Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20998 del 06/08/2019

Cassazione civile sez. lav., 06/08/2019, (ud. 04/07/2019, dep. 06/08/2019), n.20998

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3564-2014 proposto da:

D.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TIRSO n.

90, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI PATRIZI, rappresentato e

difeso dagli avvocati ANNA ORLANDO e RAFFAELE PIGNATARO;

– ricorrente –

contro

– MINISTERO DELL’INTERNO, AGENZIA AUTONOMA PER LA GESTIONE DELL’ALBO

DEI SEGRETARI COMUNALI E PROVINCIALI, in persona del Ministro pro

tempore, rappresentati e difesi dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO

presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n.

12, ope legis;

– COMUNE SANT’ANTIMO, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI n. 134, presso lo

studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, rappresentato e difeso

dall’avvocato MARCELLO D’APONTE;

– controricorrenti –

e contro

M.P.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 5121/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 02/08/2013 r.g.n. 5863/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/07/2019 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ STEFANO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato MARCELLO D’APONTE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Napoli, pronunciando sull’appello principale del Comune di Sant’Antimo e sull’impugnazione incidentale proposta dal Ministero dell’Interno – Agenzia Autonoma per la Gestione dell’Albo dei Segretari Comunali e Provinciali, ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale della stessa sede che, accertato il diritto di D.F. ad essere riconfermato nell’incarico di Segretario Comunale, aveva condannato il Comune e l’Agenzia, con vincolo solidale, al risarcimento del danno, quantificato in complessivi Euro 52.910,68.

2. La Corte territoriale ha condiviso la pronuncia di prime cure, nella parte in cui aveva ritenuto che il diritto alla riconferma discendesse dal mancato rispetto del termine perentorio entro il quale il Sindaco neo-eletto può procedere alla nomina di un nuovo segretario, mentre ha ritenuto parzialmente fondato il motivo formulato avverso la quantificazione del danno patrimoniale. Ha rilevato al riguardo che dal quantum doveva essere detratta la voce “diritti di segreteria” perchè “non è dato sapere e conoscere quali e quanti contratti il D. avrebbe potuto rogare se ne fosse rimasto titolare, non essendo questo un dato calcolabile a priori sulla base di presunzioni relative alle dimensioni dei centri abitati di Sant’Antimo e Frattaminore”. Ha conseguentemente ridotto ad Euro 25.111, 27 l’ammontare del risarcimento.

3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso D.F. sulla base di tre motivi, ai quali hanno opposto difese il Comune di Sant’Antimo e l’Agenzia Autonoma per la gestione dell’Albo dei Segretari Comunali e Provinciali. E’ rimasta intimata M.P..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente invoca il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e denuncia ” violazione e falsa applicazione degli artt. 112,329,342,345 e 346 c.p.c.”. Sostiene, in sintesi, che la Corte d’appello di Napoli “è tornata a riesaminare una parte della sentenza di primo grado che non ha mai formato oggetto di contestazione nè da parte del Comune di Sant’Antimo nè tantomeno da parte dell’Agenzia”. Precisa al riguardo che il Tribunale aveva evidenziato nella motivazione della sentenza che i conteggi depositati dal ricorrente erano stati solo genericamente contestati dall’ente municipale, mentre l’Agenzia si era limitata a fare leva solo sulla legittimità della procedura di nomina del segretario comunale. Aggiunge che quest’ultima aveva censurato per la prima volta in appello il quantum della pretesa, in relazione al quale nulla aveva dedotto il Comune, sicchè la Corte non poteva esaminare la questione della quantificazione del danno, in quanto già definitivamente accertato dal giudice di primo grado.

