Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20989 del 02/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 02/10/2020, (ud. 02/07/2020, dep. 02/10/2020), n.20989

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34298-2018 proposto da:

ROBILA SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE AVEZZANA 31, presso

lo studio dell’avvocato ALESSANDRA FLAUTI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GIOVANNI BUZZONI;

– ricorrente –

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, V. CONCA

D’ORO 300, presso lo studio dell’avvocato PIETRO OSNATO,

rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSANDRO OSNATO;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

ROBILA SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE AVEZZANA 31, presso

lo studio dell’avvocato ALESSANDRA FLAUTI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GIOVANNI BUZZONI;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 1193/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 07/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CHIARA

GRAZIOSI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Il Tribunale di Milano, con sentenza del 21 marzo 2017 – a seguito di ricorso depositato il 3 marzo 2015 da Robila S.r.l. nei confronti di C.M. perchè fosse dichiarata la risoluzione del contratto preliminare di locazione ad uso non abitativo (ufficio) da loro stipulato in data 17 gennaio 2014 per inadempimento del convenuto, che avrebbe dovuto diventare conduttore nel contratto locatizio definitivo, e la sua condanna al risarcimento dei danni, con riconoscimento del diritto dell’attrice a trattenere la caparra -, dichiarava risolto il contratto per inadempimento del C., lo condannava a risarcire i danni determinati equitativamente nella misura di Euro 26.000 e dichiarava il diritto dell’attrice a trattenere la caparra.

Il C. proponeva appello principale e controparte appello incidentale. La Corte d’appello di Milano, con sentenza del 7 maggio 2018, in parziale riforma, riduceva i danni da risarcire nella misura di Euro 23.200, compensando per metà le spese di lite.

Robila S.r.l. ha proposto ricorso articolato in tre motivi e poi illustrato anche con memoria; si è difeso con controricorso il C., che ha presentato ricorso incidentale fondato su un unico motivo, da cui la ricorrente principale si è difesa con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Prima di esaminare i ricorsi, è opportuno riassumere il contenuto della sentenza d’appello laddove riforma quella di primo grado, trattandosi della questione che entrambi i ricorsi, da opposte posizioni, rendono oggetto di censura.

La corte territoriale in primis imputa una “totale infondatezza” alla tesi prospettata dall’appellante principale, cioè il C., “secondo cui, trattandosi nella specie di inadempimento agli obblighi assunti con un contratto preliminare, il danno risarcibile a controparte dovrebbe consistere nel solo “interesse negativo”… come avviene nell’ipotesi di responsabilità precontrattuale… al contrario, trattandosi nella specie di inadempimento contrattuale, ai fini del risarcimento del danno spettante al promittente locatore, deve tenersi conto, quale utile parametro di riferimento, dell’utilità venuta a mancare al medesimo in seguito alla mancata conclusione del contratto definitivo, e quindi ben può farsi riferimento, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di prime cure, all’ammontare del canone di locazione, stabilito nella specie – con il contratto preliminare – nella misura annua di Euro 39.000,00… peraltro, potendo valutarsi ragionevolmente in sei mesi il periodo di tempo entro il quale la soc. Robila, se si fosse immediatamente attivata rimettendo l’immobile sul mercato non appena ricevuta dal C. la comunicazione del suo rifiuto di sottoscrivere il contratto definitivo, avrebbe potuto reperire un nuovo conduttore, nella specie il mancato utile (e quindi il danno relativo) direttamente derivato all’attuale appellata dalla mancata conclusione, imputabile ad inadempimento del promissario conduttore, del contratto definitivo, può essere equitativamente liquidato nella misura di Euro 19.500,00 (corrispondente a sei mensilità del canone concordato), nulla potendo invece riconoscersi al titolo di (danno per) spese condominiali che (se il contratto di locazione fosse stato regolarmente concluso) avrebbero gravato sul conduttore (anzichè sul proprietario), attesa la mancanza in atti di elementi idonei a stabilire, neppure approssimativamente, il relativo ammontare… oltre all’importo di cui innanzi (pari, per quanto detto, ad Euro 19.500,00), spetta inoltre alla srl Robila…, a titolo di risarcimento del danno direttamente cagionatole dall’inadempimento di controparte, il rimborso della spesa di Euro 3.700,00…, inutilmente sostenuta, a titolo di provvigioni versata al mediatore per la stipula del preliminare di locazione… Non appare, invece, addebitabile all’inadempimento del promittente conduttore il fatto che nel concludere con un nuovo conduttore… la Robila sia riuscita a “spuntare” un corrispettivo inferiore (Euro 32.400,00 anzichè Euro 39.000,00 annui), essendo ciò verosimilmente dipeso da fattori del tutto estranei all’inadempimento del predetto promissario conduttore, legati all’andamento del mercato delle locazioni immobiliari e all’effettivo valore locativo dell’immobile”.

