Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20985 del 06/10/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 20985 Anno 2014
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: SAN GIORGIO MARIA ROSARIA

SENTENZA

sul ricorso 30157-2008 proposto da:
ROVIDOTTI

AUGUSTO

RVDGST37H06M082P,

ANDREOZZI

ANTONELLA NDRNNL41S57F499H, elettivamente domiciliati
in ROMA, VIA ANDREA DORIA 48, presso lo studio
dell’avvocato FERDINANDO EMILIO ABBATE, che li
rappresenta e difende;
– ricorrenti –

2014
1420

contro

CONDOMINIO VIA PALMANOVA 22 VITERBO 9000170566,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA EZIO 47, presso
lo studio dell’avvocato PIETRO CARLINO, rappresentato

Data pubblicazione: 06/10/2014

e difeso dall’avvocato MARIA ANTONIETTA RUSSO;

con troricorrente

avverso la sentenza n. 4378/2007 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 24/10/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

ROSARIA SAN GIORGIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ALBERTO CELESTE che ha concluso per
l’inammissibilità in subordine rigetto del ricorso.

udienza del 03/06/2014 dal Consigliere Dott. MARIA

tu

Svolgimento del processo
1. – Con sentenza del giudice monocratico del Tribunale di Viterbo in
data 4 luglio 2003, in accoglimento della domanda del Condominio di Via
Palmanova n. 22 in Viterbo, i signori Augusto Rovidotti e Antonella

condizionamento apposti sulla facciata estrema del condominio e
all’integrale ripristino dello stato dei luoghi.
Il Rovidotti e la Andreozzi proposero appello avverso detta sentenza.
2. – La Corte d’appello di Roma, con sentenza depositata il 24 ottobre
2007, respinse il gravame. Le censure formulate dagli appellanti
involgevano essenzialmente la inesatta applicazione dei principi
evincibili dall’art. 1102 cod.civ. sotto due profili, la dedotta
impraticabilità di una diversa soluzione tecnica per poter dotare il loro
appartamento, situato all’ultimo piano, di impianto di riscaldamento
autonomo dopo la delibera di trasformazione adottata dall’assemblea
condominiale in data

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aprile 2000, e la dedotta inidoneità degli

impianti per il riscaldamento apposti sulla facciata del palazzo
condominiale a pregiudicarne il pregio architettonico ed estetico, anche
tenendo conto di analoghi interventi posti in essere da altri condomini,
tanto più che nessuna indagine era stata svolta su un effettivo
deprezzamento dell’immobile e delle singole unità che lo compongono.
Aggiungevano gli appellanti che il Comune di Viterbo, avendo emesso
provvedimento in sanatoria delle opere realizzate in data 28 giugno 2002,
aveva accertato la insussistenza di un impatto negativo o di pregiudizio
dal punto di vista ambientale, paesaggistico o urbanistico.
3

Andreozzi furono condannati alla rimozione dei macchinari di

Al riguardo la Corre di merito osservò anzitutto come la avvenuta
concessione della sanatoria in via amministrativa fosse irrilevante e
come non fosse ammissibile in quella sede la produzione di una relazione
di parte del tutto impropriamente detta “a chiarimenti” di altra

Quindi, nel condividere le argomentazioni espresse dal primo giudice
sulla insussistenza di qualsiasi elemento dal quale potesse desumersi la
impossibilità tecnica di adottare altri sistemi di riscaldamento
autonomo, come la installazione di caldaie esterne, osservò la Corte
capitolina che si evinceva bene dalle allegate fotografie la grandezza
dei due macchinari.
La dimensione degli stessi e la loro collocazione – erano quasi
“aggrappati” alla gronda del tetto, della quale rompevano la soluzione di
continuità – costituivano elementi che, unitamente al rilievo della
arbitrarietà di un uso della parte più alta della facciata comune, in
luogo della parte che delimita la singola unità immobiliare in
corrispondenza dei balconi privati, determinava la violazione del
precetto di cui all’art. 1102 cd.civ.

relazione.

3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorrono il Rovidotti e la
Andreozzi sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso il
Condominio di Via Palmanova n. 22 di Viterbo.
Motivi della decisione
1.

Per ragioni di priorità logica appare opportuno esaminare per primo

il secondo motivo di ricorso, con il quale si deduce violazione o falsa
applicazione dell’art. 1120 cod.civ. Si lamenta che la Corte di merito

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14.

abbia considerato alterato il decoro architettonico del fabbricato per
effetto della realizzazione dell’impianto in oggetto senza valutare la
obiettiva rilevanza, incidenza e gravità delle innovazioni di cui si
tratta e la idoneità delle stesse a produrre un pregiudizio

stata

necessaria

in

considerazione dell’intervenuta sanatoria in via

amministrativa delle opere realizzate, evidentemente ritenute perciò non
pregiudizievoli per l’ambiente.
La illustrazione del motivo si conclude con la formulazione del seguente
quesito di diritto, ai sensi dell’art. 366-bis cod.proc.civ., applicabile

nella specie ratione temporis :.

2. – La censura è infondata.
La sentenza impugnata, premesso che il fabbricato aveva struttura e linee
architettoniche residenziali ed era inserito in un ambito paesaggistico
protetto, ha condiviso l’affermazione del primo giudice secondo la quale
era facilmente evincibile dalle fotografie prodotte la lesione al decoro
architettonico dell’edificio derivante dalle dimensioni delle due
apparecchiature e dalla loro collocazione quasi “aggrappati” alla gronda

del tetto, di cui rompevano la continuità.

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economicamente apprezzabile. A maggior ragione tale valutazione sarebbe

La Corte capitolina ha così fatto corretta applicazione dell’art. 1120
cod.civ., tenuto conto che costituisce innovazione lesiva del decoro
architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non solo

comunque si rifletta negativamente sull’aspetto armonico di esso,

a

prescindere dal pregio estetico che possa avere l’edificio e che

la

relativa valutazione spetta al giudice di merito, ed è insindacabile in
sede di legittimità ove non presenti vizi di motivazione (v. Cass., sent.
n. 10350 del 2011).
Deve aggiungersi a ciò che i rapporti tra l’esecutore delle opere e

la

pubblica autorità investita della tutela urbanistica non possono
interferire negativamente sulle posizioni soggettive attribuite agli
altri

condomini dall’art. 1120, secondo coma,

cod.civ., per la

preservazione del decoro architettonico dell’edificio.
Ne consegue che, al fine di accertare la legittimità, ai sensi del citato
art. 1120, secondo comma, cod.civ., della innovazione eseguita dal
proprietario di un piano o di una porzione di piano, in corrispondenza
della sua proprietà esclusiva, è irrilevante che l’autorità preposta alla
indicata tutela abbia autorizzato l’opera (v. Cass., S.U., sent. n. 2552

del 1975).
3. – Le esposte argomentazioni danno altresì conto della infondatezza del
terzo motivo, con il quale si denuncia ancora violazione o falsa
applicazione dell’art. 1120 cod.civ., per non essersi la sentenza
impugnata pronunciata sulla idoneità della nuova opera a riflettersi
negativamente sull’insieme dell’armonico aspetto dello stabile,
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quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che

limitandosi a sottolineare il mutamento delle originali linee
architettoniche. Motivo che si conclude con la formulazione del seguente
quesito di diritto:< Il decoro architettonico - la cui violazione implica divieto ex art. 1120 c.c. dell'innovazione apportata dal condominio alla linee architettoniche dell'immobile, ma quando la nuova opera si rifletta negativamente ed in concreto sull'insieme dell'armonico aspetto dello stabile?›. 4. - Tornando ora al primo motivo di ricorso, con esso si deduce omessa e/o insufficiente motivazione per non avere la sentenza impugnata chiarito come sarebbe stata alterata, con la innovazione in questione, la funzione propria della gronda, del tetto e della facciata o la loro funzionalità. La illustrazione del motivo si conclude con la formulazione del seguente momento di sintesi: .

5. – La censura è inammissibile per carenza di interesse.
Va, al riguardo, segnalata la duplicità della

ratio

decidendi

della

sentenza, che sottolinea, da un lato, che i condizionatori erano quasi
7

CL

aggrappati alla gronda del tetto, della quale rompevano la continuità, e,
dall’altro, che essi costituivano elementi che, unitamente al rilievo
dell’arbitrarietà di un uso della parte più alta della facciata comune,
in luogo della parte che delimita la singola unità immobiliare in

1102 cod.civ. , secondo il quale ciascun partecipante può servirsi della
cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli
altri di farne uso.
Ebbene, attesa tale duplicità di
sentenza impugnata,

la

ratíones decidendi

che emerge dalla

eventuale insufficiente motivazionale sulla

sussistenza della alterazione della destinazione della cosa comune e
della sottrazione della stessa all’uso paritetico da parte degli altri
condomini, denunciata con il motivo in esame, non determinerebbe comunque
la caducazione della sentenza, sorretta dall’altra

ratio,

già

favorevolmente scrutinata con gli altri motivi di ricorso.
6. – Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. In applicazione
del criterio della soccombenza, le spese del presente giudizio, che
vengono liquidate come da dispositivo, devono essere poste a carico dei
ricorrenti in solido.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento
delle spese del giudizio, che liquida in compressivi euro 3200,00, di cui
euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione
civile, il 3 giugno 2014.

corrispondenza dei balconi privati, determinavano la violazione dell’art.

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