2. La seconda censura, formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, addebita alla sentenza impugnata la violazione e falsa applicazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e 1363 c.c. nonchè la violazione degli artt. 37,38, 39,40, 41, 42 e 43 del c.c.n.l. per i segretari comunali e provinciali. Il ricorrente, trascritte nel ricorso le disposizioni contrattuali, sostiene, in sintesi, che ha errato la Corte territoriale nell’affermare che “al segretario in disponibilità non spettano nè la maggiorazione della retribuzione di posizione, nè la retribuzione di risultato, nè i diritti di segreteria che sono dovuti solo quando il Segretario Comunale interviene quale ufficiale rogante in atti o contratti nei quali è parte il Comune”. Tale deduzione contrasterebbe con il tenore letterale e con le espressioni e le parole utilizzate nel contratto collettivo e, quindi, non sarebbe in grado di sorreggere la decisione.

3. Con la terza critica d.F. si duole, ex art. 360 c.p.c., n. 5, dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti “rappresentato dall’esclusione nel calcolo del quantum del risarcimento danni per i diritti di segreteria”. Sostiene che ha errato la Corte territoriale nel ritenere non provata la voce di danno che, al contrario, era stata dimostrata attraverso il deposito di conteggi dettagliati e delle certificazioni rilasciate dai Comuni di Sant’Antimo e di Frattaminore. Precisa che al segretario ingiustamente non riconfermato dovevano essere corrisposti gli importi che nel periodo 18 ottobre 2004/2 ottobre 2006 erano stati percepiti dal nuovo segretario a titolo di diritti di segreteria e di compenso per la presidenza del nucleo di valutazione, importi che risultavano dal documento del 26 gennaio 2007, il cui contenuto è trascritto nel corpo del motivo.

4. Il ricorso è inammissibile in tutte le sue articolazioni.

Il primo motivo è formulato senza il necessario rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4, perchè non riporta, quantomeno nelle parti essenziali, il contenuto degli atti processuali rilevanti, non prodotti in questa sede e rispetto ai quali non vengono fornite indicazioni in ordine alla loro allocazione nei fascicoli d’ufficio dei diversi gradi del giudizio di merito o nei fascicoli di parte.

Occorre al riguardo rammentare che, anche qualora venga dedotto un error in procedendo, rispetto al quale la Corte è giudice del “fatto processuale”, l’esercizio del potere/dovere di esame diretto degli atti è subordinato al rispetto delle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, in nulla derogate dall’estensione ai profili di fatto del potere cognitivo del giudice di legittimità (Cass. S.U. n. 8077/2012). La parte, quindi, non è dispensata dall’onere imposto dall’art. 366 c.p.c., n. 6 di indicare in modo specifico i fatti processuali alla base dell’errore denunciato e di trascrivere nel ricorso gli atti rilevanti, non essendo consentito il rinvio per relationem agli atti del giudizio di merito, perchè la Corte di Cassazione, anche quando è giudice del fatto processuale, deve essere posta in condizione di valutare ex actis la fondatezza della censura e deve procedere solo ad una verifica degli atti stessi non già alla loro ricerca (Cass. n. 15367/2014; Cass. n. 21226/2010). E’ necessario, inoltre, che il ricorrente assolva al distinto onere previsto, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., n. 4, indicando la sede nella quale l’atto processuale è reperibile, perchè l’art. 366 c.p.c., come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 5 richiede che al giudice di legittimità vengano forniti tutti gli elementi necessari per avere la completa cognizione della controversia, senza necessità di accedere a fonti esterne, mentre la produzione è finalizzata a permettere l’agevole reperibilità del documento o dell’atto la cui rilevanza è invocata ai fini dell’accoglimento del ricorso (fra le tante, sulla non sovrapponibilità dei due requisiti, Cass. 28.9.2016 n. 19048).

A tanto il ricorrente non ha provveduto, pur avendo fondato la censura sul contenuto di atti processuali (appello, memorie difensive depositate nel giudizio di primo grado) con i quali, a suo dire, non sarebbero stati oggetto di specifica contestazione nè i conteggi depositati unitamente all’originario ricorso nè i fatti posti a fondamento della pretesa.

