Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20986 del 08/09/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 08/09/2017, (ud. 24/01/2017, dep.08/09/2017),  n. 20986

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24147-2015 proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA (C.f. (OMISSIS))in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso, AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

C.M., + ALTRI OMESSI

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 322/2014 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 21/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/01/2017 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO.

Fatto

RILEVATO

che gli attuali controricorrenti adivano il Tribunale di Cagliari e, premesso di aver lavorato come lavoratori socialmente utili alle dipendenze del Ministero della Giustizia in forza di tre progetti intitolati “Miglioramento della efficienza dei servizi dell’Amministrazione della giustizia e degli uffici giudiziari”, svolgendo presso uffici diversi da quelli del giudice di pace e delle sezioni stralcio dei Tribunali, previsti nei progetti, le stesse mansioni espletate dai lavoratori dipendenti dell’Amministrazione convenuta con pari inquadramento, chiedevano l’accertamento della subordinazione e la condanna del Ministero alla corresponsione delle differenze retributive maturate e alla regolarizzazione della posizione previdenziale;

che, avverso la decisione di rigetto delle domande per i periodi per i quali non era stato dichiarato il difetto di giurisdizione, i lavoratori proponevano gravame e la Corte di appello di Cagliari, in parziale riforma della decisione impugnata, condannava il Ministero al pagamento, in favore degli appellanti, delle differenze retributive tra i compensi corrisposti agli appellanti nei periodi dal 29.6.1998 al 28.6.1999 e dal 9.8.1999 al 30.10.2000 ed il trattamento spettante ai dipendenti di ruolo con pari livello di inquadramento, oltre accessori di legge, ritenendo che, essendo stata accertata una “deviazione” in fatto dell’utilizzo delle prestazioni lavorative rispetto alle specifiche delimitazioni di cui ai progetti, doveva trovare applicazione la disciplina sul diritto alla retribuzione, in relazione al lavoro effettivamente svolto, prevista dall’art. 2126 c. c., non potendo ritenersi prescritti i crediti retributivi maturati nel periodo lavorativo dal 29.6.1998 al 28.6.1999, contrariamente a quanto ritenuto) dal primo giudice, perchè il rapporto precario di carattere fattuale privo di garanzia di stabilità;

che di tale sentenza il Ministero chiede la cassazione affidando l’impugnazione a due motivi, ai (vali hanno opposto difese dipendenti, con controricorso);

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata; che il Ministero denuncia violazione dell’art. 2126 c.c. e del D.L. 16 maggio 1994, n. 299, art. 14 convertito con modificazioni nella L. n. 451 del 1994 e del D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 1 nonchè violazione dell’art. 2948 c.c., n. 4 e L. n. 300 del 1970, artt. 18 e 35 sostenendo, con il primo motivo, che la sentenza gravata sarebbe erronea laddove non ha tenuto conto della peculiare natura dei rapporti con i lavoratori socialmente utili e della riconclucibilità dei progetti realizzati dal Ministero ai tipi di intervento individuati dalle leggi di settore, rilevando, alla stregua dei principi affermati da Cass. 21311/2014 e da S.U. 3/2014, che l’errore nel quale è incorso il giudice del gravame è l’avere omesso di considerare che, se è inconfigurabile un rapporto di lavoro subordinato, è altrettanto inconfigurabile un, rapporto di lavoro subordinato di fatto ai sensi dell’art. 2126 c.c.;

che ritiene il Collegio si debba rigettare il ricorso;

che, pure avendo questa Corte a s. u., nella sentenza n. 3/2007 richiamata, ravvisato in relazione all’impiego di lavori socialmente utili la sussistenza di un rapporto giuridico previdenziale, che viene disciplinato da una legislazione volta a garantire ai lavoratori diritti, che trovano il loro fondamento nel disposto dell’art. 38 Cost. ed esclude che il rapporto dei lavoratori socialmente utili si possa configurare come rapporto di lavoro subordinato (Cass. n. 21936 del 19/11/2004, n. 14334 del 15/06/2010, n. 9811 del 14/06/2012 (ord.), n. 2605 del 05/02/2013, n. 23061 del 10/10/2013) giova, tuttavia, chiarire che ciò che rileva nella fattispecie esaminata è in punto di fatto che è rimasto accertato che gli attuali controricorrenti, quali lavoratori socialmente utili, sono stati utilizzati dal Ministero ricorrente nei periodi dal 29.6.1998 al 28.6.1999 e dal 9.8.1999 al 30.10.2000 per la realizzazione di progetti tesi a garantire la funzionalità degli Uffici Giudiziari del Giudice di pace e a supportare I’ istituzione delle Sezioni stralcio dei Tribunali ordinari;

