Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20989 del 06/10/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 20989 Anno 2014
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: FALASCHI MILENA

Rinunzia alla
comunione
SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 26582/08) proposto da:
4-4408-C
CONSORZIO ‘LE VILLE DI NEW, in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv.to Riccardo
Mariotti del foro di Roma ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, via dell’Amba
Aradam n. 24;
– ricorrente –

contro
LCR )1f1,) (4Cc-VV(543- 1 5
LUCARINI GIOVANNI, rappresentato e difeso dall’Avv.to Giuseppe Perica del foro di Velletri
(Roma), in virtù di procura speciale apposta a margine del controricorso, ed elettivamente
domiciliato presso lo studio dell’Avv.to Giuseppe Fiorino in Roma, via Premuda n. 6;
– controricorrente e ricorrente incidentale –

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Data pubblicazione: 06/10/2014

Nonché sul ricorso incidentale subordinato proposto dallo stesso Giovanni Lucarini nei confronti
del Consorzio
avverso la sentenza del Tribunale di Velletri n. 1814 depositata 1 1 11 settembre 2007.

Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;
uditi gli Aw.ti Riccardo Mariotti, per parte ricorrente, e Giuseppe Perica, per parte
resistente;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Alberto
Celeste, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale ed il rigetto di quello
incidentale condizionato.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Consorzio ‘Le Ville di Nemi’ chiedeva ed otteneva dal Giudice di pace di Genzano di Roma il
decreto ingiuntivo n. 36 in data 2.4.2001, notificato il 12 aprile 2001, nei confronti di Giovanni
LUCARINI relativamente al pagamento degli oneri consortili non corrisposti dallo stesso per E.
4.825.350 da riferire al consuntivo dell’anno 1999 ed al preventivo dell’anno 2000 per la prima,
seconda, terza e quarta rata, oltre a sette rate per la potatura dei pini interni al Consorzio, il quale
veniva opposto dall’intimato, con atto di citazione notificato il 21 maggio 2001, per avere egli
formalizzato il recesso dal Consorzio nel 1997, alla scadenza prevista nell’atto costitutivo, da
interpretarsi anche quale c.d. abbandono liberatorio.
Instaurato il contraddittorio, nella resistenza dell’intimante Consorzio, il giudice adito respingeva
l’opposizione e per l’effetto confermava il d.i..
In virtù di rituale appello interposto dal LUCARINI, con il quale si doleva che il giudice di prime
cure avesse ritenuto di non pronunciarsi sulla legittimità o meno del recesso, assumendo la
propria incompetenza, il Tribunale di Velletri, nella resistenza dell’appellato, accoglieva l’appello e

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Udita !a relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 3 ottobre 2014 dal

in riforma della decisione di primo grado, revocava il decreto ingiuntivo, condannando il
Consorzio alla restituzione di quanto percepito in virtù del titolo monitorio.
A sostegno della decisione adottata il giudice unico evidenziava che nella specie si vedeva in

organizzazione di soggetti funzionale al raggiungimento di uno scopo non lucrativo, la cui
disciplina discendeva direttamente dalla volontà manifestata nello statuto e soltanto ove esso
nulla disponeva con riguardo alla revoca, occorreva verificare la normativa più confacente al
caso.
Nella specie l’art. 22 dello Statuto consortile rinviata, per analogia, alle norme sul condominio e
sulla comunione, con la conseguenza che trovava applicazione l’art. 1104 c.c., laddove
prevedeva che il partecipante alla comunione potesse liberarsi dell’obbligo di contribuire alle
spese necessarie per la conservazione ed il godimento della cosa comune, nonché delle spese
deliberate a maggioranza, rinunziando al suo diritto, ciò che l’appellante aveva fatto con il
recesso esercitato nel 1997.
Avverso la indicata sentenza del Tribunale di Velletri ha proposto ricorso per cassazione il
Consorzio, articolato su due motivi, al quale ha replicato il LUCARINI con controricorso,
contenente anche ricorso incidentale condizionato affidato ad un unico motivo.
Il solo LUCARINI ha depositato memoria illustrativa.

ipotesi di consorzio di urbanizzazione, figura atipica, caratterizzata dall’esistenza di una stabile

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il Consorzio lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1104 c.c. in
relazione agli artt. 22 e 7 dello Statuto consortile, nonché dell’art. 1118 c.c. in quanto pur avendo
il giudice del gravame correttamente inquadrato la fattispecie, richiamando l’insegnamento della
corte di legittimità, ne ha tratto conseguenze errate, essendo norma più confacente alla specie
non l’art. 1104 c.c. in materia di comunione, bensì l’art. 1118 c.c. in materia di condominio. In tal

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senso peraltro depone l’art. 7 dello Statuto consortile, il quale prevede che ‘per tutta la durata del
Consorzio, i consorziati non possono chiedere la divisione del fondo consortile’. A conclusione
del mezzo viene formulato il seguente quesito di diritto: “è legittima l’applicazione ad un consorzio

comunione), per cui al consorziato sarebbe consentito di liberarsi dagli obblighi di contribuzione
alle spese consortile rinunciando al suo diritto, invece della norma di cui all’art. 1118 c.c. (in
materia di condominio), secondo cui il consorziato non potrebbe, rinunziando al suo diritto sulle
cose comuni, sottrarsi al contributo nelle spese per la loro conservazione?”.

