Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20986 del 01/10/2020

Cassazione civile sez. II, 01/10/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 01/10/2020), n.20986

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20924-2019 proposto da:

O.F., rappresentato e difeso dall’Avvocato MANUELA AGNITELLI ed

elettivamente domiciliato presso il suo studio in ROMA, VIALE G.

MAZZINI 6;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore,

rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12 è

domiciliato;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 10073/2019 del TRIBUNALE di ROMA, depositato il

15/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/06/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con decreto n. 10073/2019, depositato il 15/05/2019, il Tribunale di Roma rigettava il ricorso proposto da F.O., nato in (OMISSIS), avverso il rifiuto del rinnovo del permesso di soggiorno per motivi umanitari emesso dalla Questura di Roma il 21.12.2017 su parere della Commissione Territoriale di Crotone. Il ricorrente deduceva la lacunosità ed iniquità del provvedimento del questore, per non essere adeguatamente motivato (basandosi esclusivamente sul rilievo di una condanna per stupefacenti emessa a sue carico, senza operare alcun vaglio sulla sua pericolosità sociale).

In particolare, il ricorrente aveva dichiarato che suo padre, ex autista del Governatore dell’Enu State, era stato ucciso per volere di questi per avere reclamato il compenso degli ultimi tre mesi di lavoro; e aveva aggiunto che, dopo la morte del padre, egli stesso si era recato a chiedere il pagamento, e che, per tale ragione, era stato ferito da alcuni emissari del medesimo uomo politico, tanto che aveva deciso di fuggire dalla Nigeria.

Chiedeva pertanto il riconoscimento del suo diritto al riconoscimento dello status di rifugiato o alla protezione sussidiaria ex D.Lgs. n. 251 del 2007 o, ancora, il riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Avverso detto decreto F.O. propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi; resiste il Ministero dell’Interno con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il primo motivo, il richiedente lamenta la “violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e art. 11, lett. e) ed f), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 (per) per illogica, contraddittoria ed apparente motivazione per aver il Tribunale rigettato la richiesta dello status di rifugiato “non riuscendo ad individuare persecuzioni per tendenze o stili di vita””.

1.2. – Con il secondo motivo, il ricorrente censura la “violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. c) e art. 3, comma 3, lett. a) e artt. 2, 3, 5, 8 e 9 CEDU, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, (per) difetto di istruttoria”,), dal momento che il rigetto della protezione sussidiaria è stato emesso senza alcuna valutazione sulla sussistenza del danno grave” per la richiedente per effetto del rimpatrio, alla luce delle condizioni sociali del Paese.

1.3. – Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la “violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) e b), artt. 3 e 7 CEDU, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, dal momento che il rigetto del riconoscimento della protezione sussidiaria è stato emesso (anche) sulla base di un giudizio prognostico, futuro (e incerto) e non “sullo stato effettivo ed attuale del Paese di origine”, ritenendo che in Nigeria non vi fosse un pericolo generalizzato”.

2. – I motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto strettamente connessi, attinenti allo status di rifugiato e alla protezione sussidiaria, in relazione alla valutazione sulle condizioni di rischio per la richiedente in caso di rientro nel Paese di origine, e sono destituiti di fondamento.

2.1. – La fattispecie è pressochè sovrapponibile ad altra decisa in sede di legittimità (Cass. n. 30965 del 2019) con argomentazioni riguardanti anche la infondatezza del quarto motivo: v. ultra), che questo Collegio condivide e fa proprie.

2.2. – Innanzitutto la Corte rammenta che “Lo straniero non può ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato per il solo fatto che vi siano nel suo paese di origine aree o regioni insicure, qualora la regione o area da cui egli provenga sia immune da rischi di persecuzione.” (Cass. n. 18540 del 2019).

Inoltre, è insegnamento consolidato quello secondo cui “In tema di protezione sussidiaria dello straniero, ai fini dell’accertamento della fondatezza di una domanda proposta sulla base del pericolo di danno di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato determinativa di minaccia grave alla vita o alla persona), una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto, il giudice del merito è tenuto, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, a cooperare nell’accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente. Al fine di ritenere adempiuto tale onere, il giudice è tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto.” (Cass. n. 11312 del 2019; conf. Cass. n. 13897 del 2019).

