Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20994 del 13/09/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 20994 Anno 2013
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: PETITTI STEFANO

SENTENZA
D’ALESSANDRO LUIGI (DLS LGU 52S18 L526I), rappresentato e
difeso, per procura speciale a margine del ricorso,
dall’Avvocato Fiorello Tatone, elettivamente domiciliato in
Roma, via D. Chellini n. 33, presso lo studio dell’Avvocato
Manfredo Rossi;

– ricorrente contro
FERRARA EMILIO, DESIDERIO FRANCO, MENUCCI CLAUDIO, PACIOCCO
RAFFAELE, eRESTA ~IRA, MARIANI MORIGA, tutti rappresentati e difesi dall’Avvocato Camillo Tatozzi, elettivamente
domiciliati in Roma, via N. Ricciotti n. 11, presso lo studio dell’Avvocato Michele Sinibaldi;

‘7-303

Data pubblicazione: 13/09/2013

- controricorrenti avverso la sentenza della Corte d’Appello di L’Aquila n.
717 del 2006, depositata in data 6 ottobre 2006.
Udita

la relazione della causa svolta nell’udienza

Stefano Petitti;
sentito l’Avvocato Michele Sinibaldi con delega;
sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Lucio Capasso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di

citazione ritualmente notificato,

D’Alessandro Luigi conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Chieti, Ferrara Emilio, Desiderio Franco, Menucci
Claudio, Paciocco Raffaele, Cresta Cesira e Mariani Moriga,
chiedendo la condanna di questi ultimi alla demolizione del
fabbricato di loro proprietà, costruito in violazione della
normativa sulle distanze legali prevista dal Piano Regolatore Generale del Comune di Vacri.
L’attore, attraverso la produzione di perizia giurata
redatta dal Geom. Ioannone in data 9 ottobre 1986, asseriva
che l’immobile di proprietà dei convenuti non rispettava la
normativa sulle distanze, la quale prevedeva per il fabbricato oggetto di causa una distanza minima di metri 5 dalla

pubblica del 15 marzo 2013 dal Presidente relatore Dott.

strada, di metri 10 dal fabbricato finitimo di proprietà
dell’attore e, infine, di metri 6,70 dai fabbricati delle
case popolari siti sul retro dello stabile.
Si costituivano i convenuti, chiedendo il rigetto della

to il loro immobile era intervenuta una nuova disciplina
urbanistica (mediante la delibera del Consiglio Comunale di
Vacri n. 26 del 1989) che aveva ridotto a metri 3 la distanza legale dal confine, rendendo del tutto regolari e
legittime le distanze osservate.
Il G.O.A., dopo aver espletato c.t.u., respingeva la domanda. Il giudice di primo grado non riconosceva, in capo
all’attore, la titolarità di alcun diritto soggettivo o interesse legittimo relativamente alla censura sulla violazione della distanza legale tra il fabbricato dei convenuti
e la strada pubblica, potendo tale fatto costituire oggetto
di rilievo solo da parte della Pubblica Amministrazione o
dell’Ente proprietario della strada. Riteneva altresì non
sussistente la pretesa violazione della distanza di metri
10 con riguardo all’edificio di proprietà del D’Alessandro,
poiché la normativa richiamata dall’attore, riferendosi alla distanza tra pareti di fabbricato tra loro prospicienti
e di cui almeno una finestrata, era inapplicabile al caso
di specie.

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domanda. Essi evidenziavano che per la zona dove era ubica-

Avverso la sentenza di primo grado, D’Alessandro Luigi
proponeva gravame, cui resistevano gli appellati.
La Corte d’Appello di L’Aquila rigettava l’appello, ritenendo che la normativa sulle distanze legali dettata dal

