Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20978 del 08/09/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 08/09/2017, (ud. 27/04/2017, dep.08/09/2017),  n. 20978

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28243-2011 proposto da:

D.C.M., C.F. (OMISSIS), DE.CA.MA. C.F. (OMISSIS) in

proprio e nella loro qualità di socie accomandatarie e legali

rappresentanti pro tempore della ONDA BLU S.A.S. di D.C.M.

& C., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA FULCIERI PAULUCCI

DE CALBOLI 1, presso lo studio dell’avvocato DANTE GROSSI, che li

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS)

in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore,

in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. Società di

Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA N. 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati

ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, ENRICO MITTONI, LELIO MARITATO,

giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 522/2011 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 11/05/2011 R.G.N. 1368/2010.

Fatto

RITENUTO

che la Corte d’Appello di Torino con sentenza numero 522/2011 pronunciava sull’appello proposto da D.C.M., D.c.M.nna (in proprio ed all’occorrenza nella loro qualità di soci accomandatari e legali rappresentanti pro-tempore della Onda Blu sas di D.c.M. & C. cancellata dal registro delle imprese), B.P. e M.A. tutti già soci della predetta società, avverso la sentenza del tribunale di Vercelli che aveva respinto l’opposizione alla cartella esattoriale con la quale era stato intimato alla società il pagamento di contributi ed accessori relativi al periodo 1/1/97-27/10/2001 ed alla lavoratrice P.L.;

che la Corte richiamando la sentenza delle Sezioni Unite n. 4062/2010 accoglieva il motivo di gravame relativo alla nullità della cartella emessa nei confronti di soggetto estinto come tale privo di legittimazione sostanziale e processuale, trattandosi di vizio sostanziale non soggetto alle forme ed ai termini previsti per l’opposizione agli atti esecutivi;

che nondimeno la Corte, rilevato come nella fattispecie le ricorrenti D.C.M. e De.Ca.Ma. avessero proposto il ricorso in proprio ed all’occorrenza nella qualità di soci accomandatari e legali rappresentanti pro-tempore della Onda Blu S.a.S. di D.C.M. & C., rassegnando conclusioni anche nel merito, mentre l’Inps avesse richiesto la reiezione del ricorso, la conferma della cartella e la condanna di controparte al pagamento di quanto in essa indicato; considerato che i soci accomandatari, ove sia cessata la società, rispondono per l’inadempimento delle obbligazioni sociali in solido ed illimitatamente; confermata la sussistenza dell’omissione contributiva afferente alle prestazioni rese dalla lavoratrice ritenuta subordinata all’esito di accertamento ispettivo, e respinto il motivo di gravame concernente la base di calcolo del conteggio dei contributi dovuti; condannava in solido i soci accomandatari della Onda Blu sas al pagamento dei medesimi contributi;

che contro la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i predetti soci con cinque motivi, illustrati da memoria, con i quali deducono: 1) la violazione dell’art. 418 c.p.c. per non avere l’Inps formulato domanda riconvenzionale nei confronti del socio accomandatario non destinatario della cartella e per non aver chiesto lo spostamento dell’udienza ex art. 418 c.p.c.; 2) la violazione del principio ex art. 112 c.p.c. di corrispondenza del chiesto al pronunciato in relazione alla richiesta della resistente ed alla decisione del giudice ex art. 360 c.p.c., n. 4; 3) la motivazione insufficiente su un punto decisivo della controversia per aver affermato che l’INPS avesse svolto la domanda anche nei confronti dei ricorrenti; 4) la violazione dell’art. 2697 c.c., artt. 400,414 e 416 c.p.c. in relazione alla contestazione della base di calcolo del conteggio; 5) l’insufficiente motivazione circa un altro punto decisivo della controversia per aver ritenuto generica la contestazione mossa al conteggio dell’INPS;

che l’Inps resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che i primi tre motivi di ricorso possono essere esaminati unitariamente per connessione in quanto afferiscono tutti alla condanna dei soci accomandatari in proprio, in luogo della società;

