Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2098 del 24/01/2019

Cassazione civile sez. VI, 24/01/2019, (ud. 19/12/2018, dep. 24/01/2019), n.2098

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6085-2016 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE

FLAMINIO 60, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO PARAGALLO, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUCA MAGNI;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede

dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli

avvocati EMANUELA CAPANNOLO, CLEMENTINA PULLI, MAURO RICCI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 144/2015 del TRIBUNALE di PISTOIA, depositata

il 25/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/12/2018 dal Consigliere Dott. DORONZO ADRIANA.

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza del 25/9/2015, il Tribunale di Pistoia ha rigettato il ricorso ex art. 445 bis c.p.c., comma 6, proposto da M.A. contro le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio che aveva escluso la sussistenza del requisito sanitario per la concessione dell’assegno ordinario di invalidità, revocatagli a seguito della visita di revisione del 9/12/2012;

il tribunale, dopo aver richiesto chiarimenti al consulente tecnico d’ufficio nominato nella precedente fase, ha ritenuto che il quadro clinico da cui è affetto il ricorrente (esiti di intervento di colectomia totale per morbo di Crohn nel 1999, colite ulcerosa) non concretizzava una permanente riduzione della capacità lavorativa a meno di 1/3, in considerazione delle attitudini lavorative dello stesso;

contro la sentenza il M. propone ricorso per cassazione e formula due motivi, cui resiste con controricorso l’Inps;

la proposta del relatore sensi dell’art. 380 bis c.p.c. è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

il primo motivo di ricorso è tutto incentrato sulla errata valutazione del giudice il quale, aderendo alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, non ha tenuto conto degli effetti che la malattia produce in concreto sul ricorrente, nè della copiosissima documentazione versata in atti; si assume che la consulenza tecnica d’ufficio è carente, non avendo descritto il tipo di malattia da cui il ricorrente è affetto e la sua incidenza specifica sulla vita lavorativa; la consulenza è altresì incongrua avendo dato rilievo al tipo di lavoro svolto, quale titolare di un azienda artigiana e quindi capace, secondo il CTU, di gestire le frequenti evacuazioni (quattro o cinque volte al giorno nel primo periodo dopo l’intervento), nonchè all’attività di coltivazione dell’orto svolta nel tempo libero che, comportando una certa fatica, è sintomatica della sussistenza di energie lavorative;

tale ragionamento non considera, secondo il ricorrente, il dato di fatto che anche l’attività di management, insita nella titolarità dell’azienda artigiana, implica uno stress psicofisico e una necessità di movimenti che mal si conciliano con chi soffre di coliche ricorrenti, di numerose evacuazioni giornaliere, di astenia cronica e minima resistenza allo stress psico-fisico, laddove la coltivazione dell’orto è irrilevante ai fini di valutare le capacità lavorative del soggetto;

il secondo motivo censura la condanna alle spese del giudizio disposta dal Tribunale, nonostante l’autocertificazione presente in atti e rubricata al n. 3 dei documenti allegati al ricorso, da cui emerge che nell’anno 2014 il ricorrente aveva percepito un reddito inferiore al minimo di legge per accedere ai benefici di cui all’art. 152 disp. att. c.p.c.;

il primo motivo è inammissibile;

esso – proposto senza alcuna indicazione delle norme di legge violate e del tipo di vizio denunciato nell’ambito del catalogo indicato nell’art. 360 c.p.c. e senza che risulti osservato l’onere di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, in assenza della trascrizione e del deposito, unitamente al ricorso, della consulenza tecnica d’ufficio e della documentazione sanitaria -, è teso evidentemente a censurare l’apprezzamento delle risultanze istruttorie compiuto dal giudice di merito;

il ricorrente non lamenta infatti alcuna palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, nè l’omissione di accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi;

la censura risolve così in un mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico formale, che si traduce, quindi, in una inammissibile critica del convincimento del giudice (giurisprudenza consolidata: v. da ultimo, Cass. 6/11/2018, n. 28209; Cass. 23/10/2017, n. 24959; Cass. 20/3/2013, n. 7041; Cass. 22 gennaio 2013, n. 1472; Cass. 03/02/2012, n. 1652);

è invece fondato il secondo motivo in quanto risulta prodotta nel fascicolo di parte del ricorrente l’autodichiarazione resa ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c.;

pertanto, in parziale dissenso dalla proposta del relatore, va accolto il secondo motivo di ricorso e dichiarato inammissibile il primo; l’impugnata sentenza deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con decisione nel merito – ex art. 384 c.p.c., comma 2, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto – dichiarando il ricorrente non tenuto alle spese relative all’accertamento tecnico preventivo e ponendo le spese di CTU a carico dell’Inps;

il parziale accoglimento del ricorso giustifica la compensazione integrale delle spese del presente giudizio;

in ragione del tenore della pronuncia, che è di parziale accoglimento, non sussistono i presupposti per la condanna del ricorrente al pagamento dell’importo pari a quello versato per il contributo unificato.

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiarato inammissibile il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara M.A. non tenuto al pagamento delle spese del processo svoltosi dinanzi al Tribunale di Pistoia, ponendo a carico dell’Inps le spese di CTU. Compensa tra le parti le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 19 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2019

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