Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 210 del 09/01/2020

Cassazione civile sez. I, 09/01/2020, (ud. 07/11/2019, dep. 09/01/2020), n.210

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5217/2017 proposto da:

F.G., elettivamente domiciliato in Roma, Via Tevere, 44,

presso lo studio dell’avvocato Di Giovanni Francesco, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Bressan Giorgio,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, Regione Veneto;

– intimati –

e contro

Commissario Delegato per L’emergenza della Mobilità Riguardante la

(OMISSIS), in persona legale rappresentante pro tempore, domiciliato

in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso l’Avvocatura Generale dello

Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

e contro

Autovie Venete Saav S.p.a., in persona legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via L. Rizzo, 41, presso

lo studio dell’avvocato Cimellaro Antonino che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato Colombo Paolo, giusta procura in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il

13/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/11/2019 dal cons. Dott. SAMBITO MARIA GIOVANNA C.;

udito il Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO ALBERTO, che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito l’avvocato Di Giovanni Francesco, che ha chiesto l’accoglimento

del ricorso;

uditi gli avvocati Cimellaro Antonino e Colombo Paolo che hanno

chiesto l’inammissibilità o comunque rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ordinanza del 13.12.2016, la Corte d’Appello di Venezia, giudicando nel contraddittorio con le Regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia, sulle opposizioni alla stima proposte da F.G. e dalla S.p.A. Autovie Venete avverso l’indennità definitiva d’espropriazione di aree site nel Comune di (OMISSIS), disposta con decreto n. 536 del 3.9.2012 del Commissario delegato per l’Emergenza della mobilità (OMISSIS) tratta (OMISSIS), determinava in Euro 446.690,00, l’indennità di espropriazione, in ulteriori Euro 74.835,00 quella riferita al ridotto valore della porzione residua, rispettivamente in Euro 93.020,00 ed in Euro 3.445,00 l’indennità di occupazione delle aree espropriate e di quelle restituite, ed in Euro 172.381,50 l’indennità coltivatore diretto.

La Corte territoriale, per quanto ancora interessa, determinava il dovuto in conformità della disposta CTU, escludendo i presupposti per il chiesto suo rinnovo, evidenziando che:

a) gli immobili inclusi in ZTO D2 erano suscettibili di sfruttamento edificatorio, e la superficie in tal modo qualificata era corretta avendo altra porzione del fondo destinazione agricola;

b) il valore dell’area edificabile indicato dal CTU andava condiviso, poichè l’art. 28 delle NTA del P.I. di (OMISSIS) non obbligava affatto ad acquistare il 50% delle aree, con conseguente aumento di valore delle stesse, come sostenuto dall’espropriato;

c) i suoli agricoli non erano stati valutati in riferimento agli illegittimi VAM, essendosi l’indagine basata presso gli operatori di mercato e sulla scorta della comparazione con 14 atti di compravendita di terreni, alcuni di essi appartenenti al medesimo contesto comunale;

d) la quantificazione del valore residuo dei beni era stata contestata in modo totalmente generico; le fasce di rispetto stradale non comportavano una ridotta edificabilità perchè, pur non suscettibili di edificazione diretta,concorrevano alla determinazione della capacità edificatoria; il dedotto disagio connesso all’accesso a parte del fondo era stato adeguatamente stimato ed in parte non era dimostrato;

e) l’indennità per la mancata cessione volontaria non era dovuta, in quanto l’offerta era congrua e relativamente ai suoli agricoli perchè la disposizione di cui all’art. 45 TUE era inapplicabile in quanto riferita all’art. 40, comma 3 medesimo TU, dichiarato incostituzionale.

Per la cassazione della decisione, che disponeva la compensazione delle spese, F.G. ha proposto ricorso, affidato a sette mezzi, resistito con controricorso dalla Società Autovie Venete e dal Commissario delegato. Gli altri intimati non hanno svolto difese. Il ricorrente e la Società hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 196 c.p.c., lamentando che, nel rigettare l’istanza di rinnovazione della CTU, la Corte veneziana ha addotto una giustificazione incongrua.

1.1. Il motivo è inammissibile: il giudice di merito non è, infatti, tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova CTU, atteso che il rinnovo dell’indagine tecnica rientra tra i suoi poteri discrezionali, sicchè non è neppure necessaria una espressa pronunzia sul punto (Cass. n. 22799 del 2017). La denunciata contraddittorietà della motivazione costituisce un vizio che non è più deducibile, quale motivo di ricorso per cassazione, in riferimento al novellato art. 360 c.p.c., n. 5. Va, peraltro, rilevato che la Corte non si è limitata ad affermare che le contestazioni tecniche avrebbero dovuto esser dedotte dal CTP, ma ha aggiunto che in buona parte erano state confutate dal CTU ed il ricorrente non indica quali contestazioni asseritamente tecniche, ma in tesi giuridiche, avrebbe sottoposto all’esame del giudice, laddove le risposte date nei restanti casi dal CTU, e che si assumono errate, costituiscono oggetto dei restanti motivi.