che gli stessi motivi sono infondati sia laddove sostengono che non fosse possibile pronunciare condanna nei confronti del socio accomandatario non destinatario della cartella, senza un’espressa domanda riconvenzionale con spostamento dell’udienza; sia laddove affermano che nella specie non solo non vi sarebbe stato lo spostamento dell’udienza ma nemmeno sarebbe stata proposta una domanda dall’INPS;

che al contrario la relativa domanda, come rilevato dalla Corte territoriale alle pagine 10 e 11 della sentenza, è stata proposta dall’INPS che ha chiesto “la condanna di controparte”, ossia delle stesse ricorrenti in quanto socie illimitatamente, già presenti in giudizio come ricorrenti;

che non occorreva alcuno spostamento dell’udienza in quanto l’opposizione alla cartella esattoriale innesca un ordinario giudizio di cognizione con la conseguenza che l’INPS può chiedere la condanna degli opponenti all’adempimento dell’obbligo contributivo e quindi anche del socio accomandatario che agendo in proprio, opponendosi in tale sua veste alla cartella, ha già introdotto nel giudizio la questione della sua responsabilità in relazione al debito contributivo di cui si tratta;

che pertanto non occorreva lo spostamento di udienza, previsto come necessario quando la domanda del convenuto sia diversa e soltanto ricollegata per connessione qualificata a quella già dedotta in giudizio; mentre nella fattispecie la domanda era la stessa sia sul piano oggettivo (il rapporto contributivo ed il suo adempimento) sia su quello soggettivo (in quanto il relativo ambito era rimasto ampliato dalla veste con cui avevano agito gli stessi opponenti);

che del resto il socio illimitatamente responsabile non è terzo ma debitore personale e diretto, nonchè sussidiario e può essere sempre convenuto insieme alla società nel giudizio di merito, in quanto il beneficium excussionis opera solo in sede esecutiva (come riconosciuto da ultimo questa Corte con sentenza n. 279/2007 e prima ancora con sentenza n. 17783/2015);

che pertanto nessuna violazione al principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato è stata praticata avendo l’Inps proposto rituale domanda anche nei confronti dei soci accomandatari, “controparte” essendo tutte le parti avversarie presenti in giudizio;

che è infondata anche la censura riferita al vizio di motivazione avendo la Corte offerto sul punto una spiegazione adeguata, priva di vizi logici e giuridici;

che il quarto motivo è del pari infondato in quanto la conclusione assunta della corte torinese sulla genericità della contestazione del quantum risulta puntuale e rispetta gli oneri di allegazione e prova, avendo accertato che il conteggio contributivo dell’Inps fosse stato effettuato sulla base del C.C.N.L. estetisti, ritenuto applicabile al rapporto e degli importi retributivi individuali nel minimale di legge;

che per contro la contestazione della base di calcolo utilizzata dall’INPS (Euro 950,00 al mese) era realmente generica in quanto si limitava ad affermare che lo stesso importo fosse “incomprensibile in considerazione delle funzioni rese da una giovane e inesperta ragazza in un centro estetico”, senza minimamente fare riferimento al livello contrattuale applicato dall’Inps ed a quello asseritamente dovuto; laddove è evidente che il quantum retributivo segua il livello di inquadramento talchè la contestazione dello stesso importo non è idonea ad infirmare la correttezza del calcolo effettuato dall’Inps in base al C.C.N.L.;

che il quinto motivo è infondato in quanto la censura nemmeno indica il fatto decisivo omesso o che sarebbe stato considerato in maniera contraddittoria od insufficiente, avendo al contrario la corte considerato adeguatamente tutti i fatti e logicamente ritenuto generica la contestazione dei ricorrenti, per avere l’Inps assolto correttamente al proprio onere indicando il livello retributivo ed il contratto applicabile;

che la valutazione in questione appartiene comunque all’ambito tipico del giudizio di merito ed essendo scevra da vizi logici e giuridici si sottrae a qualsiasi sindacato in questo giudizio di legittimità, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro l’elenco tassativo di motivi previsto dalla legge;

che le considerazioni svolte impongono dunque di rigettare il ricorso e di condannare la parte ricorrente, rimasta soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali liquidate in complessive Euro 3100, di cui Euro 3000 per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 27 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 8 settembre 2017

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