Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20976 del 08/09/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 08/09/2017, (ud. 11/04/2017, dep.08/09/2017),  n. 20976

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8620-2012 proposto da:

S.D., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

NADINA HELBIG 30, presso lo studio dell’avvocato VITTORIA GIARDI,

rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMO DE CESARE, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

ENEL DISTRIBUZIONE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GIOVANNI ANIMUCCIA n. 11, presso lo studio dell’avvocato LUCIANA

ROSTELLI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

ROBERTO TANZARIELLO, GAETANO GRANDOLFO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5794/2011 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 17/10/2011 R.G.N. 552/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/04/2017 dal Consigliere Dott. FEDERICO DE GREGORIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO del PROCESSO

Con ricorso in data 13.1.2006 S.D., già dipendente ENEL, premesso di aver prestato lavoro straordinario in via continuativa, in epoca anteriore al 31 maggio 1982, chiedeva accertarsi il proprio diritto alla inclusione della media mensile del compenso a tale titolo percepito nel computo del t.f.r., perciò da liquidarsi nuovamente con conseguente integrazione.

L’adito rigettava la domanda con sentenza, che veniva quindi confermata dalla Corte di Appello di Bari mediante pronuncia n. 5794/11 in data sei / 17 ottobre 2011, di rigetto dell’interposto gravame, condannando inoltre l’appellante al rimborso delle relative spese in favore dell’appellata ENEL Distribuzione S.p.a..

La Corte territoriale riteneva che dal documento sottoscritto dal lavoratore il 13-12-2002, in occasione della risoluzione anticipata del rapporto di lavoro al 28 febbraio 2003, risultava la chiara consapevolezza di rinunziare al diritto, in corrispettivo di una somma di denaro: nell’atto si affermava che la società corrispondeva a titolo transattivo l’ulteriore somma lorda di 1000,00 Euro per integrazione del trattamento di fine rapporto al solo fine di evitare qualsiasi rischio di eventuali controversie che dovessero coinvolgere il calcolo della indennità di anzianità al 31.5.1982 e del trattamento di fine rapporto nel suo complesso.

L’atto sottoscritto aveva, dunque, piena efficacia di rinunzia e/o transazione, sicchè avrebbe dovuto essere impugnato, ai sensi dell’art. 2113 c.c., nel termine di decadenza di sei mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro o dalla data della rinunzia o transazione, se successive. Il rapporto di lavoro era cessato in data 28 febbraio 2003, sicchè l’impugnativa proposta con il ricorso introduttivo del giudizio era tardiva.

Per la cassazione della sentenza d’appello ha proposto ricorso S.D., con atto del 22 marzo 2012, articolando un unico motivo, in seguito illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c.. Ha resistito con controricorso ENEL DISTRIBUZIONE S.p.a..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo il ricorrente denunzia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 violazione e falsa applicazione dell’art. 2113 c.c., nonchè – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 – omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Preliminarmente, il ricorrente assume che ENEL DISTRIBUZIONE nel costituirsi in giudizio non aveva eccepito la tardività della impugnazione dell’atto di quietanza contenuta, nell’atto introduttivo del giudizio (con il quale egli aveva chiesto dichiararsi la invalidità ed inefficacia dell’atto di quietanza eventualmente sottoscritto); l’impugnazione, di cui non era stata eccepita la tardività, aveva dunque reso invalido il negozio abdicativo.

La Corte di merito aveva, comunque, errato nell’individuare nel contenuto della quietanza una volontà dismissiva del diritto; l’unica diversità del documento – rispetto ad analoghe quietanze già ritenute prive di efficacia estintiva del diritto da questa Corte di legittimità-consisteva nel richiamo ad eventuali controversie coinvolgenti il calcolo del t.f.r., mentre per poter ravvisare una volontà di disposizione del diritto era necessario che il lavoratore avesse, da un lato, consapevolezza di quanto spettantegli, dall’altro, volontà di rinunziare a diritti determinati o almeno determinabili.

L’aver percepito la somma di 1000,00 euro a titolo di t.f.r. non consentiva di ritenere che il lavoratore avesse consapevolezza del diritto maturato, che non era determinato o determinabile: nulla si diceva circa la questione del computo del compenso per lavoro straordinario nella base imponibile di calcolo della indennità di anzianità, nè i conteggi consegnati al lavoratore contemplavano il compenso per lavoro straordinario svolto sino al 31 maggio 1982.