2. Col secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 32 nonchè dell’art. 28, comma 2 delle NTA del Piano degli interventi del Comune di (OMISSIS). La Corte d’Appello, lamenta il ricorrente, ha interpretato in modo erroneo la disposizione urbanistica, con conseguente erronea determinazione dell’indennità complessivamente dovuta e con riflessi per il deprezzamento dell’area residua. L’estensione del suolo edificabile, inoltre, era stata erroneamente determinata, essendo maggiore rispetto a quella considerata dal CTU e fatta propria dalla Corte territoriale.

3. Col terzo motivo il ricorrente denuncia, sotto altro profilo, la violazione del D.P.R. n. 3278 del 2001, art. 32 per aver il CTU, prima, e la Corte territoriale, poi, utilizzato dati di comparazione, non omogenei, e pure tenuto conto degli illegittimi VAM.

3.1. I motivi da valutarsi congiuntamente per la loro connessione, sono, in parte, inammissibili ed, in parte, infondati.

3.2. Premesso che, concorrendo a completare la destinazione urbanistica dell’area ablata, in base alla quale determinare la disciplina della dovuta indennità (cfr. in tema di prelazione agraria Cass. n. 6401. del 1999), l’esegesi dell’art. 20 delle NTA del Comune di (OMISSIS) può esser direttamente compiuta da questa Corte, non trattandosi di una quaestio facti, l’interpretazione data nell’ordinanza impugnata (cui occorre fare riferimento e non già all’elaborato peritale) è corretta: l’inciso, contenuto nell’art. 28, comma 2 delle NTA, secondo cui “il Comune attiva ogni procedura utile ad acquisire al suo patrimonio almeno la metà delle aree comprese in queste zone, allo scopo di agevolarne la cessione o la locazione a prezzi convenzionati” non importa affatto per l’Ente l’obbligo di acquisto del 50% delle aree ricomprese in quelle zone, ma, come correttamente rilevato dalla Società espropriante, enuncia un compito da perseguire, al fine di incentivare la successiva locazione a prezzi convenzionati, nei limiti, beninteso, degli stanziamenti di bilancio.

3.3. La circostanza secondo cui l’estensione dell’area destinata ad insediamenti produttivi sarebbe erronea per difetto è, invece, inammissibile, attingendo, direttamente ai dati fattuali, su cui la Corte si è espressamente pronunciata.

3.4. Del pure inammissibile è la censura secondo cui la stima si sarebbe fondata sugli illegittimi VAM: tale riferimento risulta chiaramente smentito nell’ordinanza impugnata, che afferma esser stati utilizzati altri elementi, la cui rappresentatività è a torto contestata dal ricorrente, che non considera che la decisione ha dato atto che i termini di paragone indicati dal proprietario inciso erano relativi a terreni edificatori.

4. Col quarto motivo, il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 addebitando alla Corte territoriale di avere esposto una motivazione “perplessa ed obiettivamente incomprensibile” laddove ha rigettato la domanda di corresponsione dell’indennità dovuta per non aver potuto concludere un atto di cessione volontaria D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 45.

4.1. Il motivo è infondato: la Corte ha motivato, in modo coerente e del tutto comprensibile sul mancato riconoscimento dell’indennità secondo quanto esposto nella lett. e) di parte narrativa, laddove anche a voler ritenere dedotta la violazione di legge, la censura presuppone, in fatto, il riconoscimento in sede giudiziale di una maggiore indennità, che non è intervenuto (invece l’offerta è stata ritenuta congrua) e non considera, in diritto, che il riferimento alla sopravvivenza di disposizioni del Testo Unico riferite ai VAM è stata dalla Corte territoriale affermata a proposito dell’indennità aggiuntiva di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 40, comma 4 e non anche alla disposizione di cui all’art. 45 che è stata espressamente ritenuta inapplicabile (pagg. 12 in fondo e 13 inizio) in conseguenza della declaratoria d’incostituzionalità dei VAM. Se, dunque, a torto il ricorrente deduce in sede di memoria, che per affermare l’incompatibilità tra la chiesta triplicazione dell’indennità ed il sistema dei VAM i controricorrenti avrebbero dovuto proporre impugnazione, la conclusione cui è pervenuta la decisione impugnata è giuridicamente corretta dovendo ritenersi, come già sostenuto da questa Corte (Cass. n. 9269 del 2014 in tema di L. n. 865 del 1971, ma di analogo tenore), che il sistema premiale di triplicazione dell’indennità di esproprio, di cui all’art. 45, comma 2, lett. c) e d) Testo Unico risulti abrogato per incompatibilità con il nuovo assetto normativo, in quanto, a seguito della sentenza n. 181 del 2011 della Consulta è venuto meno il criterio legale di commisurazione dell’indennizzo espropriativo per i suoli agricoli costituito dal valore agricolo tabellare (VAM) e, dunque, è stato espunto il criterio specificamente previsto per la determinazione del prezzo della cessione volontaria del terreno agricolo.

