Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20983 del 01/10/2020

Cassazione civile sez. II, 01/10/2020, (ud. 30/01/2020, dep. 01/10/2020), n.20983

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19828-2019 proposto da:

O.O., rappresentato e difeso dall’Avvocato ROSA ODDONE ed

elettivamente domiciliato presso il suo studio in TORINO, VIA

PALMIERI 40;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore;

– intimato –

avverso il decreto n. R.G. 10753/2018 del TRIBUNALE di TORINO, emesso

il 10/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/01/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con provvedimento notificato in data 9.4.2018 la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale rigettava l’istanza proposta da O.O. per il riconoscimento della protezione internazionale.

Avverso il provvedimento proponeva impugnazione il richiedente, chiedendo al Tribunale di Torino il riconoscimento della protezione sussidiaria e, in subordine, della protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

Il MINISTERO dell’INTERNO si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della domanda. Il P.M. concludeva come in atti.

Con decreto del 10.4.2019 il Tribunale di Torino rigettava la domanda.

Il richiedente, cittadino nigeriano, convocato davanti alla Commissione Territoriale, riferiva che i genitori erano morti, che era sposato e aveva tre figli e nel 2010 aveva iniziato a fare l’autista di un pulmino per trasporto di persone. Dichiarava che una sera alcuni ragazzi avevano prenotato il pulmino per andare a una festa, ma che, giunti sul posto, non lo avevano pagato. Dopo un’ora sarebbero scesi dieci ragazzi, che gli avevano chiesto di condurli in un posto che gli veniva indicato di volta in volta, anche se il richiedente dopo un’ora di viaggio si era fermato, essendo poi costretto a proseguire essendo minacciato da uno di loro con una pistola. Dopo un’altra ora di viaggio lo avevano fatto fermare vicino a una casa in costruzione nel bosco e si erano spogliati, volendo che avesse un rapporto sessuale con ognuno di loro. Al suo rifiuto, gli avevano fatto bere un liquore che gli aveva provocato perdita di coscienza, ed era stato colpito con una pistola sulla bocca, subendo la rottura dei denti. Al mattino seguente si era svegliato e con il pulmino che gli avevano lasciato era andato in ospedale per curarsi i denti.

Aggiungeva che in seguito si era recato alla polizia, che non aveva raccolto la denuncia in mancanza del pagamento di una somma di denaro. Affermava che aveva ripreso a lavorare, ma che di nuovo si erano ripresentati quei ragazzi. Così aveva deciso di lasciare il suo paese nel gennaio 2016. Affermava che in caso di rientro avrebbe avuto timore di incontrare nuovamente quei ragazzi.

La Commissione Territoriale aveva motivato il rigetto del riconoscimento della protezione internazionale sulla base della convinzione che il racconto del richiedente non fosse credibile. Il Collegio ne ha condiviso le ragioni, evidenziando l’inverosimiglianza del fatto che alcuni ragazzi avrebbero condotto il ricorrente in un bosco e si sarebbero poi allontanati lasciando il pulmino nella disponibilità del richiedente, nonostante si trovassero in un bosco, luogo isolato raggiunto dopo due ore di viaggio. Ed essendo del tutto inverosimile che, dopo la commissione dei fatti violenti narrati, gli autori si fossero ripresentati rischiando di essere incriminati per i rapporti omosessuali che si sarebbero consumati davanti al richiedente, tenuto conto della rilevanza penale del fatto in Nigeria. Nè era ritenuto credibile che il ricorrente non avesse potuto denunciare il fatto per assenza di denaro, atteso che dopo breve tempo dal fatto intraprendeva un viaggio migratorio sostenendone interamente le spese con i risparmi del proprio lavoro.

Con riferimento alla protezione sussidiaria, il Tribunale riteneva che non ricorressero nè le ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) (rischio di condanna a morte o trattamento inumano) nè quella di cui alla lett. c) dello stesso D.Lgs. (violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale), in quanto Benin City, in Edo State, dalle informazioni raccolte, non risultava coinvolta nella situazione prevista dalla norma.

Quanto alla richiesta di rilascio del permesso di soggiorno D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6 il Giudice di merito rilevava che anche se nelle more del giudizio era entrato in vigore il D.L. n. 113 del 2018, convertito con L. n. 132 del 2018, che modificava l’art. 5, comma 6, T.U.I., tale normativa non si applicava ai procedimenti in corso come quello per cui è causa, in base al principio di irretroattività della legge.

