Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20988 del 02/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 02/10/2020, (ud. 02/07/2020, dep. 02/10/2020), n.20988

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29474-2018 proposto da:

N.A., elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO SOMALIA 67,

presso lo studio dell’avvocato RITA GRADARA, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato PATRIZIA SUCCI;

– ricorrente –

contro

F.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BENIAMINO DE

RITIS 18, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO DI LISA,

rappresentata e difesa dall’avvocato ALFREDO IACONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 503/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 15/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CHIARA

GRAZIOSI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Il Tribunale di Avezzano, con sentenza del 30 gennaio 2017, accogliendo domande proposte da F.P. quale locatrice, dichiarava la risoluzione del contratto di locazione ad uso abitativo stipulato il 1 gennaio 2009 per inadempimento del conduttore convenuto, N.A., in riferimento al pagamento dei canoni da maggio 2015 a febbraio 2016, e condannava quest’ultimo al pagamento dei canoni scaduti, degli oneri condominiali e delle spese per il ripristino dell’immobile, per un totale di Euro 7360,90.

N.A. proponeva appello, cui controparte resisteva e che la Corte d’appello di L’Aquila rigettava con sentenza del 15 marzo 2018, pronunciata ex art. 281 sexies c.p.c..

N.A. ha proposto ricorso, che si articola in sei motivi. F.P. si è difesa con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Il primo motivo del ricorso è rubricato come denunciante violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione di legge, “tempestività ed ammissibilità del deposito della memoria di costituzione, sulla specificità delle circostanze addotte a sostegno della difesa spiegata e sulla conseguente illegittimità del mancato espletamento dell’istruttoria”, error in procedendo e violazione dell’art. 360 c.p.c.

La sentenza impugnata avrebbe violato gli artt. 667 e 416 c.p.c.: la memoria di costituzione dell’attuale ricorrente sarebbe stata tempestivamente depositata in data 7 settembre 2016, pur venendo “del tutto ignorata dai precedenti giudicanti”, e avrebbe riportato specifici mezzi di prova. Nonostante che controparte non “avesse dimostrato alcunchè”, e pur “essendo stato impedito all’intimato di fornire prova ex art. 2697 c.c. di circostanze basilari”, il Tribunale e la Corte d’appello avrebbero accolto totalmente le “richieste attoree”. Tuttavia, “se è vero” che la memoria integrativa ex art. 426 c.p.c. è stata depositata “fuori termine come ravvisato dal Giudicante”, figurerebbero comunque rilevanti mezzi di prova nella prima comparsa, “ignorata” però da entrambi i giudici di merito.

La Corte d’appello, “alla luce del verbale di riconsegna chiavi” del 12 maggio 2016, avrebbe ritenuto inammissibili le prove testimoniali ai sensi dell’art. 2722 c.c.: ordinanza quindi che dovrebbe essere annullata perchè “è stato modificato completamente lo svolgimento del processo”.

Si argomenta inoltre sul contenuto dei fatti che sarebbero da provare, e si chiede l’ammissione di prove, se necessarie, o “l’annullamento delle sentenze dei precedenti giudici sul punto”.

Come emerge dalla dettagliata descrizione del contenuto di questo motivo, è innegabile che esso costituisce una disordinata e quindi confusa miscela di questioni di diritto e di fatto, rimanendo anche generico in ordine ai pretesi capitoli rilevanti che sarebbero stati presenti nella prima “comparsa”.

Tanto la carenza di specificità relativamente ai mezzi probatori che i giudici di merito non avrebbero considerato, quanto la conformazione confusa della censura nella sua globalità che non consente di individuare l’effettivo oggetto della doglianza conducono ictu oculi alla inammissibilità.

2. Il secondo motivo denuncia omessa motivazione su un documento rilevante e pertinente, insussistenza di morosità, violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e adempimento ai sensi dell’art. 1590 c.c.

Nella sua scarna illustrazione, si asserisce che il giudice d’appello, come quello di primo grado, “incorre nel vizio di omessa motivazione” laddove non si riferisce a un documento rilevante per decidere, ovvero alla lettera raccomandata del 4 giugno 2015 che F.P. avrebbe ricevuto il 5 giugno 2015, “depositata sin dal giudizio di primo grado”. Interpretando il contenuto di questa lettera, mai contraddetta o contestata dalla controparte, si evincerebbe “inconfutabilmente la volontà di riconsegnare l’immobile” del conduttore fin dal maggio 2015. Nonostante avesse ricevuto la lettera di messa a disposizione dell’immobile, la locatrice si sarebbe resa irreperibile: “nessun atto o attività in tal senso risulta documentata”, per cui dovrebbe ritenersi sussistente una mora credendi “in quanto dovrà ricadere sulla parte creditrice/locatrice ogni pregiudizio derivante dal ritardo nella riconsegna del bene”.

