Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 210 del 09/01/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 210 Anno 2014
Presidente: DI IASI CAMILLA
Relatore: VIRGILIO BIAGIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,
elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso
l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –

t853

contro

PEGORINI Bernardo e PEGORINI Pierina;
– intimati—

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte n.
72/01/06, depositata il 6 aprile 2007.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16 ottobre
2013 dal Relatore Cons. Biagio Virgilio;
udito il P.M., in persona dell’Avvocato Generale dott. Umberto Apice, il
quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Data pubblicazione: 09/01/2014

Ritenuto in fatto
1. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione avverso la
sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte indicata in
epigrafe, con la quale, in accoglimento degli appelli riuniti di Bernardo
Pegorini e Pierina Pegorini, è stato riconosciuto il diritto di questi alla
definizione agevolata, ai sensi dell’art. 16 della legge n. 289 del 2002, delle
controversie pendenti avverso due avvisi di accertamento notificati ai
contribuenti, per IRPEF relativa al 1994, in data 14 gennaio 2000 ed
impugnati in data 29 novembre 2003.
Il giudice d’appello ha ritenuto che la lite deve considerarsi pendente
anche quando il ricorso sia inammissibile, finché tale inammissibilità non
venga pronunciata con sentenza passata in giudicato.
2. I contribuenti non si sono costituiti.
Considerato in diritto
1. Con i due motivi di ricorso, l’Agenzia delle entrate denuncia la
violazione degli artt. 16 della legge n. 289 del 2002 e 2, comma 49, della
legge n. 350 del 2003, chiedendo se sia legittimo il provvedimento di
diniego dell’istanza di condono presentata ai sensi di dette norme “qualora
l’oggetto del condono sia un avviso di accertamento notificato e divenuto
definitivo, seguito dalla notifica della cartella esattoriale, e solo
successivamente impugnato dal contribuente stesso”, “senza dedurre alcuna
eccezione circa la regolarità della notifica dell’avviso di accertamento, ma
limitandosi a censurare l’atto impositivo nel merito”; e se sia errata la
sentenza che consideri la lite condonabile, prescindendo “dall’accertamento
del se il contribuente abbia proposto tardivamente il giudizio al solo scopo
di precostituirsi una lite pendente per accedere al condono”.
I motivi, da esaminare congiuntamente per stretta connessione, sono
fondati.
Il Collegio, infatti, intende aderire e dare continuità all’orientamento, già
espresso in passato (Cass. n. 15158 del 2006) e recentemente ripreso (Cass.
n. 22502 del 2013), secondo il quale l’indirizzo maggioritario – che ritiene
che la pendenza della lite deve intendersi in senso formale, per cui i vizi
implicanti l’inammissibilità dell’atto di instaurazione del giudizio non sono
ostativi alla sua definizione, essendo sufficienti la potenziale idoneità
dell’atto ad aprire il sindacato sul provvedimento impositivo e che esso non
2

.

sia già stato dichiarato inammissibile dal giudice tributario con sentenza
definitiva – necessita di un temperamento al fine di evitare il verificarsi di
casi palesemente abnormi e immeritevoli di tutela.
Si è così precisato che occorre fare riferimento sia ai canoni generali di
correttezza e buona fede — sempre più valorizzati nei rapporti obbligatori in
genere ed in quelli tra fisco e contribuente in particolare (art. 10 della legge
n. 212 del 2000) -, sia ai principi di lealtà processuale (art. 88 c.p.c.) e del

e configura, in particolare, una forma di abuso del processo l’utilizzazione
di strumenti processuali per perseguire finalità eccedenti o deviate rispetto a
quelle per le quali l’ordinamento appresta alla parte tali mezzi di tutela della
propria posizione sostanziale (cfr. Cass., sez. un., n. 23726 del 2007, nonché
Cass. nn. 28719 del 2008, 28286 del 2011, 6664 del 2013).
In ordine ai casi di definizione delle liti tributarie pendenti, la sussistenza
di una forma di abuso del processo va ravvisata in presenza di elementi dai
quali emerga, in modo evidente e inequivoco, il carattere meramente fittizio
e artificioso della controversia principale, instaurata, nonostante la palese
tardività, al solo fine di creare il presupposto per poter fruire del beneficio:
un chiaro elemento sintomatico della configurabilità di un uso abusivo del
processo è costituito dal fatto che il contribuente — come nel caso in esame abbia impugnato l’atto impositivo ben oltre il termine di legge (nella specie,
dopo quasi quattro anni), senza nulla argomentare in ordine alla perdurante
ammissibilità dell’impugnazione nonostante il tempo trascorso (Cass. n.
22502 del 2013, cit.).
2. In conclusione, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata deve
essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la
causa va decisa nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo dei
contribuenti avverso il provvedimento di diniego di condono.
3. La peculiarità della fattispecie e il prevalente orientamento
giurisprudenziale favorevole ai contribuenti all’epoca della instaurazione del
giudizio inducono a disporre la compensazione delle spese dei gradi di
merito, mentre quelle del presente giudizio di cassazione vanno poste a
carico dei soccombenti e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo
3

giusto processo (art. 111 Cost.); e che costituisce violazione di detti principi

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nel merito, rigetta il ricorso introduttivo dei contribuenti.
Compensa le spese dei gradi di merito e condanna gli intimati in solido
alle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €. 1600,00 per
compensi, oltre alle eventuali spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma il 16 ottobre 2013.

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