Il complesso motivo, focalizzato sull’inapplicabilità dell’art. 1104 c.c. ai consorzi di
urbanizzazione, e sull’esclusione della possibilità del consorziato di sottrarsi al pagamento degli
oneri consortili attraverso il recesso owero la rinuncia ai beni comuni, é fondato.
Premesso che qui in discussione non è il recesso dal consorzio (né, quindi, la rinuncia ai servizi
offerti dal consorzio), ma l’esistenza e l’efficacia del diritto al recesso del consorziato e l’incidenza
del suo eventuale esercizio sull’obbligazione di corrispondere i contributi consortili, la soluzione
accolta dal giudice di merito, che ha applicato l’art. 1104 c.c. al recesso del singolo consorziato
dal Consorzio, risulta inadeguata. Essa, infatti, postula la qualificazione della proprietà comune
dei beni consortili alla stregua di una comunione ordinaria, e trascura il dato – essenziale nella
costituzione e nella vita dei consorzi di quel tipo – che i beni comuni sono posti al servizio delle
proprietà esclusive dei singoli consorziati, secondo un modello riconducibile non già alla

di urbanizzazione, quale quello in esame, della norma di cui all’art. 1104 o. o. (in materia di

comunione ordinaria, ma al condominio.
11 problema dell’individuazione delle norme applicabili ai consorzi di urbanizzazione, istituti atipici
con aspetti sia associativi che di realità, (derivanti, questi ultimi, dall’osservanza di obblighi
propter rem o dalle costituzioni di reciproche servitù), è stato già ripetutamente affrontato da
questa Corte, quantunque più spesso sotto il profilo dell’applicabilità, alternativamente, delle
norme in materia di condominio o di associazioni non riconosciute. E dall’atipicità del rapporto

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consortile in questione è stata argomentata, innanzi tutto, la necessità di tener conto dell’atto
costitutivo o dello statuto, al fine di rispettare la volontà espressa dai consorziati medesimi sui
vari aspetti della disciplina del rapporto, onde passare, soltanto ove questo nulla disponga al
riguardo, all’individuazione della normativa più confacente alla regolazione degli interessi implicati

socio, l’inammissibilità di un recesso ad nutum nel caso di consorzio a tempo determinato (Cass.
14 ottobre 1992 n. 11218), ma anche di consorzio a tempo indeterminato, laddove sia ravvisabile
un’esclusione statutaria di tale facoltà anche solo implicita (Cass. n. 4125 del 2003 cit.).
Dovendosi, nel caso in esame (nel quale si vede in tema di recesso dal consorzio, prospettata
anche quale ipotesi di c.d. abbandono liberatorio, in assenza di una disciplina contrattuale
specifica sul punto, fondata solo sul rinvio per analogia alle norme del codice civile sul
condominio e sulla comunione), ricercare piuttosto le norme da applicare in ragione del predetto
aspetto di realità del rapporto consortile, non si può prescindere, nell’alternativa tra norme sulla
comunione e norme sul condominio, dall’elemento caratteristico ed essenziale sopra indicato,
costituito dal nesso funzionale esistente tra beni comuni e beni in proprietà esclusiva.
Deve, pertanto, confermarsi l’insegnamento offerto dalle precedenti sentenze di questa corte, che
hanno ritenuto le disposizioni in materia di condominio legittimamente applicabili al consorzio
costituito tra proprietari di immobili per la gestione delle parti e dei servizi comuni di una zona
residenziale (Cass. 14 marzo 2001 n. 3665; Cass. 14 maggio 2002 n. 6966), con la conseguente

dalla controversia (Cass. 21 marzo 2003 n. 4125); e, conseguentemente, in tema di recesso del

esclusione delle norme sulla comunione, laddove esista una specifica disciplina in tema di
condominio (art. 1139 c.c.). In una fattispecie per molti versi analoga a quella presente, si è
ritenuto che qualora si veda in tema di consorzi di urbanizzazione finalizzati alla costruzione,
manutenzione e ripristino di opere stradali, nonché di quelle per la distribuzione dell’acqua e
dell’energia elettrica (svolgendo, ancora, tutte le altre attività comunque utili al comprensorio), va
esclusa ogni possibilità di recesso degli associati – se non per effetto di trasmissione a terzi del