La censura è priva di autosufficienza, in quanto non indica il contenuto della raccomandata su cui si impernia. Nella premessa di fatto offerta dal ricorso, tale documento viene menzionato, peraltro per affermare soltanto che ivi il N. avrebbe dichiarato di aver liberato da tempo l’immobile (ricorso, pagina 2). Nè in premessa, nè nel motivo viene fornita dunque alcuna indicazione specifica su come si era espresso il N. nella lettera così da mettere in mora per la riconsegna la locatrice.

Per di più, il motivo stesso evidenzia la necessità di interpretare il contenuto della lettera letteralmente riferendosi a “esame ed interpretazione del contenuto di tale comunicazione” -, così confermando la necessità di conoscerne puntualmente il contenuto, e corroborando quindi la carenza di autosufficienza che conduce il motivo alla inammissibilità.

Anche la parte finale del motivo – si nota oramai ad abundantiam -, riferendosi ad una pretesa assenza di documentazione in ordine all’attività svolta dalla F. dopo avere ricevuto la lettera in questione apporta inammissibilità alla censura, per la sua natura generica e fattuale.

3. Il terzo motivo denuncia omessa motivazione in merito documenti rilevanti per decidere e violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “I giudici dei precedenti gradi di giudizio” avrebbero “omesso di motivare anche in merito ad ulteriori produzioni documentali” prodotte e oggetto di contraddittorio, così violando l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Non sarebbe stata espressa alcuna “censura o motivazione” quanto “alla cessazione dei contratti di forniture domestiche, allegate (sic) alla memoria integrativa in atti”. Questi documenti, insieme con la lettera raccomandata del 4 giugno 2015, rappresenterebbero una “inequivocabile volontà di restituzione del bene da parte del conduttore”.

E’ evidente la sussistenza dello stesso genere di inammissibilità rinvenuto nel precedente motivo, poichè, nella quanto mai concisa esposizione della censura appena descritta, nulla viene indicato in ordine allo specifico contenuto di queste “ulteriori produzioni documentali”.

4. Il quarto motivo denuncia omessa motivazione, violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in ordine alla condanna alle spese di ripristino dello stato dei luoghi, nonchè violazione dell’onere probatorio ex artt. 115 e 116 c.p.c..

Ancor più sintetica delle censure precedenti, questa doglianza afferma che le sentenze di merito sono erronee “in merito alla asserita condanna delle spese per il ripristino del bene nella situazione quo ante”: il Tribunale avrebbe violato gli artt. 115-116 c.p.c. fondandosi su un mero preventivo prodotto da controparte e sempre contestato, “che non può formare alcuna prova”; il giudice d’appello, invece, “omette ogni riferimento al riguardo”.

Dovendo il motivo del ricorso per cassazione censurare la sentenza di secondo grado, e non la sentenza di primo, deve riconoscersi che il contenuto di questa censura si circoscrive dunque all’affermazione che il giudice d’appello “omette ogni riferimento al riguardo”, senza neppure richiamare un motivo del gravame che attenesse al ripristino dell’immobile, motivo che non si rinviene neppure nella premessa di fatto.

E’ evidente, quindi, l’inammissibilità della censura per assenza di un effettivo contenuto.

5. Il quinto motivo lamenta “erronea e travisata motivazione”, violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, restituzione del deposito cauzionale e degli oneri condominiali.

Il contenuto di questo motivo è tutto improntato ad una – peraltro assai concisa e quindi assertiva – contestazione delle valutazioni fattuali presenti nella sentenza impugnata, per cui travalica i confini della giurisdizione di legittimità risultando inammissibile.

6. Il sesto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1375 c.c., nonchè dei principi di buona fede e correttezza contrattuale; denuncia pure violazione di norme ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Questo motivo condivide la natura di inammissibilità propria del motivo precedente, perseguendo, in modo assai conciso, come se il giudice di legittimità potesse effettuare una valutazione alternativa degli esiti del merito, una revisione dell’accertamento fattuale.

7. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarata inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del grado – liquidate come da dispositivo – alla controricorrente.

Seguendo l’insegnamento di S.U. 20 febbraio 2020 n. 4315 si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2012, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso, condannando il ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese processuali, liquidate in complessivi Euro 3.000, oltre a Euro 200 per gli esborsi e al 15% per spese generali, nonchè agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 2 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2020

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