Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 210 del 11/01/2010

Cassazione civile sez. lav., 11/01/2010, (ud. 11/11/2009, dep. 11/01/2010), n.210

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 17841-2006 proposto da:

F.C.V.2. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI LUCIANI 1, presso lo

studio dell’avvocato MANCA BITTI DANIELE, rappresentata e difesa

dall’avvocato LUCIANO GIOVANNI BATTISTA, giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrenti –

contro

A.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO

CESARE 14, presso lo studio dell’avvocato SIPALA ALDO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato VIRDIS VALERIA, giusta

delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 56/2006 della SEZ. DIST. CORTE D’APPELLO di

SASSARI, depositata il 20/02/2006 R.G.N. 127/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/11/2009 dal Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La F.C.V.2 srl, in persona del suo legale rappresentante C. M., chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’Appello di Cagliari, pubblicata il 20 febbraio 2006, che, in riforma della sentenza del Tribunale di Tempio Pausania, aveva accolto il ricorso di A.N., dichiarando nullo il licenziamento verbale da questi subito e condannando la società ricorrente a corrispondergli le retribuzioni perse, detratto l’aliunde perceptum.

Il ricorso è articolato in due motivi.

A.N. ha depositato controricorso con il quale chiede il rigetto dell’impugnazione.

Con il primo motivo di ricorso si denunzia un vizio di motivazione:

la contraddittorietà della sentenza per il fatto che posta la premessa della possibile inquadrabilità del rapporto tanto nella fattispecie astratta del lavoro subordinatocene in quella del lavoro autonomo, la Corte ha poi scelto la prima soluzione “senza aver dato conto del motivo per il quale ha operato tale scelta”. A ciò si aggiunge che la Corte avrebbe a tal fine considerato comportamenti della società successivi alla estinzione del rapporto.

Non vi è alcuna contraddittorietà nel ragionamento della Corte, sotto nessun profilo. E’ lineare affermare che anche questo rapporto come molti altri può essere valutato come subordinato o autonomo a seconda del quadro indiziario che lo connota. Non è vero che la Corte ha poi scelto una delle due opzioni senza dare conto delle ragioni per cui l’ha fatto e degli elementi su cui ha basato il suo giudizio. Il fatto, infine, che alcuni di questi elementi siano successivi alla formulazione delle rivendicazioni da parte dell’ A. non altera la linearità del ragionamento, sia perchè si tratta solo di alcuni dei molteplici elementi specificati ed esaminati dalla Corte, sia perchè il comportamento aziendale consistente nella regolarizzazione del rapporto e nella denunzia all’INPS, sebbene successivo alla rivendicazione, è comunque rilevante ai fini della decisione ed ha sicuramente un inequivoco ruolo indiziario.

La seconda parte del primo motivo ed il secondo motivo concernono la tesi, condivisa dal giudice di primo grado, per cui il rapporto di lavoro si sarebbe instaurato non con la società ma con un falsus procurator. Se ne trae la conclusione che la Corte d’Appello, nel giudicare diversamente dal tribunale di Tempio Pausania, avrebbe violato gli artt. 1398 e 1399 c.c.. Anche questa impugnazione è priva di fondamento. La Corte spiega puntualmente perchè il rapporto sia imputabile alla società. Le ragioni esposte sono molteplici, univoche e convergenti: l’ A. ha utilizzato mezzi aziendali; era presente nel cantiere della società, dove gli venivano affidati i camion, il materiale da consegnare e la documentazione da far firmare; C.M. (indicato come falsus procurator) è nipote dell’amministratore unico della società ed è dipendente della medesima: è la persona che firmò la dichiarazione con la quale veniva liquidata la prestazione all’ A. e gli venivano restituiti i documenti di lavoro. Inoltre, egli fu il rappresentante della società in sede di ufficio del lavoro per il tentativo di conciliazione della controversia.

La Corte, infine, da atto che nel costituirsi la società non formulò alcuna eccezione sul punto e la tesi de falsus procurator venne proposta solo a seguito delle dichiarazioni dello stesso C.M. in sede di prova testimoniale.

Non può pertanto dirsi che la decisione di secondo grado abbia violato gli artt. 1398 e 1399 c.c., perchè si deve concordare con la Corte di merito nel ritenere che il C. non fosse un rappresentante senza potere o che comunque la società con il suo comportamento non ne abbia ratificato l’operato.

Il ricorso pertanto deve essere respinto con le necessarie conseguenze in ordine alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la srl ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore dell’ A., liquidandole in 11,00 Euro, nonchè 3.000,00 Euro per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2010

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