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diritto di proprietà immobiliare (evidentemente esclusiva, la quale comporta altresì il trasferimento
delle pertinenze, tra le quali le quote delle cose comuni asservite alla proprietà esclusiva) (Cass.
21 marzo 2003 n. 4125).

piuttosto che a quello del condominio in ragione dell’art. 22 dello Statuto consortile, ricavato dal
rinvio, per analogia, alle norme del codice civile in materia. Il Consorzio ricorrente ha censurato la
completezza e la congruità di tale ragionamento, sostenendo che il giudice unico — pur avendo
congruamente inquadrato la fattispecie — ha valorizzato le norme sulla comunione, a discapito di
quelle sul condominio, non tenendo in alcun conto l’art. 7 del medesimo Statuto, per il quale per
tutta la durata del Consorzio i consorziati non possono chiedere la divisione del fondo consortile
e secondo il quale nessuno può pretendere di liberarsi dagli oneri connessi a determinati beni o
servizi ove continui a trovarsi in una situazione tale da beneficiare comunque degli stessi.
Orbene la complessità di tale struttura, affidata all’autonomia privata, rende necessario accertare
puntualmente quale sia la volontà manifestata nello statuto (Cass. n. 3665 del 2001), al fine di
determinare la normativa applicabile, se prevalga quella in materia di condominio ovvero quella in
materia di comunione, anche in tema di ricadute sui diritti esercitabili dal consorziato e sugli effetti
prodotti dal recesso ovvero dalla rinuncia ai beni comuni sull’obbligo di contribuire alle spese per
la manutenzione degli stessi e per la gestione dei servizi relativi, non potendo trovare
applicazione l’ad. 1104 c.c., comma primo, richiamato nell’irnpugnata sentenza, per il quale
l’obbligo del partecipante di contribuzione alle spese cessa con la rinuncia al proprio diritto, bensì
l’art. 1118 cpv. c.c., per il quale il condomino non può, rinunziando alle cose di proprietà comune,
sottrarsi alle spese per la loro conservazione laddove lo statuto ovvero l’atto costitutivo non
manifestino espressamente una volontà in tal senso.
L’accoglimento di questo motivo determina la cassazione della sentenza impugnata, la quale nel
motivare il proprio convincimento non si è attenuta al principio che, nei consorzi di

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Nella fattispecie in esame, il giudice unico ha ritenuto di dare prevalenza al dato della comunione

urbanizzazione per la disciplina dei beni in proprietà comune ai consorziati, e posti al servizio
delle proprietà esclusive dei medesimi, in difetto di diversa disciplina contenuta nell’atto
costitutivo o nello statuto, trovano applicazione le norma sul condominio, e, tra esse, l’ari. 1118

L’annullamento della sentenza comporta l’assorbimento dell’altro motivo (il secondo, con il quale
si deduce l’erronea applicazione della normativa in materia di abbandono liberato ex art. 1104
c.c. per non avere il LUCARINI indicato i beni da abbandonare, oltre ad essere previsto nella
clausola di cui all’ari. 7 dello Statuto la possibilità di abbandonare i beni comuni solo con
l’abbandono dei lotto di loro proprietà).
Passando all’esame del ricorso incidentale condizionato del LUCARINI, con il quale viene
dedotta la omessa motivazione quanto alla sostenuta legittimità del recesso quale facoltà
concessa al socio di una associazione non riconosciuta dall’ari. 24, comma 2, c.c., anche a
volere ritenere formulato il c.d. quesito di fatto (necessario per essere la controversia, ratione
temporis, soggetta alla disciplina di cui alla legge n. 40/2006), esso è inammissibile per carenza
di interesse essendo rimasto definitivamente accertato che la normativa applicabile alla specie è
quella relativa al condominio ovvero alla comunione.
Conclusivamente va accolto il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo, dichiarato
inammissibile il ricorso incidentale, e per l’effetto cessata la decisione impugnata, con rinvio al
Tribunale di Velletri, in persona di diverso magistrato, anche per la liquidazione delle spese della
fase di legittimità, che dovrà riesaminare la controversia alla luce dei principi sopra enunciati.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo, inammissibile il
ricorso incidentale condizionato;

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cpv. c.c. ad esclusione dell’art. 1104 c.c..

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del
giudizio di Cassazione, al Tribunale di Velletri, in persona di diverso magistrato.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2″ Sezione Civile, il 3 giugno 2014.

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