2.1 Il primo motivo del ricorso principale denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., comma 2, degli artt. 1226,2697c.c., degli artt. 112,115,116 c.p.c., degli artt. 2727 e 2729 c.c..

Lamenta la ricorrente che il giudice d’appello ha ridotto il quantum risarcitorio da Euro 26.000 a Euro 23.200 avvalendosi, come “utile parametro di riferimento” della mancata utilità dell’attuale ricorrente, del canone annuo di Euro 39.000 pattuito nel preliminare rimasto inadempiuto, “ma dimezzando l’importo dovuto a tale titolo”. Viene riportato il passo della motivazione della sentenza relativo alla quantificazione in Euro 19.500 del mancato utile subito dall’attuale ricorrente principale per l’inadempimento del C., deducendone anzitutto che sarebbe “evidente” che il giudice d’appello, imputando a Robila una mancata immediata attivazione per limitare il danno, avrebbe applicato, “pur senza menzionarla esplicitamente”, la norma di cui all’art. 1227 c.c., comma 2: trattandosi però di eccezione in senso stretto che, nel caso in esame, il C. non avrebbe mai sollevato, la corte territoriale sarebbe incorsa nella violazione dell’art. 112 c.p.c..

Questa prima parte del motivo, che è qualificabile come un vero e proprio submotivo, è manifestamente infondata, in quanto, come emerge dalla trascrizione della motivazione della sentenza impugnata che si è sopra compiuta, il giudice d’appello non ha attribuito, in effetti, alla promittente locatrice alcuna condotta che abbia qualificato negligente e quindi riconducibile all’art. 1227 c.c., comma 2, bensì ha meramente ricostruito la vicenda dal punto di vista fattuale, per trarne poi elementi di fondamento di una valutazione equitativa come quella alla fine adottata.

2.2 Successivamente, il motivo – rectius, il submotivo seguente – adduce che il giudice d’appello non avrebbe “tenuto nel debito conto le risultanze degli atti e documenti di causa” così commettendo un “errore di giudizio” ancora in relazione all’art. 1227 c.c., comma 2. La censura viene quindi illustrata sulla base di una serie di rilievi direttamente fattuali prospettando una vera e propria valutazione alternativa dell’esito di merito ed imputando al giudice d’appello di avere trascurato “completamente le allegazioni delle parti e le prove documentali in atti” -, ed incorre pertanto in una palese inammissibilità.

2.3 Infine, con un terzo submotivo, in evidente sviluppo della censura fattuale precedente, si viene ad attribuire al giudice d’appello violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. “per avere trascurato l’unico fatto noto e provato”, sostituendolo con il tempo occorso per trovare altri conduttori, e per averlo invece sostituito “con una mera ipotesi affatto disancorata dalle risultanze di causa, in totale assenza di indici che valessero a supportarla”, il che condurrebbe anche alla violazione e falsa applicazione dell’art. 1226 c.c., dal momento che non vi sarebbe stata “alcuna necessità di ricorrere ad una liquidazione equitativa, essendo in atti la prova documentale del più lungo periodo – diciassette mesi – precisamente occorso a Robila per reperire altri conduttori… benchè prontamente attivatasi”; si ripete che “la sentenza ha del tutto ignorato le allegazioni delle parti e le risultanze istruttorie, violando comunque la norma in esame” e assommando all’errore di diritto relativo all’art. 1226 c.c. pure l’omesso esame di un fatto decisivo e discusso, “ossia il fatto che l’immobile fosse rimasto sfitto per tutto l’anzidetto periodo, e non per sei mesi soltanto, a causa dell’inadempimento”.