4.1. A soli fini di completezza osserva il Collegio che il ricorrente, nel momento in cui sostiene che il quantum della pretesa non poteva essere ridotto dalla Corte territoriale, pur a fronte di uno specifico motivo di appello proposto dall’Agenzia (del quale si dà atto nel ricorso e nella sentenza impugnata), perchè non specificamente contestato in primo grado, sovrappone e confonde la regola della necessaria corrispondenza fra chiesto e pronunciato, con gli effetti della mancata contestazione.

Si tratta di principi che operano su piani distinti, perchè la disciplina dettata dall’art. 112 c.p.c. implica unicamente il divieto, per il giudice, di attribuire alla parte un bene non richiesto o, comunque, di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda, ma non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti di causa autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti o qualifichi diversamente i fatti medesimi. Il principio della necessaria corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato può essere ritenuto violato solo qualora il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione (petitum e causa petendi), attribuendo o negando ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nella domanda, ovvero, pur mantenendosi nell’ambito del petitum, rilevi d’ufficio un’eccezione in senso stretto che, essendo diretta ad impugnare il diritto fatto valere in giudizio dall’attore, può essere sollevata soltanto dall’interessato, oppure ponga a fondamento della decisione fatti e situazioni estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un titolo nuovo e diverso da quello enunciato dalla parte a sostegno della domanda (in tal senso fra le più recenti Cass. n. 29200/2018).

Viceversa tutte le ragioni che possono condurre al rigetto, totale o parziale, della domanda per difetto delle sue condizioni di fondatezza, possono essere rilevate d’ufficio, anche in grado di appello, in base alle risultanze acquisite al processo e nei limiti del devoluto.

Ciò perchè la non contestazione, di cui all’art. 115 c.p.c., comma 2 e art. 416 c.p.c., comma 3, opera sul piano probatorio ed esclude dal tema di indagine i fatti che non siano stati espressamente contestati, ma non limita l’attività di giudizio e, quindi, non spiega effetti quanto alla qualificazione giuridica dei fatti stessi, che il giudice può compiere a prescindere dalle posizioni assunte dalle parti.

Sviluppando detti principi, quanto agli effetti della non contestazione dei conteggi, questa Corte ha da tempo affermato che occorre distinguere la componente fattuale di tali conteggi da quella giuridica o normativa perchè se la non contestazione “concerne l’interpretazione data alla disciplina legale o contrattuale della quantificazione, essa si colloca in un ambito di sostanziale irrilevanza, appartenendo al potere – dovere del giudice la cognizione di tale disciplina, che non può, dunque, risultare condizionata dalle prospettazioni difensive e dai comportamenti processuali delle parti. Per avere rilevanza, la non contestazione deve, fondamentalmente, riguardare i fatti da accertare nel processo e non la determinazione della loro dimensione giuridica.” (Cass. S.U. n. 761/2002).

Ne discende che, a prescindere dalla contestazione o meno dei conteggi, ben poteva essere fatta valere in appello l’erroneità della quantificazione del danno, per avere il Tribunale incluso voci retributive non spettanti, perchè implicanti l’effettiva prestazione di una determinata attività, pacificamente non espletata a seguito del mancato rinnovo dell’incarico.

5. E’ inammissibile anche il secondo motivo, in quanto la censura non coglie l’effettiva ratio della decisione e svolge considerazioni non specificamente riferibili al decisum.

La Corte territoriale, infatti, a pag. 7 della motivazione ha con chiarezza limitato la detrazione alla sola voce “diritti di segreteria”, precisando che gli importi a tale titolo richiesti non potevano essere pretesi perchè “non è dato sapere e conoscere quali e quanti contratti il D. avrebbe potuto rogare se ne fosse rimasto titolare non essendo questo un dato calcolabile a priori sulla base di presunzione relativa alle dimensioni dei centri abitati di Sant’Antino e Frattaminore”.

