Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20990 del 12/10/2011

Cassazione civile sez. III, 12/10/2011, (ud. 23/09/2011, dep. 12/10/2011), n.20990

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA UGO DE CAROLIS 101, presso lo studio dell’avvocato PROSPERI

ANDREA, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCHELLA MARIO, giusto

mandato in atti;

– ricorrente –

contro

V.E., M.V. (OMISSIS), B.

E. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

BOEZIO 16, presso lo studio dell’avvocato SILLA ANDREA, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CONSOLINI MARIA CARMEN,

giusto mandato in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1031/2008 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 23/06/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/09/2011 dal Consigliere Dott. GIOVANNI CARLEO;

udito l’Avvocato CONSOLINI MARIA CARMEN;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per B., accoglimento 3

motivo, inammissibili altri due motivi di ricorso, per M. e

V., accoglimento 10 motivo, in subordine dell’8 e del 13

motivo, assorbiti gli altri motivi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata in data 24 giugno 1998 B.E., M.V. e V.E., premesso che, a seguito di numerose ordinanze comunali, avevano dovuto fare eseguire urgenti lavori di ristrutturazione e di manutenzione su un immobile condominiale, di cui era comproprietario anche S.S. che si era opposto all’esecuzione dei lavori, convenivano in giudizio quest’ultimo per sentirlo condannare al pagamento di varie somme, congiuntamente o singolarmente reclamate per vari titoli ed ammontanti complessivamente a L. 141.388.421. In esito al giudizio, in cui si costituiva il convenuto chiedendo il rigetto delle domande, il Tribunale di Reggio Emilia condannava il S. al risarcimento dei danni, in favore del V. e del M. liquidandoli per ciascuno dei due in Euro 1.500,00 oltre interessi a far data dal 29 novembre 1996 al saldo e compensava le spese. Avverso tale decisione proponeva appello il S. ed in esito al giudizio, in cui si costituivano gli appellati la Corte di Appello di Bologna con sentenza depositata in data 23 giugno 2008 rigettava l’impugnazione condannando l’appellante al pagamento delle spese del grado. Avverso la detta sentenza il S. ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in 15 motivi. Resistono con controricorso, illustrato da memoria, le altre parti.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

In via preliminare, deve premettersi che il Collegio ha raccomandato la motivazione semplificata. Ciò premesso, al fine di inquadrare più agevolmente il complesso delle doglianze formulate dal ricorrente, può tornare utile premettere che con i motivi di impugnazione, contrassegnati dai nn 1, 2, 4, 5, 7 e 12, il S. ha lamentato in particolare vizi motivazionali della decisione, i primi quattro per omessa motivazione, gli ultimi due, per motivazione insufficiente, senza accompagnare le ragioni di censura con il prescritto momento di sintesi, (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, oltre a richiedere sia l’indicazione del fatto controverso, riguardo al quale si assuma l’omissione, la contraddittorietà o l’insufficienza della motivazione sia l’indicazione delle ragioni per cui la motivazione sarebbe inidonea a sorreggere la decisione (Cass. ord. n. 16002/2007, n. 4309/2008 e n. 4311/2008). Ne discende l’inammissibilità dei relativi motivi di impugnazione, posto che la norma di cui all’art. 366 bis citato non può essere interpretata nel senso che il momento di sintesi possa desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo di ricorso, poichè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione. Ed invero il momento di sintesi deve consistere in una parte del motivo a ciò specificamente destinata, elaborata dallo stesso ricorrente in termini compiuti ed autosufficienti, senza che la Corte sia obbligata ad una attività di interpretazione della doglianza complessivamente illustrata, al fine di poter individuare il fatto controverso, cui si riferisce il ricorrente, e le ragioni per cui la motivazione sarebbe stata omessa o comunque sarebbe insufficiente e/o contraddittoria. Il mancato assolvimento di tale onere comporta l’inammissibilità delle censure.

Quanto alle censure, afferenti alle pretese violazioni di legge, va rilevato che con il terzo ed il quindicesimo motivo, il ricorrente ha dedotto la violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., chiedendo con il quesito relativo alla terza censura ” se comporti violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. la conferma da parte del giudice di secondo grado di sentenza che contenga compensazione delle spese processuali concessa in ipotesi di totale soccombenza della parte, senza specificazione alcuna dei giusti motivi a sostegno della compensazione medesima ed in mancanza di domanda riconvenzionale svolta dalla controparte” e chiedendo con l’ultimo quesito se viola l’art. 92 citato il giudice che disponga la compensazione, anche in caso di parziale soccombenza della parte, senza specificazione alcuna dei giusti motivi a sostegno della compensazione ed in mancanza di domanda riconvenzionale svolta dalla controparte.

Entrambe le censure, che vanno trattate congiuntamente a ragione dell’intima connessione che le lega, sono infondate. A riguardo, torna opportuno premettere che la sentenza di primo grado, di cui si discute nel caso di specie, è stata depositata nel 2003 e che prima dei recenti interventi legislativi, quello di cui alla L. n. 51 del 2006 e quello successivo di cui alla L. n. 69 del 2009, entrambi inapplicabili alla fattispecie de qua ratione temporis, la giurisprudenza di legittimità aveva avuto modo di statuire, con orientamento assolutamente consolidato, che la valutazione dell’opportunità della compensazione totale o parziale delle spese processuali rientrava nel potere discrezionale del giudice di merito (ex multis Cass. 9296/07, 16162/2004), sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di sussistenza di altri giusti motivi, essendo il sindacato di legittimità della Cassazione limitato alla violazione di legge che si verifica nel solo caso in cui le spese sono poste a carico della parte totalmente vittoriosa (Cass. 916/07). Ciò, senza trascurare l’orientamento delle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui nel regime anteriore a quello introdotto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a) deve ritenersi assolto l’obbligo motivazionale del giudice allorchè le argomentazioni svolte per la statuizione di merito (o di rito) contengano in sè considerazioni giuridiche o di fatto idonee a giustificare la regolazione delle spese adottata (cfr sez. Un. n. 20598/2008).