Il motivo è fondato, risultando in particolare nella specie erroneamente applicato l’art. 2113 c.c..

Preliminarmente, tuttavia, va rilevata l’inammissibilità del ricorso per quanto concerne la decadenza, che non sarebbe stata opposta in prime cure dalla società convenuta. Ed invero, sul punto il ricorso è del tutto carente, avendo omesso una sufficiente esposizione dei fatti della e soprattutto la specifica indicazione degli atti processuali cui si riferisce l’asserita mancata eccezione di decadenza (art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6). In particolare, non risulta in alcun modo debitamente individuata la memoria difensiva della resistente, che nemmeno è stata ritualmente riprodotta o almeno sufficientemente riassunta per la parte che qui interessa. Peraltro, la questione appare anche in contrasto con la premessa dello stesso ricorso, laddove è scritto: “Si costituiva la resistente la quale eccepiva l’intervenuta decadenza del preteso diritto e, nel merito, l’infondatezza della domanda.

Deve, pertanto, esaminarsi il vizio dedotto in riferimento al contenuto dell’atto in data 1312-2002, nel quale la Corte di merito ha rinvenuto la volontà abdicativa del diritto azionato.

Al riguardo occorre muovere dai principi di diritto affermati dalla costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la quietanza a saldo sottoscritta dal lavoratore ove contenga una dichiarazione di rinuncia riferita, in termini generici, ad una serie di titoli in astratto ipotizzabili in relazione alla prestazione di lavoro subordinato e alla conclusione del relativo rapporto, può assumere il valore di rinuncia o di transazione alla condizione che risulti accertato, sulla base dell’interpretazione del documento o per il concorso di altre specifiche circostanze desumibili “aliunde”, che essa sia stata rilasciata con la consapevolezza di diritti determinati od obiettivamente determinabili e con il cosciente intento di abdicarvi o di transigere sui medesimi; infatti, enunciazioni di tal genere sono assimilabili alle clausole di stile e non sono sufficienti di per sè a comprovare l’effettiva sussistenza di una volontà dispositiva dell’interessato (ex plurimis Cass. n. 8991/2008; 11536/06; 13792/06).

Nella fattispecie di causa i giudici dell’ appello hanno rilevato che nell’accordo sottoscritto il 22-12-2003 in occasione della risoluzione anticipata del rapporto di lavoro si affermava che la società avrebbe corrisposto a titolo transattivo la somma di 2000,00 “al solo fine di evitare qualsiasi rischio di eventuali controversie che dovessero coinvolgere il calcolo della indennità di anzianità al 31 maggio 1982 e del trattamento di fine rapporto nel suo complesso”.

Orbene, l’atto in questione, nella parte valorizzata dalla Corte di merito, non contiene evidentemente alcun riferimento al computo del compenso per lavoro straordinario ai fini dell’indennità di anzianità dovuta al lavoratore, recando soltanto un generico riferimento all’indennità di anzianità maturata al 31 maggio 1982, del tutto inidoneo a radicare nel lavoratore la consapevolezza di dismettere la pretesa (poi azionata) al computo suddetto (in termini: Cass. lav. nr. 22354/2007; nr. 20867/2006).

La consapevolezza del diritto, in altri termini, non poteva dirsi esistente a fronte della generica rinunzia a tutte le questioni relative al ricalcolo della indennità di anzianità, nè risulterebbe desumibile dal pagamento di un corrispettivo, la cui previsione nulla aggiunge sul piano della ricostruzione della volontà del lavoratore. Le circostanze di fatto poste dalla Corte di merito a sostegno della decisione non sono dunque idonee a fondare l’affermata volontà del lavoratore disporre del diritto in contestazione (v. da ultimo in termini pressochè identici Cass. lav. n. 18321 del 21/06 – 19/09/2016).

Pertanto, almeno allo stato, risulta falsamente applicato l’art. 2113.

Di conseguenza, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altro giudice di merito, che provvederà ad un nuovo esame dei fatti di causa, alla luce degli enunciati principi di diritto, provvedendo, altresì, all’esito pure al regolamento delle spese di questo giudizio.

PQM

 

ACCOGLIE nei sensi di cui in motivazione il ricorso; CASSA la sentenza impugnata e RINVIA, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Bari in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 8 settembre 2017

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