Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20995 del 16/10/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 20995 Anno 2015
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: MAISANO GIULIO

SENTENZA
sul ricorso 21980-2012 proposto da:
LEPORINI

LAURA

LPRLRA38D53E372Z,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DI PIETRALATA 320, presso lo
studio dell’avvocato GIGLIOLA MAZZA RICCI,
rappresentata e difesa dagli avvocati ELISABETTA
MERLINO, FRANCESCO ORECCHIONI, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2015
.2805

contro

MINISTERO DELL’ ISTRUZIONE, DELL’ UNIVERSITA’ E DELLA
RICERCA 80185250585, in persona del Ministro pro
tempore, DIREZIONE DIDATTICA 3 0 CIRCOLO DI CHIETI, in

Data pubblicazione: 16/10/2015

-

,

s

persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentati e difesi dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO presso i cui Uffici domiciliano in ROMA, ALLA

m/

VIA DEI PORTOGHESI, 12;
– controricorrenti

di L’AQUILA, depositata il 16/06/2008 r.g.n. 955/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 17/06/2015 dal Consigliere Dott. GIULIO
MAISANO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ALBERTO CELESTE, che ha concluso per
rigetto e inammissibilità.

,..

avverso la sentenza n. 827/2008 della CORTE D’APPELLO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza pubblicata il 16 giugno 2008 la Corte d’appello dell’Aquila,
in riforma della sentenza del Tribunale di Vasto del 13 maggio 2005, ha
rigettato la domanda di Leporini Laura intesa ad ottenere il riconoscimento
nei ruoli dello Stato, nei quali era transitata provenendo da ente locale,
provenienza, con la conseguente condanna del Ministero dell’Istruzione,
Università e Ricerca all’adozione di tutti i provvedimenti conseguenti a
detto riconoscimento ed al pagamento di tutte le relative differenze
retributive. La Corte territoriale ha motivato tale pronuncia sulla base della
legge 266 del 2005 che è stata dichiarata costituzionalmente legittima dalla
Corte Costituzionale con sentenza n. 311 del 2009, e che stabilisce che il
personale degli enti locali trasferito nei ruoli del personale amministrativo,
tecnico ed ausiliario statale (ATA) venga inquadrato nelle qualifiche
funzionali e nei profili professionali dei corrispondenti ruoli statali sulla
base del trattamento economico complessivo in godimento all’atto del
trasferimento.
La Leporini ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza
affidato a tre motivi, ed ha proposto anche istanza di remissione in termini.
Il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si lamenta omessa o insufficiente motivazione in
merito a fatti decisivi per il giudizio, ai sensi dell’art. 360, n. 5 cod. proc.
civ. con riferimento al carattere innovativo e non interpretativo dell’art. 1
comma 218 della legge n. 266 del 2005, all’applicabilità della direttiva
comunitaria del 14 febbraio 1977 riguardo al trasferimento d’azienda, ed

dell’anzianità maturata ai fini giuridici ed economici nei ruoli di

alla mancata considerazione delle indennità percepite nell’ente locale di
provenienza.
Con il secondo motivo si deduce violazione o falsa applicazione di legge,
con riferimento all’art. 2112 cod. civ. e alla Direttiva 14 febbraio 1977, n.
187/CEE. In particolare si sostiene che la Corte di Giustizia Europea, nella
l’applicazione della direttiva comunitaria in merito al trasfrerimento
d’azienda con relativo riconoscimento dell’anzianità maturata predsso
l’ente di provenienza.
Con il terzo motivo si assume violazione e/o falsa applicazione di legge
con riferimento all’art. I comma 218 della legge 266 del 2005 perché in
contrasto con l’art. 117 Cost. e all’art. 6 Convenzione europea dei diritti
dell’uomo sottoscritta dall’Italia il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con
legge 4 agosto 1955, n. 848.
La ricorrente ha chiesto di essere rimessa in termini, ai fini della
tempestiva proposizione del ricorso per cassazione, rilevando che, dopo la
pronuncia della Corte territoriale qui impugnata, conforme all’orientamento
allora largamente prevalente e da ritenersi consolidato della giurisprudenza
di legittimità: era intervenuta la sentenza della Corte EDU in data 7 giugno
2011 (causa Agrati e altri), dichiarativa della violazione dell’art. 6 della
Convenzione europea per la protezione dei diritti dell’uomo per effetto
dell’emanazione della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218;
era intervenuta la sentenza della Corte di Giustizia CE (Grande Sezione)
del 6 settembre 2011, in causa C-108/10, con la quale, sempre in relazione
alla vicenda del trasferimento del personale ATA, è stato dichiarato che,
quando un trasferimento ai sensi della direttiva 77/187 porta
all’applicazione immediata, ai lavoratori trasferiti, del contratto collettivo
vigente presso il cessionario e inoltre le condizioni retributive previste da