E’ più che evidente che quest’ultimo submotivo altro non è che una ulteriore prospettazione di valutazione alternativa di merito, che la ricorrente tenta ictu oculi di schermare con l’invocazione degli artt. 2727,2729,1226 c.c. e dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

In conclusione, il primo motivo del ricorso principale risulta infondato nel primo dei submotivi e inammissibile nel resto.

3. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 1223 c.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si trascrive un altro passo della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla quantificazione del risarcimento riconosciuto all’attuale ricorrente per affermare che, se è vero che, “a distanza di diciassette mesi dal rifiuto ad adempiere del promissario conduttore, per non aggravare il suo pregiudizio Robila ha dovuto accettare da altri conduttori” un canone inferiore a quello previsto nel contratto preliminare con il C., “ciò significa… che a causa dell’inadempimento di quest’ultimo, oltre alla perdita subita per il periodo in cui l’immobile è rimasto sfitto, Robila ha visto sfumare il vantaggio costituito dal maggior corrispettivo”, per cui, alla luce di un calcolo aritmetico che descriverebbe il contenuto effettivo del lucro cessante, “il danno comunque patito per lucro cessante è causalmente riconducibile all’inadempimento del promissario conduttore anche per la frazione che la stessa Robila non ha potuto evitare pur essendo riuscita a contenere il pregiudizio”.

Il motivo, ictu oculi, patisce una sostanza direttamente fattuale, desunta dalla estrapolazione artificiosa di un passo della complessiva motivazione che la sentenza offre in ordine alla quantificazione equitativa del risarcimento spettante all’attuale ricorrente. Esige infatti il motivo dal giudice di legittimità l’accertamento di un quantum di diverse dimensioni che sarebbe dovuto a Robila, accertamento da operare sulla base di un calcolo appunto dalla radice puramente fattuale, il che conduce la censura alla evidente inammissibilità.

4. Il terzo motivo lamenta omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. “ancora in relazione agli artt. 1218 e 1223 c.c.”, riferendosi all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

Si adduce che nel ricorso introduttivo e nelle note conclusive del primo grado, nonchè nella memoria di costituzione con appello incidentale di secondo grado, l’attuale ricorrente avrebbe chiesto il risarcimento per il pregiudizio derivante dal non avere colto altre occasioni di locazioni a terzi nel periodo tra la firma del preliminare del 17 gennaio 2014 e “l’inatteso rifiuto” di controparte a stipulare il contratto definitivo il 30 giugno 2014 e ancora la domanda di risoluzione del 3 marzo 2015 che avrebbe reso definitivo l’inadempimento, pregiudizio che non richiederebbe specifica dimostrazione e dovrebbe essere liquidato equitativamente. Il giudice d’appello avrebbe omesso di pronunciare sulla domanda risarcitoria in parte qua.

A prescindere dal fatto che non esiste danno che non richieda al fine risarcitorio una specifica dimostrazione della sua esistenza, non sussistendo il danno in re ipsa, la sentenza impugnata non ha affatto omesso di pronunciare come il motivo prospetta.

Invero, nella pagina 8, sub d), della sentenza la corte territoriale considera proprio la questione degli effetti della mancata volontà del C. di stipulare il contratto definitivo, equitativamente determinandone le conseguenze risarcitorie. E il mancato accoglimento integrale di quanto al riguardo richiesto, id est la non condivisione del contenuto della quantificazione, non può, ovviamente, essere convertito in una omessa pronuncia.

Il motivo, pertanto, è privo di consistenza.

Il ricorso principale dunque risulta infondato.

5.1 Il C. con il ricorso incidentale presenta un unico motivo denunciante falsa applicazione degli artt. 1225 e 1453 c.c. per il diniego da parte del giudice d’appello della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità.

Adduce di avere chiesto nell’atto d’appello di applicare la disciplina della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione sotto il profilo della presupposizione nonchè la disciplina risarcitoria attenuata prevista per un contratto preliminare e non quella per il contratto definitivo, e pertanto modificare la quantificazione del danno.