se più applicabile. Invero, secondo la Corte territoriale,
il suddetto Piano Regolatore Generale non era più operante
poiché il Comune di Vacri, con delibera del Consiglio Comunale n. 26 del 1989, aveva adottato un Piano Regolatore esecutivo, il quale rimandava alla disciplina del codice civile per la regolamentazione delle distanze tra fabbricati.
A seguito della suddetta delibera, al fine di stabilire se
il fabbricato degli appellati fosse stato eretto in violazione della disciplina sulle distanze legali, non si doveva
dunque far riferimento al previgente Piano Regolatore Generale, ormai decaduto, ma era necessario riferirsi alla distanza minima di tre metri prescritta dall’art. 873 cod.
civ., distanza che, come accertato nella c.t.u. espletata
in primo grado, era pienamente rispettata dall’immobile in
oggetto (il quale distava metri 8,20 dal fabbricato di proprietà dell’attore).
Per la cassazione di questa sentenza, D’Alessandro Luigi
ha proposto ricorso sulla base di due motivi, cui hanno resistito, con controricorso, i sig.ri Ferrara Emilio, Menucci Claudio, Paciocco Raffaele e Mariani Moriga.

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Piano Regolatore Generale invocato dall’appellante non fos-

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, parte ricorrente denuncia, ai sensi
dell’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa
applicazione degli artt. 872, 873 e 887 cod. civ., nonché

d.m. n. 1444 del 1968.
Secondo il ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe errato
nel ritenere che una delibera comunale successiva alla precedente disciplina urbanistica potesse essere idonea a modificarla, con la conseguenza di ritenere non più sussistenti le violazioni urbanistiche poste in essere dai proprietari di immobili edificati in contrasto con
l’originario strumento urbanistico.
Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente deduce,
ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ., un vizio di omessa motivazione circa un fatto decisivo per la controversia. Invero, a detta del ricorrente, non risulterebbe provata negli atti del giudizio di merito la spedizione da parte del
Comune di Vacri della propria deliberazione n. 26 del 1989
all’Amministrazione

Provinciale

di Chieti, secondo quanto

prescritto dalla legge regionale n. 18 del 1983.
Il primo motivo di ricorso è fondato.
La Corte d’Appello de L’Aquila ha ritenuto che
l’immobile degli odierni controricorrenti non violasse la
normativa sulle distanze tra fabbricati alla luce della so-

dell’art. 17 della legge n. 765 del 1967 e dell’art. 9 del

pravvenuta disciplina meno restrittiva (introdotta dalla
delibera del Consiglio Comunale di Vacri n. 26 del 1989),
sulla base del principio secondo cui, in tema di distanze
legali tra costruzioni, qualora sopravvenga una disciplina

della normativa in vigore al momento della sua ultimazione
non può ritenersi illegittima in quanto, risultando conforme alla nuova disciplina, ha caratteristiche identiche a
quelle previste per le costruzioni realizzate dopo la sua
entrata in vigore (Cass. 28 maggio 2003, n. 8512).
Tuttavia, il dedotto ius superveniens,

che dovrebbe e-

scludere l’illiceità della costruzione, nel caso specifico
non è invocabile perché una delibera comunale non è di per
sé idonea a modificare la precedente disciplina urbanistica, costituendo solo il primo atto di un complesso iter amministrativo che si conclude soltanto con l’approvazione
della variante del P.R.G. da parte della Regione (Cass. 2
ottobre 2000, n. 13007).
E’ noto, del resto, che, in tema di distanze tra costruzioni, l’art. 9, secondo comma, del d.m. 2 aprile 1968, n.
1444, essendo stato emanato su delega dell’art. 41quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (c.d. legge
urbanistica), aggiunto dall’art. 17 della legge 6 agosto
1967, n. 765, ha efficacia di legge dello Stato, sicché le
sue disposizioni in tema di limiti inderogabili di densità,

meno restrittiva, la costruzione realizzata in violazione

altezza e distanza tra i fabbricati prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai
quali si sostituiscono per inserzione automatica (Cass.,
S.U., n. 14953 del 2011).
L’accoglimento del primo motivo di ricorso comporta

In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte d’appello di
L’Aquila che, in diversa composizione, procederà a nuovo
esame dell’appello adeguandosi ai richiamati principi, nonché alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito
il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per
le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello
di L’Aquila in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della II
Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 15
marzo 2013

l’assorbimento del secondo motivo.

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