E’ ben vero che nella stessa motivazione si fa anche riferimento alla non spettanza della maggiorazione della retribuzione di posizione e della retribuzione di risultato, ma detto richiamo precede il rinvio alla sentenza di primo grado e pertanto, per come esposto, è riferibile alle ragioni per le quali la richiesta di Euro 80.467,97 era stata accolta dal Tribunale solo nei limiti di Euro 52.910,68 (e sul punto non risulta che il D. avesse proposto impugnazione).

Ne discende che tutte le considerazioni svolte sull’interpretazione della normativa contrattuale, quanto alla maggiorazione della retribuzione di posizione ed alla retribuzione di risultato, non si attagliano alla motivazione della sentenza impugnata, in relazione alla quale il ricorrente non fornisce elementi che possano suggerire una diversa lettura, perchè non riporta nel ricorso la sentenza di primo grado (il che non consente alla Corte di comprendere quali voci fossero state escluse già dal giudice di prime cure) nè trascrive i conteggi sulla base dei quali la riduzione è stata operata dal giudice d’appello.

Nel giudizio di legittimità gli oneri imposti al ricorrente dall’art. 366 c.p.c. sono finalizzati a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, sicchè l’incompletezza dei dati necessari per valutare la pertinenza e la decisività della doglianza non può che indurre ad una pronuncia di inammissibilità del motivo.

6. Alle medesime conclusioni si giunge quanto al terzo motivo, con il quale D.F. addebita alla Corte territoriale di non avere valutato la documentazione in atti, dalla quale risultavano gli importi corrisposti al segretario comunale, rispettivamente dai comuni di Sant’Antimo e di Frattaminore, a titolo di diritti di segreteria e di compenso quale Presidente del nucleo di valutazione.

Va detto subito che la sentenza impugnata non fa cenno a quest’ultimo compenso sicchè trova applicazione il principio, da tempo consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui “ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente vi abbia provveduto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa.” (Cass. n. 2038/2019; Cass. n. 27568/2017; Cass. n. 8206/2016).

A tanto il ricorrente non ha provveduto, sicchè nessun rilievo può essere attribuito alla mancata valutazione, ai fini del risarcimento del danno, del compenso che sarebbe stato corrisposto al D., in qualità di Presidente del Nucleo di Valutazione, qualora fosse rimasto in servizio presso il comune di Sant’Antimo.

6.1. Quanto, poi, ai diritti di segreteria, a prescindere dal rilievo che il ricorrente non precisa quando e con quali modalità sarebbe stata prodotta nel giudizio di merito la documentazione non esaminata, occorre evidenziare che la censura esula dai limiti fissati dall’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, applicabile alla fattispecie in quanto la sentenza impugnata risulta depositata il 2.8.2013.

Si deve ribadire che il legislatore, attraverso la modifica del richiamato art. 360 c.p.c., n. 5, ha introdotto nell’ordinamento “un vizio specifico, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. ” (Cass. n. 27415/2018 che richiama Cass. S.U. n. 8053/2014).

Nel caso di specie la censura confonde “il fatto”, che la Corte territoriale ha esaminato, escludendo che il D. avesse assolto all’onere della prova sullo stesso gravante, con il documento dal cui esame poteva essere desunta l’entità del pregiudizio, sicchè la stessa esula dai limiti del novellato art. 360 c.p.c., n. 5 e finisce per sollecitare un giudizio di merito non consentito alla Corte di legittimità.

7. In via conclusiva il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento in favore di entrambi i controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve darsi atto della ricorrenza delle condizioni previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato dovuto dal ricorrente.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per competenze professionali, oltre rimborso spese generali del 15% ed accessori di legge, in favore del Comune di Sant’Antimo ed in Euro 3.000,00 per competenze professionali in favore del Ministero dell’Interno – Agenzia Autonoma per la gestione dell’Albo dei Segretari comunali e provinciali -, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 4 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 agosto 2019

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