Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20993 del 02/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 02/10/2020, (ud. 02/07/2020, dep. 02/10/2020), n.20993

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35345-2018 proposto da:

COMUNE DI BARLETTA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CELIMONTANA 38, presso lo studio

dell’avvocato BENITO PANARITI, rappresentato e difeso dall’avvocato

GIUSEPPE CARUSO;

– ricorrente –

Contro

V.M., S.M., elettivamente domiciliati in ROMA,

EMANUELE FILIBERTO, N. 166, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO

CORVASCE, rappresentati e difesi dall’avvocato PASQUALE NASCA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 708/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 02/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CHIARA

GRAZIOSI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

A seguito di ricorso monitorio di S.M. e V.M. il Tribunale di Trani, sezione distaccata di Barletta, emetteva il 1 luglio 2013 un decreto che ingiungeva al Comune di Barletta di pagare ai suddetti, quali locatori di un immobile di cui il Comune era conduttore, l’importo di Euro 10.979.076 per canoni locatizi nonchè l’importo di Euro 672,79 per oneri condominiali.

Il Comune si opponeva, chiedendo di accertare la sussistenza di grave motivo ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 27, u.c., per il suo recesso quale conduttore, e di revocare conseguentemente il decreto ingiuntivo.

Controparte si costituiva, insistendo nella propria pretesa.

Il Tribunale, con sentenza n. 1990/2016, dichiarava improcedibile l’opposizione – in quanto proposta mediante atto di citazione, anzichè ricorso, la causa venendo poi iscritta a ruolo oltre 40 giorni dalla notifica del decreto ingiuntivo – compensando le spese.

S.M. e V.M. proponevano appello in ordine alle spese compensate, cui resisteva il Comune. La Corte d’appello di Bari, con sentenza del 2 maggio 2018, accoglieva l’appello, condannando il Comune a rifondere a controparte le spese dei due gradi.

Il Comune ha proposto ricorso, articolato in quattro motivi, da cui S.M. e V.M. si sono difesi con controricorso.

Il Comune ha depositato una memoria il 27 giugno 2020 e una seconda memoria il 30 giugno 2020; i controricorrenti hanno depositato memoria il 29 giugno 2020.

Diritto

CONSIDERATO

che:

In primo luogo deve rilevarsi che sono state depositate tre memorie, di cui l’unica tempestiva è evidentemente quella del 27 giugno 2020, le ulteriori non potendosi considerare.

1. Il primo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 5, lett. c) e delle allegate “tabelle parametri forensi”.

Nel liquidare le spese di primo grado, il giudice d’appello avrebbe imposto anche le spese per fase istruttoria, nella misura di Euro 1600, nonostante la fase istruttoria non vi fosse stata. Vengono quindi ricalcolate le somme che sarebbero invece dovute.

Il motivo palesemente non è fondato, dal momento che la fase istruttoria include anche l’esame dei provvedimenti giudiziali pronunciati, ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, art. 4. Detta norma, infatti, al comma 5 indica “esemplificativamente” il contenuto delle fasi, dopo avere nunciato proprio che il compenso “è liquidato per fasi”, che sono per il giudizio di cognizione la fase di studio della controversia (lett. a), fase introduttiva del giudizio (lett. b), fase istruttoria (lett. c), fase decisionale (lett. d).

La lett. c), dunque, include nella fase istruttoria anche “l’esame… dei provvedimenti giudiziali pronunciati nel corso e in funzione dell’istruzione”. Non si può negare che (Ndr: Testo originale non comprensibile) “in funzione dell’istruzione” anche quei provvedimenti da cui si desume la non necessità di procedere ad istruzione, trattandosi evidentemente di una funzione negativa. In tal senso è riconducibile all’esame anche il decreto ingiuntivo opposto.

Peraltro, il giudice d’appello si riferisce al valore medio della tariffa, non menzionando però espressamente la fase istruttoria: “il Comune di Barletta va condannato alle spese del primo grado di giudizio che, in applicazione dei parametri del D.M. n. 55 del 2014, si liquidano in Euro 250,00 per esborsi ed Euro 4835,00 per compensi (pari al valore medio della tariffa)”, rectius, “pari” (evidente lapsus calami). E’ pertanto sostenibile che l’importo complessivamente medio sia stato liquidato dalla corte territoriale senza introdurre la fase istruttoria ma determinando in modo sufficientemente elevato le altre fasi per giungere a tale somma conclusiva.

2. Il secondo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione dell’art. 112 c.p.c..

Il giudice d’appello non avrebbe esaminato la questione, sollevata nella memoria di costituzione in appello dall’attuale ricorrente, della riduzione delle spese al 50% ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 1, questione che così sarebbe stata proposta: “Il D.M. n. 55 del 2014, lo stesso art. 4, comma 1, del… prevede… possibilità di ridurre i valori medi fino al 50 per cento”.

Si tratta di una doglianza ictu oculi inconsistente, perchè quel che richiama non è qualificabile nè domanda nè eccezione (palesemente tardivo è il contenuto al riguardo delle note conclusionali d’appello, se lo si potesse intendere come domanda o eccezione), bensì una mera enunciazione che non ha goduto (neppure nelle note conclusionali suddette) davanti alla corte territoriale di specifici argomenti in suo sostegno, per cui è rimasta su un piano astratto, per quanto emerge seguendo il contenuto del ricorso in termini di autosufficienza.

3. Il terzo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 91 c.p.c. in riferimento al D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 1, in forza del quale per la liquidazione si devono tenere in conto le caratteristiche della causa; e qui si sarebbe trattato di una sola questione di rito. La Corte d’appello non avrebbe effettuato “rivisitazioni complessive della vicenda in primo grado”. Si invoca la sentenza n. 77 del 2018 della Corte Costituzionale in relazione all’art. 92 c.p.c., comma 2, per concludere che il giudice d’appello avrebbe liquidato “acriticamente” le spese nella erronea misura chiesta dagli appellanti.

Anche questo motivo è palesemente infondato, in quanto la quantificazione effettuata dal giudice d’appello si è collocata nell’ambito della forbice normativa, onde non è configurabile violazione della normativa stessa.

4. Il quarto motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2: il giudice d’appello non avrebbe valutato una situazione di soccombenza reciproca.

Il motivo è manifestamente infondato non rinvenendosi nella vicenda processuale in relazione alla quale il giudice d’appello ha liquidato le spese alcuna soccombenza reciproca.

Non è affatto comprensibile, d’altronde, il quanto mai scarno argomento che rappresenta il motivo, e cioè che la condanna a Euro 1600 anche per la fase istruttoria del giudizio di primo grado “ha impedito al Giudice di merito di valutare una situazione di soccombenza reciproca” che avrebbe giustificato “una rivisitazione delle spese del secondo grado”

5. In conclusione il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del grado – liquidate come da dispositivo – alla controparte.

Seguendo l’insegnamento di S.U. 20 febbraio 2020 n. 4315 si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2012, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso, condannando il ricorrente a rifondere alla controparte le spese processuali, liquidate in complessivi Euro 1500, oltre a Euro 200 per gli esborsi e al 15% per spese generali, nonchè agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 2 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2020

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