Avverso il decreto propone ricorso per cassazione O.O. sulla base di due motivi; l’intimato Ministero dell’Inteno non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta “Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. c) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 o comunque omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, richiamando la giurisprudenza recente che conferma l’accettabilità della prova attenuata, posta a carico del richiedente, proprio perchè nella maggior parte dei casi una persona che fugge da persecuzioni arriva sprovvista di tutto persino dei documenti personali. Nella fattispecie, la vicenda personale nasce dalla complessità della società africana, che non può essere compresa secondo canoni di valutazione tipici delle società evolute. La sentenza dovrebbe pertanto essere cassata in quanto il Tribunale non avrebbe valutato le fonti aggiornate sulla situazione in atto in Nigeria.

1.1. – Il motivo è inammissibile.

1.2. – Va premesso che la nozione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), dev’ essere interpretata in conformità della fonte Eurounitaria di cui è attuazione (direttive 2004/83/CE e 2011/95/UE), in coerenza con le indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte di Giustizia UE (Grande Sezione, 18 dicembre 2014, C-542/13, par. 36), secondo cui i rischi a cui è esposta in generale la popolazione di un paese o di una parte di essa di norma non costituiscono di per sè una minaccia individuale da definirsi come danno grave (v. 26 Considerando della direttiva n. 2011/95/UE), sicchè “l’esistenza di un conflitto armato interno potrà portare alla concessione della protezione sussidiaria solamente nella misura in cui si ritenga eccezionalmente che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 15 direttiva, lett. c), a motivo del fatto che il grado di violenza indiscriminata che li caratterizza raggiunge un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia” (v., in questo senso, Corte Giustizia UE 17 febbraio 2009, Elgafaji, C465/07, e 30 gennaio 2014, Diakitè, C285/12; v. Cass. n. 13858 del 2018; Cass. n. 30105 del 2018).

Nel caso, il giudice di merito ha puntualmente valutato la situazione del paese di origine della richiedente, giungendo ad escludere la ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c) all’esito di un’articolata analitica valutazione desunta da numerosi siti internazionali accreditati, senza peraltro che il ricorrente abbia, in senso contrario, addotto altre fonti, essendosi limitato a contestare quanto in quelle affermato.

Il pericolo di atti terroristici da parte dei Boko Haram e l’insicurezza determinata dal bunkeraggio petrolifero valorizzati nel ricorso non contrastano tali valutazioni, essendo stati valutati dal giudice di merito che li ha ritenuti non tali, anche per la diversa collocazione territoriale rispetto alla zona di provenienza della richiedente, da integrare una situazione di violenza generalizzata (da ultimo, Cass. n. 105 del 2020).

Il motivo si sostanzia, dunque, in una censura di merito all’accertamento di fatto compiuto dal Tribunale ed in tal senso risulta inammissibile, considerato che il vizio di motivazione rappresentato dal travisamento di fatti decisivi non è riconducibile al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, là dove il Tribunale avrebbe del tutto omesso di valutare la condizione di vulnerabilità al fine di concedere la protezione umanitaria. Si ribadisce la situazione di estrema vulnerabilità del ricorrente in relazione allo stress emotivo e alla sofferenza psichica in atto. La mancata disamina su tale punto si tradurrebbe in omessa motivazione circa la valutazione dei seri motivi, tali da giustificare il rilascio del permesso di soggiorno.

2.1. – Il motivo è inammissibile.

2.2. – Va rilevato che la denuncia di “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, non è più riconducibile al paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nella nuova formulazione adottata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile alle sentenze impugnate dinanzi alla Corte di cassazione ove le stesse siano state pubblicate in epoca successiva al 12 settembre 2012, e quindi ratione temporis anche a quella oggetto del ricorso in esame, emessa il 10/04/2019.

Il novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 consente (Cass. sez. un. 8053 del 2014) di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio di omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

Nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente avrebbe dunque dovuto specificamente e contestualmente indicare oltre al “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017). Ma, nei motivi in esame, della enucleazione e della configurazione della sussistenza (e compresenza) di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde potersi ritualmente riferire al parametro di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 non v’è specifica adeguata indicazione. Laddove, poi, è altrettanto inammissibile l’evocazione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 con riferimento non già ad un “fatto storico”, come sopra inteso, bensì a questioni o argomentazioni giuridiche (Cass. n. 22507 del 2015; cfr. Cass. n. 21152 del 2014; ciò in quanto nel paradigma ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 non è inquadrabile il vizio di omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass. n. 26305 del 2018).

3. – Il ricorso va dichiarato inammissibile. Nulla per le spese giacchè l’intimato non ha svolto alcuna difesa. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, c. 1-quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2020

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