che in punto di diritto va evidenziato che la disciplina del Lavoro Socialmente Utile (LSU) è rinvenibile nel D.L. n. 299 del 1994, art. 14, convertito in L. n. 451 del 1994, e poi nel D.Lgs. n. 468 del 1997, che, abrogando il predetto art. 14, ha disciplinato integralmente l’istituto; che successivamente è intervenuta la ulteriore disciplina dettata dal D.Lgs. n. 81 del 2000, ma che quest’ultima non risulta richiamata anche nei motivi di ricorso in citiamo non applicabile alla controversia all’esame perchè, ratione temporis, regolata dalle precedenti norme sopra individuate;

che la Corte d’appello ha Osservato, con riguardo al periodo successivo, al giugno 1998, che gli appellanti erano stati inseriti nei progetti sopra elencati, così come pacificamente risultante in causa e che, proprio tenendo presente i suddetti progetti, ha ritenuto fondate le pretese dei lavoratori sul rilievo che vi era stata diversità tra i progetti di assunzione originari e specifici riguardanti i lavoratori in questione e l’utilizzo concreto, poichè i lavoratori appellanti erano stati impegnati ed impiegati in uffici del tutto differenti rispetto a quelli oggetto del progetto, e pertanto nessuno di loro era stato inserito negli Uffici dei Giudici di Pace o nelle Sezioni Stralcio dei Tribunali, ma utilizzati in uffici diversi (Corte di appello, Procura generale, Procura presso la Pretura, Tribunale di sorveglianza), così come risultante dalla documentazione prodotta e non contestato dal Ministero;

che, con il proposto ricorso il Ministero censura la determinazione delle differenze retributive, come operata dalla Corte d’appello, fondata sulla considerazione che le prestazioni fornite andavano valutate e regolate come prestazioni di fatto di cui all’art. 2126 c.c., alla cui stregua la “prestazione di lavoro” svolta (così qualificabile per quanto sopra detto in tema di prestazione di lavori degli LSU ed ancora per prestazioni di lavoro comunque eseguite fuori dagli schemi legali dei LSU), comporta in ogni caso il diritto alla retribuzione;

che, così argomentando, il Giudice di merito si è, invece, uniformato alle pronunce di questa Corte in materia per le quali, in tema di occupazione in lavori socialmente utili, rispetto alla prestazione che, per contenuto ed orario, si discosti da quella dovuta in base al programma originario e che venga resa in contrasto con norme poste a tutela del lavoratore, trova applicazione la disciplina sul diritto alla retribuzione, in relazione al lavoro effettivamente svolto, prevista dall’art. 2126 c.c., da reputarsi compatibile con il regime del lavoro pubblico contrattualizzato (Cass. n. 11.5.2009, n. 10759, Cass. 5.7.2012 n. 11248, Cass. 21.10.2014 n. 22287 e, da ultimo, Cass. 12.7.2016 n, 14195);

che, deve, pertanto, essere qui ribadito il principio secondo cui, se è provato che è stato prestato un diverso o ulteriore lavoro rispetto a quello oggetto del lavoro socialmente utile e tale diverso od ulteriore lavoro si è svolto in contrasto con norme poste a tutela del lavoratore (circostanze ritenute non controverse e non oggetto di specifiche censure nel ricorso in appello dalla Corte di merito), allora non vi sono ostacoli al riconoscimento dei diritti retributivi dichiarati dal giudice in relazione all’effettivo lavoro svolto;

che, quanto poi alla compatibilità tra la regola dettata dall’art. 2126 c.c., ed i rapporti di pubblico impiego contrattualizzato, essa sussiste, come è stato dimostrato in più decisioni di questa Corte (fra le altre, Cass. n. 12749/2008 e Cass. n. 14185/2016 cit.);

che anche il secondo motivo è infondato, atteso che l’assunto della stabilità reale del rapporto dei contro ricorrenti si sottrae alle critiche del Ministero ricorrente, atteso che, come affermato da questa Corte, non può qualificarsi come rapporto di lavoro subordinato l’occupazione di lavoratori socialmente utili alle dipendenze di un ente per l’attuazione di un apposito progetto, realizzandosi con essa, alla stregua dell’apposita normativa in concreto applicabile, un rapporto di matrice essenzialmente assistenziale, non garantito da stabilità reale, che pertanto è di ostacolo alla decorrenza della prescrizione in corso di rapporto (cfr. Cass. 7 febbraio 2008 n. 2887 e Cass. 22287/2014 cit.); che la Corte territoriale si è attenuta ai principi enunciati (lui richiamati e che pertanto, essendo da condividere la proposta del relatore, il ricorso va respinto con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5;

che le spese del presente giudizio di legittimità vanno regolate come da dispositivo;

che non sussistono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater per il pagamento da parte del Ministero del doppio del contributo unificato (cfr. Cass. 1778/2016).

PQM

 

rigetta il ricorso e condanna il Ministero ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 100,00 per esborsi, Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge nonchè al rimborso delle spese generali in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art.13, comma 1 bis citato D.P.R..

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 8 settembre 2017

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