5. Con il quinto motivo, deducendo la violazione o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, nonchè del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 33 il ricorrente lamenta che l’ordinanza è sprovvista di motivazione nella parte che riguarda la diminuzione di valore della proprietà residua – riconnessa alle difficoltà di raggiungimento della stessa ed al maggior traffico veicolare – nonchè dell’azienda agricola ivi svolta. In particolare, il ricorrente lamenta che non sia stato tenuto conto dei pregiudizi derivanti dalla fascia di rispetto e dalla perdita di possibilità edificatoria; del decremento di valore dei terreni agricoli e degli ulteriori costi dovuti alla realizzazione di opere necessarie, infine, della distruzione del preesistente impianto di drenaggio.

5.1. La dedotta nullità è insussistente: la motivazione relativa alla diminuzione di valore dei fabbricati è stata resa dalla Corte, secondo quanto riassunto alla lett. d) di parte narrativa. La sub-censura di violazione di legge è, invece, inammissibile. Anzitutto, perchè non incontra la decisione, che ha espressamente affermato che la volumetria dovuta alla fascia di rispetto è stata considerata, e poi perchè non considera che, secondo costante e reiterato insegnamento di questa Corte (n. 5873 del 2012; n. 27114 del 2013; n. 25668 del 2015; n. 23674 del 2018; n. 14632 del 2018) sono legalmente non edificabili i terreni compresi nell’ambito di una c.d. fascia di rispetto (di cui si rinviene nell’art. 3 C.d.S., n. 22 la pregevole definizione “striscia di terreno, esterna al confine stradale, sulla quale esistono vincoli alla realizzazione, da parte dei proprietari del terreno, di costruzioni, recinzioni, piantagioni, depositi e simili”), istituita direttamente da apposite leggi (e dai relativi provvedimenti di attuazione) in funzione della loro vicinanza a beni demaniali o a particolari opere pubbliche; e ciò, anche per effetto della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis prima e dell’art. 37 T.U. poi, restando, così, esclusa la potenzialità edificatoria delle aree e la possibilità di trasferimento di cubatura dall’area di rispetto a quella residua.

5.2. In riferimento alla riduzione di valore dei terreni, la censura è inammissibile perchè attinge al merito (l’acquisto di nuovi macchinari è stato ricondotto ad un “inevitabile ammodernamento”), prospetta voci non dedotte (distruzione dell’impianto di drenaggio) o comunque già computate nell’indennizzo differenziale, calcolato in Euro 74.835,00. Il ricorrente non spiega, ancora, quali pregiudizi abbia subito in riferimento all’azienda agricola, caso specificamente disciplinato dall’art. 40 TU, che, nel prevedere che l’indennità debba “tener conto” di siffatta destinazione si pone in rapporto di genere a specie col precedente art. 33 in quanto muove dal presupposto che la parte espropriata e quella non espropriata dell’immobile costituiscano un’unica entità funzionale ed economica, e, così, recepisce per tale specifica fattispecie il criterio generale di stima differenziale previsto per l’ipotesi dell’espropriazione parziale (cfr. Cass. n. 19754 del 2018; n. 23967 del 2010, n. 4848 del 1998 in riferimento al regime pregresso L. n. 2359 del 1865, art. 40 e della L. n. 865 del 1971, art. 15 in parte qua immutato).

6 Il sesto motivo, con cui il ricorrente lamenta l’erroneità della liquidazione dell’indennità di occupazione, perchè riferita ad indennità di espropriazione errata, è, in conseguenza, infondato, nè il motivo censura l’importo riferito all’indennità di espropriazione legittimamente spettante ed in concreto liquidata.

7. Il settimo motivo, relativo alla statuizione di compensazione delle spese di lite è inammissibile, tenuto conto che le contrapposte opposizioni sono state accolte in parte e che, ad ogni modo, la statuizione di compensazione delle spese di lite risulta motivata, in riferimento all’art. 92 c.p.c. vigente al momento della proposizione del ricorso in primo grado (16.9.2014).

8. In base al criterio legale della soccombenza, il ricorrente va condannato al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in favore di ciascuno dei controricorrenti in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per spese vive, oltre accessori Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello ove dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 7 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2020

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