La corte territoriale, “seppur (inspiegabilmente) allargando il ragionamento all’impossibilità sopravvenuta della prestazione”, avrebbe indicato i motivi del non accoglimento della “teoria dell’eccessiva onerosità sopravvenuta/presupposizione” con un’argomentazione basata su elementi di fatto (prevedibilità dei costi di ristrutturazione e ripensamento di chi avrebbe dovuto condividere l’immobile con il C.) non censurabili in sede di legittimità.

Tanto premesso, la censura – allontanandosi in parte dalla rubrica – viene focalizzata su una asserita “contraddittoria pronuncia sui criteri di determinazione del danno da inadempimento del contratto preliminare”. In tal modo, si nota fin d’ora, il motivo si colloca nella stessa tematica trattata – nel senso opposto, naturalmente – dal ricorso principale.

Si adduce che il giudice d’appello sarebbe “in contrasto con un principio affermato nel caso di specie fino alla sentenza di primo grado e mai messo in discussione nel successivo grado di giudizio nè nel presente giudizio di legittimità”, richiamando un passo della sentenza di primo grado per cui il principio di buona fede ex art. 1375 c.c. obbliga a dare rilievo alla stipulazione di un contratto preliminare, per cui non vi sarebbe stata da parte dei contraenti la volontà di stipulare subito un contratto definitivo, circostanza che non potrebbe non aver indebolito l’affidamento di ciascuno dei contraenti con conseguente attenuazione delle reciproche aspettative risarcitorie. Pertanto andrebbero “reiterati gli argomenti difensivi” agitati in primo grado in ordine alla risarcibilità del solo interesse negativo.

Seguono considerazioni relative al criterio della prevedibilità rispetto all’inadempimento del contratto preliminare e all’asserto che la prevedibilità del danno sarebbe autonomo requisito di determinazione del danno risarcibile che deve essere provato dal creditore, prova che qui non sarebbe stata fornita. Si conclude pertanto affermando che questa Suprema Corte “potrà accertare e dichiarare” che controparte “non ha dimostrato di aver subito i danni reclamati” per cui andranno “accolte le domande formulate nei giudizi di merito” dal C., e in ogni caso “la tutela eventualmente da accordare” a controparte “non potrà coincidere” con quella spettante in caso di inadempimento di un contratto definitivo, per cui la caparra dovrebbe ritenersi satisfattiva per integrare tale tutela risarcitoria “attenuata”.

5.2 Come già anticipato, il motivo, nella sua prima parte, censura – in senso antipodale rispetto alla censura già esaminata come presente nel ricorso principale – quella parte della sentenza d’appello in cui viene quantificato il risarcimento spettante alla parte che ha dovuto subire l’inadempimento della controparte.

Si è sopra riportata la motivazione che nella sentenza è presente riguardo appunto a tale risarcimento, la quale correttamente giunge ad escludere che questo debba essere confinato all’interesse negativo. E’ del tutto evidente, infatti, che un contratto preliminare ha superato lo stadio precontrattuale, anche se è proteso alla stipulazione di un ulteriore contratto, quello definitivo; pertanto, costituendo un accordo perfettamente compiuto non gli è applicabile il paradigma dell’art. 1337 c.c., come infatti ha ritenuto la corte territoriale. La censura è pertanto manifestamente infondata.

Il resto del motivo confluisce, in effetti, in una diretta fattualità che lo rende palesemente inammissibile, perseguendosi con esso una sorta di terzo grado di merito come, d’altronde, conferma la parte finale della doglianza laddove richiede espressamente accertamenti in ordine alla asserita carenza di prova dei danni da parte di Robila e alla sufficienza dell’importo della caparra ai fini del risarcimento.

Anche il ricorso incidentale, quindi, risulta infondato.

6. In conclusione, entrambi i ricorsi devono essere rigettati, dalla soccombenza reciproca derivando la compensazione delle spese del grado.

Seguendo l’insegnamento di S.U. 20 febbraio 2020 n. 4315 si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2012, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il rispettivo ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

Rigetta entrambi i ricorsi compensando le spese processuali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il rispettivo ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 2 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2020

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