 1074c.c. e art. 1362c.c. e segg. e art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4 nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ovvero nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4. Secondo il ricorrente la Corte distrettuale non avrebbe ricostruito correttamente la comune intenzione delle parti e di aver omesso di motivare la decisione di attribuire natura tassativa anzichè meramente esemplificativa all’utilitas esteriorizzata dalle parti.

2.1. = Anche questa censura, pur tenendo in disparte la considerazione che tale motivo cumula più vizi (art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5) non ha ragion d’essere e non coglie nel segno.

Va qui ribadito che l’attività finalizzata a determinare una realtà storica ed obiettiva quale è la volontà delle parti contrattuali è una tipica attività di accertamento in fatto istituzionalmente riservata al Giudice del merito e censurabile in cassazione solo e nell’ipotesi in cui il Giudice del merito abbia violato uno dei canoni, o i canoni, interpretativi di cui agli artt. 1362 c.c. e ss. oppure abbia applicato in modo scorretto quei canoni se tale risulta dalla motivazione della sentenza. Certo quanto sopra, è anche pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data del giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, sì che quando di una clausola contrattuale siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto la interpretazione poi disattesa dal giudice del merito, dolersi in sede di legittimità che sia stata privilegiata l’altra (Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass. 14 novembre 2003, n. 17248).

Nel caso specifico, parte ricorrente si limita – in concreto – ad opporre, all’interpretazione del contratto inter partes data dai giudici del merito la propria soggettiva lettura di quello stesso contratto ed è evidente – quindi – che il motivo non può trovare accoglimento.

Piuttosto, correttamente la Corte distrettuale “(….) partendo dalla premessa, suggerita dal chiaro tenore letterale del titolo, la servitù era stata costituita, nei termini fissati dalle parti, per consentire il mantenimento dell’uniformità architettonica di tutti gli edifici che compongono il complesso, risulta accertato che tali finalità (qualificanti l’utilitas e costituenti misura e regola dell’esercizio e dell’estensione della servitù) non sono state compromesse dalla sopraelevazione. Nella fattispecie risulta infatti che il convenuto, avendo subito infiltrazioni di acqua dal terrazzo di copertura della, propria abitazione, l’aveva modificato innalzando le murature perimetrali al fine di creare un volume sottotetto agibile e non abitabile (soffitta) e posandovi un tetto analogo a quelli limitrofi, di cui aveva mantenuto le stesse linee e le stesse soluzioni estetiche (…)”.

In definitiva, il ricorso va rigettato. La ricorrente va condannata a rimborsare alla parte controricorrente le spese del presente giudizio che vengono liquidate con il dispositivo. Il Collegio dà atto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare alla parte controricorrente, le spese del presente giudizio di cassazione che liquida, in Euro 6.000,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% del compenso ed accessori come per legge; dà atto che, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile di questa Corte di Cassazione, il 15 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 agosto 2019

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