Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20992 del 06/08/2019

Cassazione civile sez. lav., 06/08/2019, (ud. 03/07/2019, dep. 06/08/2019), n.20992

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26366-2018 proposto da:

A.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FABIO MASSIMO

107, presso lo studio dell’avvocato ANDREA MALAGOLI, rappresentato e

difeso dall’avvocato MARIO MONTEFUSCO;

– ricorrente –

contro

I.R.c.c.S. – “ISTITUTO NAZIONALE PER LO STUDIO E LA CURA DEI TUMORI –

FONDAZIONE G. PASCALE”, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALBALONGA 7, presso

lo studio dell’avvocato CLEMENTINO PALMIERO, rappresentato e difeso

dall’avvocato PAOLA COSMAI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3304/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 13/07/2018 R.G.N. 4604/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/07/2019 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per l’inammissibilità;

udito l’Avvocato MARIO MONTEFUSCO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La sentenza attualmente impugnata (depositata il 13 luglio 2018) dichiara inammissibile il ricorso proposto da A.S. per la revocazione della sentenza n. 4939 del 2004 della Corte d’appello di Napoli, che pur confermando la sentenza di primo grado in merito alla ingiustificatezza del licenziamento per giusta causa senza preavviso inflitto nel giugno 2000 all’ A., all’epoca dirigente alle dipendenze dell’IRCCS – Istituto nazionale per lo studio e la cura dei tumori – Fondazione G. Pascale, escludeva l’applicabilità della tutela reale.

La Corte d’appello di Napoli, per quel che qui interessa, precisa che:

a) con il presente ricorso l’ A. in primo luogo rileva che la sentenza n. 9511 del 2014 della Corte d’appello di Napoli ha ritenuto accertate condotte antigiuridiche poste in essere dall’IRCCS ai danni del ricorrente nel periodo dal 1995 al 2004, considerando provato che tali condotte abbiano determinato un disturbo depressivo dell’ A., con conseguente condanna dell’Istituto ad una somma di denaro pari ad Euro 50.564,00 a titolo di danno biologico e non patrimoniale;

b) per effetto del passaggio in giudicato di tale sentenza, il ricorrente chiede che venga revocata la precedente sentenza n. 4939 del 2004, in quanto è stato appurato che il licenziamento (intervenuto nel 2000) si colloca in un complessivo progetto di mobbing ai danni del ricorrente e come tale deve considerarsi nullo e viziato;

c) anche volendo seguire il ragionamento del ricorrente nella specie la scoperta del fatto che il licenziamento era da inserire in un “progetto di mobbing” risale alla richiamata sentenza n. 9511 pubblicata il 25 febbraio 2015 e passata in giudicato (elemento che nella disciplina della revocazione non ha rilievo) il 19 maggio 2015;

d) anche volendo far decorrere il termine per la proposizione del ricorso per revocazione da tale ultima data, la relativa scadenza era il 19 giugno 2015: 30 giorni dalla sentenza di cui si chiede la revocazione (che, peraltro, nella specie è la n. 4939 del 2004);

e) il presente ricorso è datato 17 dicembre 2015, quindi è sicuramente tardivo e inammissibile.

2. Il ricorso di A.S., illustrato da memoria, domanda la cassazione di tale ultima sentenza; resiste, con controricorso, dell’IRCCS Istituto nazionale per lo studio e la cura dei tumori – Fondazione G. Pascale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il presente ricorso è inammissibile per molteplici concorrenti ragioni.

1.1. In primo luogo, dal punto di vista della formulazione, si tratta di un ricorso nel quale le censure non sono proposte attraverso l’indicazione di motivi corrispondenti a quelli previsti dal codice di rito.

Invece, per costante indirizzo di questa Corte, il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti, come accade nella specie (vedi, per tutte, di recente: Cass. 6 marzo 2019, n. 6519).

1.2. A ciò va aggiunto che le censure – con le quali si chiede a questa Corte, inammissibilmente, una “rivisitazione” dell’intera e complessa vicenda processuale conclusasi con il licenziamento del ricorrente – non toccano la ratio decidendi unica che sorregge la sentenza impugnata, rappresentata dalla tardività del ricorso per revocazione.

Tale ratio nel presente ricorso non viene attinta dalle censure formulate le quali, invece, si indirizzano inammissibilmente su altri argomenti, che risultano privi di specifica attinenza con tale statuizione centrale nella sentenza di appello impugnata.

Tale omessa impugnazione rende inammissibile, per difetto di interesse, l’intero ricorso, essendo la statuizione non censurata divenuta definitiva e quindi non potendosi più produrre in nessun caso il relativo annullamento (vedi, al riguardo: Cass. 7 novembre 2005, n. 21490; Cass. 26 marzo 2010, n. 7375; Cass. 7 settembre 2017, n. 20910; Cass. 3 maggio 2019, n. 11706).

2. Per le suddette ragioni, il ricorso va dichiarato inammissibile.

3. Le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, Euro 3500,00 (tremilacinquecento/00) per compensi professionali, oltre spese forfetarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 3 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 agosto 2019

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