sentenza della Grande Sezione del 6 settembre 2011 avrebbe imposto

questo contratto sono collegate segnatamente all’anzianità lavorativa, l’art.
3 di detta direttiva osta a che i lavoratori trasferiti subiscano, rispetto alla
loro posizione immediatamente precedente al trasferimento, un
peggioramento retribuivo sostanziale per il mancato riconoscimento
dell’anzianità da loro maturata presso il cedente, equivalente a quella
determinazione della loro posizione retribuiva di partenza presso
quest’ultimo; è compito del giudice del rinvio esaminare se, all’atto del
trasferimento in questione nella causa principale, si sia verificato un siffatto
peggioramento retributivo; successivamente alla suddetta sentenza della
Corte di Giustizia CE, questa Corte di Cassazione aveva mutato il proprio
precedente orientamento, accogliendo i ricorsi proposti avverso le pronunce
di merito che avevano disatteso le domande dei lavoratori ATA e
disponendo che il giudice del rinvio avrebbe dovuto, al fine della decisione
sulla controversia, verificare la sussistenza, o meno, di un peggioramento
retributivo sostanziale all’atto del trasferimento.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte la rimessione in termini, tanto
nella versione prevista dall’abrogato art. 184 bis cod. proc. civ., che in
quella di più ampia portata contenuta nell’art. 153 cod. proc. civ., comma 2,
come novellato dalla L. n. 69 del 2009, richiede la dimostrazione che la
decadenza sia stata determinata da una causa non imputabile alla parte,
perché cagionata da un fattore estraneo alla sua volontà (cfr, Cass., nn.
7003/2011; 19836/2011). Tali presupposti non ricorrono nel caso in
esame, posto che la contrarietà della disposizione su cui la Corte territoriale
ha fondato il rigetto della domanda ai principi della Convenzione EDU e la
(possibile) contrarietà con la direttiva comunitaria n. 77/187 della
disciplina del trasferimento del personale ATA avrebbero potuto, anche
prima delle ricordate pronunce delle Corti europee, costituire oggetto di
doglianza nel giudizio di cassazione, tanto più ove si consideri che, già

maturata da altri lavoratori alle dipendenze del cessionario, all’atto della

durante gli anni 2008 e 2009, erano stati posti dinanzi alla Corte EDU
ricorsi da parte di altri lavoratori sempre in relazione alla L. n. 266 del
2005, art. 1, comma 218 e che, già nei primi mesi dell’anno 2010, era stata
svolta la domanda di pronuncia pregiudiziale che avrebbe dato origine alla
ricordata decisione della Corte di Giustizia CE; dunque, in relazione ad
del ricorso per cassazione applicabile ratione temporis al presente giudizio.
Va inoltre considerato che, sempre secondo la giurisprudenza di questa
Corte, la rimessione in termini presuppone la tempestività dell’iniziativa
della parte che assuma di essere incorsa nella decadenza per causa ad essa
non imputabile, tempestività da intendere come immediatezza della
reazione della parte stessa al palesarsi della necessità di svolgere un’attività
processuale ormai preclusa (cfr., Cass., n. 23561/2011); il che neppure è
dato ravvisare nel caso all’esame, posto che la notifica del ricorso per
cassazione è stata effettuata, a mezzo del servizio postale, con spedizione
della raccomandata in data 8 ottobre 2012, quindi ad oltre un anno di
distanza sia dalla pronuncia della sentenza della Corte EDU nella causa
Agrati e altri, sia dalla pronuncia della sentenza della Corte di Giustizia CE
(Grande Sezione) nella causa C-108/10. L’istanza di rimessione in termini
non può dunque essere accolta.
Ciò determina, precludendo la disamina dei motivi svolti, la declaratoria
di inammissibilità del ricorso, siccome notificato oltre un anno dopo la
pubblicazione della sentenza impugnata.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso;

entrambe tali pronunce, nell’ambito del termine annuale per la proposizione

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in
complessive € 100,00 per esborsi ed C 3.000,00 per compensi professionali
oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma il 17 giugno 2015.

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