Passando alle successive doglianze, articolate rispettivamente per violazione o falsa applicazione dell’art. 2697, 1226 e 2056 c.c. (la sesta e l’undicesima), per violazione o falsa applicazione degli artt. 112 e 132 c.p.c. e 1226 e 2056 c.c. (l’ottava e la tredicesima), per violazione e falsa applicazione degli artt. 1226 e 2056 c.c. (la nona e la quattordicesima), occorre premettere che le varie censure vanno trattate congiuntamente proponendo profili di censura fondati sul comune presupposto, costituito dalla considerazione che il giudice del merito, dovendo statuire su una domanda di risarcimento, non assistita dalla prova dell’ammontare, avrebbe sbagliato nel ricorrere alla liquidazione equitativa invece di respingere la domanda. Ciò, senza considerare che aveva omesso di indicare i motivi dell’impossibilità o della grave difficoltà di quantificazione del danno. Le doglianze sono infondate. A riguardo, mette conto di sottolineare che la Corte di merito è partita dalla premessa che gli attori avevano ampiamente assolto all’onere di dimostrare la sussistenza e l’entità materiale dei danni subiti fornendo gli elementi probatori ed i dati di fatto che rendevano possibile l’apprezzamento equitativo. E ciò, in quanto essi avevano a tal fine “dimostrato attraverso la documentazione fotografica ed i resoconti dei sopralluoghi effettuati dall’A.U.S.L. la situazione dei luoghi e la necessità degli interventi” (cfr pag. 12 della sentenza impugnata). Pertanto, risultava già risolto in senso affermativo e favorevole ai danneggiati il primo problema, che si pone ai fini del ricorso alla valutazione equitativa del danno, vale a dire quello della certezza del danno, che doveva a tal punto considerarsi non solo effettivamente verificatosi, ma anche già accertato nella sua esistenza ontologica.

Ciò posto, restava esclusivamente la questione della misura della sua liquidazione, in relazione alla quale è attribuita al giudice la facoltà di scegliere fra i vari mezzi di prova ed i criteri stabiliti dalla legge quelli ritenuti più idonei a consentirne la determinazione, ivi compresa la liquidazione equitativa prevista dall’art. 1226 c.c. allorchè il danno non possa essere provato nel suo preciso ammontare, secondo la testuale previsione della norma richiamata.

Ora, secondo l’orientamento di questa Corte, il potere di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 cod. civ., costituisce espressione del più generale potere di cui all’art. 115 cod. proc. civ. ed il suo esercizio rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito senza necessità della richiesta di parte (ex multis Cass. 315/02, 2706/04), dando luogo ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, con l’unico limite di non potere surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilità del debitore o la mancata individuazione della prova del danno nella sua esistenza. Del resto, l’impossibilità di provare l’ammontare preciso del danno deve essere intesa in senso relativo ed è stata ritenuta sufficiente anche una difficoltà solo di un certo rilievo, ritenuta tale dal giudice del merito nell’esercizio delle sue facoltà discrezionali, così come è avvenuto nel caso di specie.

Al contrario, in tali casi, non è più consentita al giudice del merito è una decisione di non liquet e quindi la negazione dell’obbligazione risarcitoria dovendosi, per converso, ritenere contraria a diritto un’eventuale decisione di siffatto contenuto, risolvendosi tale pronuncia nella negazione di quanto, invece, già definitivamente accertato in termini di esistenza di una condotta generatrice di danno ingiusto e di conseguente legittimità della relativa richiesta risarcitoria riguardante un danno subito, accertato sotto il profilo dell'”an debeatur”. (così, anche Cass. n. 13469/2002). Ne deriva il rigetto delle doglianze esaminate.

Deve essere infine dichiarata inammissibile l’ultima censura (la decima) per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2043 e 2056 c.c.. A riguardo, premesso che il motivo di impugnazione è stato concluso dal seguente quesito di diritto ” se il diritto al risarcimento del danno per responsabilità aquiliana ex art. 2043 cod. civ. sorga anche nel caso in cui il fatto del responsabile integri una condotta legittima, perchè non vietata dalla legge, ma espressione di un suo diritto di determinazione ed azione”, deve sottolinearsi che costituisce orientamento consolidato di questa Corte quello secondo cui l’ammissibilità del motivo di impugnazione è condizionata alla formulazione di un quesito, compiuta ed autosufficiente, dalla cui risoluzione scaturisce necessariamente il segno della decisione (Sez. Un. 28054/08). Nel caso di specie, il quesito formulato non presenta i requisiti indicati e non è stato formulato correttamente, non consistendo in un interrogativo che contenga, sia pure sintetizzandola, l’indicazione della questione di diritto controversa nè la formulazione del diverso principio di diritto rispetto a quello che è alla base del provvedimento impugnato, la cui applicazione ad opera della Corte di cassazione possa condurre a una decisione di segno diverso.

Considerato che la sentenza impugnata appare esente dalle censure dedotte, il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali che liquida in Euro 1.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio, il 23 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2011

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