Orbene, le ragioni addotte dalla richiedente sul punto, alquanto generiche, attengono a profili di condotte deliquenziali conseguenti a rapporti strettamente privatistici e personali, per questioni economiche. Va poi rammentato che, sulla base degli aggiornamenti forniti dalle autorevoli fonti internazionali citate nel decreto sulle condizioni attuali del Paese di destinazione (cfr. Rapporto COI Nigeria 11 maggio 2018), l’area di provenienza non può dirsi interessata da violenza indiscriminata in presenza di conflitto armato; ciò in quanto lo stato di Enugu appartiene all’area nigeriana nota come Biafra, già teatro del sanguinoso conflitto degli anni 1966-1970, e sebbene le tensoni separatiste non siano affatto sopite e siano a volte oggetto di dura repression, non sussiste al momento una condizione di rischio generalizzato per la popolazione civile, nè del resto il ricorrente ha mai neppure ventilato di esere interessato alla causa biafrana o di avere in qualche modo fiancheggiato i gruppi separatisti attivi nella zona (in particolare Ipob e Massob).

Ciò ha portato correttamente il Tribunale a concludere per l’assenza di condizioni socio-politiche per il riconoscimento dello status di rifugiato, nonchè di condizioni di vulnerabilità particolari in capo alla richiedente ai fini della protezione umanitaria.

3. – Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta la “violazione del combinato disposto di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 19, comma 1, violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. c), e comma 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (per) illogica, contraddittoria e apparente motivazione, per avere il Tribunale rigettato la richiesta di protezione umanitaria e suo tempo riconosciuta dalla Commissione di Crotone, senza oparare un esame specifico e attuale della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente, con riferimento al paese di origine e alla persistenza della sua vulnerabilità”.

3.1. – Il motivo non può essere accolto. Va ribadito il principio secondo il quale “Il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie deve essere frutto di valutazione autonoma in relazione ad una condizione di vulnerabilità in capo al richiedente, assumendo al riguardo rilievo, in assenza di prove del racconto dell’interessato ed in difetto di sollecitazioni ad acquisizioni documentali, quantomeno la credibilità soggettiva del medesimo. (Nella specie, questa Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva negato la protezione umanitaria in capo al ricorrente che, oltre a non fornire la prova circa la sussistenza di una condizione di vulnerabilità, aveva reso un racconto non credibile circa la propria vicenda personale)” (Cass. n. 11267 del 2019).

La sentenza censurata anche sotto il profilo oggetto dell’ultimo motivo è rispettosa dei principi giurisprudenziali sopra richiamati, dal momento che ai fini della valutazione della richiesta di protezione umanitaria non si è limitata a ritenere sufficiente la ritenuta inattendibilità della dichiarante per l’illogicità delle dichiarazioni rese.

Il Tribunale ha infatti richiamato puntuali fonti aggiornate ai fini della valutazione di eventuali profili di vulnerabilità generale, informazioni che si incrociano con la ritenuta non attendibilità delle dichiarazioni della richiedente circa la propria vicenda personale, dovendosi (come detto) escludere che la regione stia vivendo una situazione di diffusa e sistematica violenza di entità tale da rilevare ai fini del riconoscimento anche della protezione sussidiaria, nè sono evidenziati particolari profili di vulnerabilità personale.

Infine, per consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 4455 del 2018), l’inserimento lavorativo, linguistico e affettivo del richiedente costituisce un fattore concorrente, ma non sufficiente da solo ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria. Laddove peraltro, nella specie, per il Tribunale (nonostante gli otto anni trascorsi dal suo arrivo in Italia) neppure “emerge che lo straniero si sia inserito in una realtà sociale di riferimento; non vi è evidenza di fragilità specifiche determinate da ragioni di salute, non risulta che svolga attività lavorativa, o che disponga di fonti di guadagno lecite. Vi è contezza se mai di un suo coinvolgimento in attività connesse allo spaccio di sostenze stupefacenti” (affermazione, questa, oggetto di mera contestazione della parte ricorrente, che si è limitata ad osservare, senza alcun altro supporto probatorio, che “il ricorrente ha un contratto di lavoro a tempo indeterminato, ed è accolto in una struttura religiosa dove ha ricevuto i Sacramenti del Battesimo, Comunione e Cresima).

4. – Il ricorso è dunque infondato. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso al controricorrente delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2020

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA