Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20983 del 12/10/2011

Cassazione civile sez. III, 12/10/2011, (ud. 04/07/2011, dep. 12/10/2011), n.20983

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMATUCCI Alfonso – Presidente –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.A. (OMISSIS), M.S.

(OMISSIS), M.G. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, P.LE MEDAGLIE D’ORO 72, presso lo

studio dell’avvocato CLAUDIO CIUFO, rappresentati e difesi

dall’avvocato SPARTI ROBERTO giusto mandato in atti;

– ricorrenti –

contro

GBS S.C.p.A. quale mandataria e rappresentante della Soc. TORO

ASSICURAZIONI S.P.A. (OMISSIS) in persona dei procuratori

speciali Dott. C.P. e Dott. V.A.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 35, presso lo

studio dell’avvocato VINCENTI MARCO, che la rappresenta e difende

giusto mandato in atti; INA ASSITALIA S.P.A. (in virtù di fusione di

INA VITA S.P.A. e ASSITALIA LE ASSICURAZIONI D’ITALIA S.P.A.)

(OMISSIS) in persona del procuratore speciale

dell’amministrazione delegato p.t. Avv. T.G.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. FERRARI 35, presso lo

studio dell’avvocato GIAN MARCO SPANI, che la rappresenta e difende

giusto mandato in atti;

– controricorrente –

e contro

P.A.T. (OMISSIS), P.L.,

P.C.A. (OMISSIS), P.M.

A. (OMISSIS), A.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 574/2008 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 29/04/2008 R.G.N. 687/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/07/2011 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito l’Avvocato MARCO VINCENTI per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo che ha concluso per l’accoglimento del terzo motivo del

ricorso, rigetto del primo e secondo motivo, assorbiti gli altri.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 29/4/2008 la Corte d’Appello di Palermo accoglieva parzialmente il gravame interposto dalla sig. S.A.M. nei confronti della pronunzia Trib. Palermo 7/2/2005, di parziale accoglimento della domanda proposta dai sigg. P.L. ed altri di risarcimento dei danni sofferti in conseguenza di sinistro stradale, avvenuto il (OMISSIS) al Km. 56,61 dell’Autostrada (OMISSIS) in territorio di (OMISSIS), tra l’autovettura condotta dal predetto e quella condotta dal sig. M.F..

Per l’effetto, in parziale riforma della sentenza di primo grado – confermata per il resto, condannava la compagnia assicuratrice Assitalia s.p.a. al risarcimento dei danni sofferti dalla S., moglie del M. e terza trasportata.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito la S., unitamente alle figlie M.G. e S., propone ora ricorso per cassazione, affidato a 6 motivi, illustrati da memoria.

Resistono con separati controricorsi la società Ina Assitalia s.p.a.

(già Assitalia – Le Assicurazioni d’Italia s.p.a) e la società G.B.S. s.c.p.a., mandataria e rappresentante della società Toro s.p.a., la quale ultima ha presentato anche memoria.

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 2 motivo, da esaminarsi in via logicamente prioritaria, le ricorrenti denunziano violazione e falsa applicazione degli artt. 2054, 1227 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si dolgono che la corte di merito, disattendendo le emergenze della perizia abbia escluso il concorso di colpa del P., erroneamente ritenendo il M. esclusivo responsabile del sinistro de quo.

Formulano al riguardo il seguente quesito di diritto: “dica la Corte se la violazione del limite di velocità accertato dal perito d’ufficio, nonchè il fatto che P., invece di rallentare diminuendo l’eccessiva velocità e comunque di iniziare un’azione frenante, abbia preferito suonare il clacson, a fronte di un pericolo evidente ed imminente, integrino condotte tali da determinare un concorso di colpa nella causazione del sinistro a norma degli artt. 2054 e 1227 c.c.”.

Il motivo è inammissibile, in applicazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 366 bis c.p.c. e art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5.

L’art. 366 bis c.p.c., dispone che nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4 l’illustrazione di ciascun motivo deve, a pena di inammissibilità, concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (cfr. Cass., 19/12/2006, n. 27130).

Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede allora che con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto.

Il quesito di diritto deve essere in particolare specifico e riferibile alla fattispecie (v. Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), risolutivo del punto della controversia – tale non essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità (v. Cass., 3/8/2007, n. 17108) -, e non può con esso invero introdursi un tema nuovo ed estraneo (v.

Cass., 17/7/2007, n. 15949).

Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c., deve comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo, sicchè la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile, non potendo considerarsi in particolare sufficiente ed idonea la mera generica richiesta di accertamento della sussistenza della violazione di una norma di legge (v. Cass., 28/5/2009, n. 12649).

Orbene, nel caso il quesito di diritto recato dal 2 motivo di ricorso non risulta informato allo schema delineato da questa Corte (cfr. in particolare Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), non recando invero la riassuntiva indicazione degli aspetti di fatto rilevanti; del modo in cui gli stessi sono stati dai giudici di merito rispettivamente decisi; della diversa regola di diritto la cui applicazione avrebbe condotto a diversa decisione.

Il formulato quesito, nel sostanziarsi in espressioni evocanti le non accolte tesi difensive, si palesa invero privo di decisività, tale cioè da non consentire, in base alla sua sola lettura (v. Cass., Sez. Un., 27/3/2009, n. 7433; Sez. Un., 14/2/2008, n. 3519; Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., 7/4/2009, n. 8463), di ben individuare le questioni affrontate e le soluzioni al riguardo adottate nella sentenza impugnata, nonchè di precisare i termini della contestazione (cfr. Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645;

Cass., Sez. Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360), e di circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (cfr., Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

L’inidonea formulazione del quesito di diritto equivale invero alla relativa omessa formulazione, in quanto nel dettare una prescrizione di ordine formale la norma incide anche sulla sostanza dell’impugnazione, imponendo al ricorrente di chiarire con il quesito l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (v. Cass., 7/4/2009, n. 8463; Cass. Sez. un., 30/10/2008, n. 26020; Cass. Sez. un., 25/11/2008. n. 28054), (anche) in tal caso rimanendo vanificata la finalità di consentire a questa Corte il miglior esercizio della funzione nomofilattica sottesa alla disciplina del quesito introdotta con il D.Lgs. n. 40 del 2006 (cfr., da ultimo, Cass. Sez. un., 10/9/2009, n. 19444).

La norma di cui all’art. 366 bis c.p.c. è d’altro canto insuscettibile di essere interpretata nel senso che il quesito di diritto possa, e a fortiori debba, desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, giacchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (v.

Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

Tanto più che nel caso il motivo risulta formulato in violazione del principio di autosufficienza, atteso che le ricorrenti fanno richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito es., al “processo per omicidio colposo”, alla sentenza penale, all’atto di citazione in primo grado, alla sentenza di primo grado, all’atto di appello, alla perizia esperita nel processo penale, ai “dati oggettivi rilevati dal perito” limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente ed esaustivamente – per quanto in questa sede d’interesse – riprodurli nel ricorso (in ordine alla prova testimoniale esperita in primo grado vengono ad esempio riportate le risposte date da alcuni testi escussi, ma non anche i capitoli ammessi cui esse ineriscono), ovvero puntualmente indicare in quale sede processuale, pur individuati in ricorso, risultino prodotti, e, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, se siano stati prodotti anche in sede di legittimità, laddove la mancanza anche di una sola delle suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile (cfr. Cass., 23/9/2009, n. 20535; Cass., 3/7/2009, n. 15628; Cass., 12/12/2008, n. 29279).

Con il 1 motivo le ricorrenti denunziano contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si dolgono che la corte di merito abbia affermato che la velocità mantenuta in occasione del sinistro fosse quella consentita di 110 km/h, in contrasto con le emergenze processuali, e in particolare della perizia, e non indichi cosa il conducente avrebbe dovuto fare.

Formulano al riguardo il seguente momento di sintesi: “Ritengono i ricorrenti che la contraddizione consiste nel dichiarare che secondo il perito il P. procedeva a velocità consentita, laddove la perizia accerta che egli teneva una velocità senz’altro superiore ai 110 Km/h. La motivazione è dunque contraddittoria e incoerente laddove.

Dell’affermare di condividere le conclusioni della perizia, ne contraddice i dati oggettivi in caso messi in rilievo, ossia che il P. procedeva a velocità superiore al limite fissato dalle norme vigenti all’epoca, in violazione del D.M. n. 284 del 1998, lett. b, n. 2 che fissa tale limite in 110 km/h. Ma la contraddizione e l’incoerenza non si ferma a questo giacchè nel dichiarare che il P. ha fatto quanto era possibile per evitare l’impatto la sentenza non spiega quali condotte il P. avrebbe concretamente posto in essere, e cioè non motiva, mentre il perito gli rimprovera di essersi messo a suonare il clacson anzichè rallentare la sua eccessiva velocità e frenare tempestivamente, invece di suonare”.

Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

Risponde a principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità che, a completamento della relativa esposizione il vizio di motivazione deve indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione: a) del fatto controverso; b) degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione; c) degli argomenti logici per i quali tale diversa valuta2ione sarebbe stata necessaria (art. 366-bis c.p.c.).

Al riguardo, si è precisato che l’art. 366 bis c.p.c. rispetto alla mera illustrazione del motivo, impone un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile, ai fini dell’assolvimento del relativo onere essendo pertanto necessario che una parte del medesimo venga a tale indicazione “specificamente destinata” (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002).

Orbene, nel caso il 1 motivo non reca la “chiara indicazione” – nei termini più sopra indicati – delle relative “ragioni”, tale non potendo invero ritenersi il formulato momento di sintesi, il medesimo in particolare non recando – oltre ad una congrua, sintetica e riassuntiva, indicazione del fatto controverso – la prospettazione della decisività dell’elemento di prova asseritamente non o mal valutato.

Non risultano infatti delineati gli argomenti logici per i quali tale la valutazione o la diversa valutazione della dedotta circostanza avrebbe nel caso assunto decisiva rilevanza (es., assenza di altre violazioni, comportamenti anomali, concause, ecc.), atteso che l’avere – in tesi – superato la massima velocità consentita di 110 Km/h di perse non depone per la sicura ed esclusiva efficienza causale della condotta ai fini della determinazione dell’evento, a tale stregua inammissibilmente rimettendosene l’accertamento (spettante al giudice di merito: v. Cass., 10/5/2005, n. 9754; Cass., 9/11/2005, n. 21684) all’attività esegetica di questa Corte, con interpretazione che si risolverebbe altresì nell’abrogazione tacita della norma in questione (cfr. Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658;

Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

Non può d’altro canto sottacersi che anche la mancata o diversa considerazione di una circostanza non si traduce necessariamente in una illogicità o in una contraddizione della motivazione, giacchè il vizio di motivazione non consiste nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito (v. Cass., 14/3/2006, n. 5443; Cass., 20/10/2005, n. 20322), non potendo essere esso utilizzato per far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte, nè valendo ai fini della proposizione di un pretesamente migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti attengono al libero convincimento del giudice (v. Cass., 9/5/2003, n. 7058).

Secondo risalente orientamento di questa Corte al giudice di merito non può invero imputarsi di avere omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacchè nè l’una nè l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa l’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento come nella specie, risulti da un esame logico e coerente, non di tutte le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, bensì di quelle ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo. In altri termini, non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse (v.

Cass., 9/3/2011, n. 5586).

Il motivo di ricorso per cassazione viene altrimenti a risolversi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice del merito, id est di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di legittimità.

Con il 3 motivo le ricorrenti denunziano violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Si dolgono che la corte di merito non si sia pronunziata sull’eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento dei danni vantato nei loro confronti.

Il motivo è fondato e va accolto nel limiti di seguito indicati.

Come indicato, nel rispetto del principio di autosufficienza, dalle (sole) ricorrenti M.S. e G. (non anche quindi dalla S.), sin dal primo atto difensivo le medesime hanno sollevato eccezione di prescrizione del diritto vantato dai sigg.ri P. ed A. nei loro confronti, deducendo la decorrenza del termine ex art. 2947 c.c., per essere state citate solamente il 12/9/2003 in relazione a sinistro avvenuto il (OMISSIS).

Di tale eccezione, dalle suddette M. riproposta in sede di gravame, la stessa corte di merito da invero atto nell’impugnata sentenza (pag. 6 e – non numerata – pag. 13), senza tuttavia poi esaminarla nel merito, dandone (adeguatamente) conto in motivazione.

Con il 4 motivo le ricorrenti denunziano “violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 752, 754 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 4)”.

Si dolgono che la corte di merito li abbia condannate al risarcimento dei danni in via solidale, laddove quali eredi dell’originario debitore esse rispondono in proporzione delle rispettive quote.

Il motivo è fondato.

Risponde a principio risalente e consolidato nella giurisprudenza di legittimità che gli eredi del responsabile civile di un incidente stradale sono tenuti a soddisfare il debito ereditario (e cioè l’obbligazione risarcitoria per equivalente pecuniario) in ragione delle rispettive quote attive cui succedono, e non solidalmente (v.

Cass., 10/6/1987, n. 5066; Cass., 16/12/1971, n. 3681.V. anche Cass., 17/10/1989, n. 4155).

In caso di successione mortis causa di più eredi si determina infatti un frazionamento dell’originario debito del de cuius fra gli aventi causa, con la conseguenza che il rapporto che ne deriva non è unico ed inscindibile, e, nell’ipotesi di giudizio instaurato per il pagamento, non si verifica alcun litisconsorzio necessario tra gli eredi del debitore defunto, nè in primo grado nè nelle fasi di gravame, neppure sotto il profilo della dipendenza di cause (in tali termini, con riferimento ad ipotesi di successione nel rapporto obbligatorio, cfr. Cass., 9/3/2006, n. 5600, e, da ultimo, Cass., 4/6/2010, n. 13644).

Orbene, nel confermare la sentenza di primo grado nella parte prevedente la condanna delle odierne ricorrenti al pagamento “in solido” di somma in favore degli attori P., la corte di merito ha invero disatteso il suindicato principio, implicitamente rigettando la censura al riguardo in tale sede mossa.

Con il 5 motivo le ricorrenti denunziano violazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Si dolgono che, nonostante la parziale riforma della sentenza di prime cure, la corte di merito nulla abbia pronunziato in ordine alle spese di quel giudizio.

Pongono al riguardo il seguente quesito di diritto: “dica la Corte se viola l’art. 91 c.p.c. la sentenza che in caso di accoglimento di domande rigettate in prime cure, non riliquidi in favore dell’appellante anche le spese di detto giudizio”.

Risulta altresì formulato il seguente ulteriore quesito: “Dica inoltre la Corte se in un processo con pluralità di parti e di domande, assumendo come criterio di liquidazione delle spese il singolo rapporto processuale viola o meno l’art. 91 c.p.c., la sentenza che liquida alla parte vittoriosa una somma inferiore rispetto all’altra parte, anch’essa vittoriosa, nonostante la posizione processuale della prima sia più complessa ed articolata di quella della seconda, e senza motivare sulle ragioni della preferenza.

Il motivo, ammissibile solamente in relazione al primo quesito, laddove il 2 si palesa generico e privo di riferibilità e decisività giusta quanto più sopra in proposito osservato, è fondato e va accolto nei termini di seguito indicati.

Nell’impugnata sentenza la corte di merito, in accoglimento del gravame interposto dall’appellante S., ha condannato la società Assitalia s.p.a. (ora Ina Assitalia s.p.a.) al pagamento in favore della medesima della somma di Euro 8.164,29, oltre ad interessi, in riforma sul punto della sentenza di 1 grado Trib.

Palermo 7/2/2005 che aveva dichiarato tale domanda inammissibile e infondata.

Nel condannare la società Assitalia s.p.a. (ora. Ina Assitalia s.p.a.) al pagamento in favore della medesima anche delle spese del secondo grado di giudizio, nulla la corte di merito ha invece pronunziato in ordine alle spese del giudizio di primo grado, pur avendo dato in precedenza atto che la domanda dalla suddetta spiegata in appello si estendeva anche alla “vittoria di spese, di entrambi i gradi di giudizio”, laddove costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità che il giudice di appello, allorchè riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, dato che l’onere di esse va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite, dando congrua motivazione al riguardo (cfr., da ultimo, Cass., 30/8/2010, n. 18837).

Dell’impugnata sentenza s’impone pertanto, assorbito il restante 6 motivo (con il quale le ricorrenti denunziano violazione dell’art. 1917 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la cassazione in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’Appello di Palermo perchè, in diversa composizione, proceda a nuovo esame.

La Corte di merito pronunzierà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il 3, il 4 e p.q.r. il 5 motivo, rigetta il 1, dichiara inammissibile il 2 e assorbito il 6. Cassa in relazione l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Palermo, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 4 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2011

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