Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20971 del 13/09/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 20971 Anno 2013
Presidente: MERONE ANTONIO
Relatore: TERRUSI FRANCESCO

SENTENZA

sul ricorso 8275-2009 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente 2013
1924

contro

BERTONI RAFFAELLA, elettivamente domiciliata in ROMA
PIAZZA PIO XI 13, presso lo studio dell’avvocato CROCE
VINCENZO, che la rappresenta e difende unitamente
all’avvocato PISANI VALERIO giusta delega a margine;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 13/09/2013

avverso la sentenza n. 1/2008 della COMM.TRIB.REG. di
GENOVA, depositata il 12/02/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 30/05/2013 dal Consigliere Dott. FRANCESCO
TERRUSI;

chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato CROCE che ha
chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udito per il ricorrente l’Avvocato CAPOLUPO che ha

8275-09

Svolgimento del processo
A seguito di denuncia di successione in morte di Luciano
Bertoni, l’agenzia delle entrate notificava a Raffaella
Bertoni un avviso di liquidazione d’imposta.
La contribuente impugnava l’avviso e, nelle more del

giudizio, presentava un’istanza di definizione di lite
pendente ai sensi dell’art. 16 della l. n. 289 del 2002.
Impugnava altresì il provvedimento di diniego.
L’adita commissione tributaria provinciale accoglieva il
ricorso contro il diniego di definizione ritenendo che
l’avviso dovesse comunque farsi rientrare nella nozione di
atto di imposizione di cui all’art. 16 cit.
La sentenza era confermata dalla commissione tributaria
regionale della Liguria.
L’amministrazione ha proposto ricorso per cassazione
sorretto da un motivo, cui l’intimata ha replicato con
controricorso e successiva memoria.
Motivi della decisione
I. – Con l’unico motivo la ricorrente – deducendo
violazione e falsa applicazione dell’art. 16, 3 ° co.,
della 1. n. 289 del 2002 – censura la sentenza per avere
ritenuto definibile la lite senza considerare che tale
potevasi ritenere solo la controversia attinente a pretese
creditorie ulteriori rispetto a quelle discendenti da
elementi indicati dallo stesso contribuente per la
determinazione dell’imposta, posto che in tale ambito la
contesa investiva un atto liquidatorio esaurito da un mero

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controllo sui criteri di quantificazione della pretesa
tributaria.
Il motivo è fondato nei termini di seguito esposti.
II. – La commissione tributaria regionale, nell’aderire
all’opposta tesi giuridica della contribuente, ha svolto
la

considerazione

che

“l’avviso

di

liquidazione

dell’imposta di successione è atto impositivo perché
comporta sempre una previa valutazione della congruità dei
valori dichiarati”.
Il senso dell’affermazione si rinviene nella parte motiva
della richiamata Cass. n. 18840-06.
Ma devesi notare che questa tesi – a volte seguita da
altre decisioni, evidenzianti la natura dell’avviso quale
atto destinato a esprimere per la prima volta la pretesa
tributaria (e v. infatti oltre a Cass. n. 18840-06, anche
Cass. n. 11753-09 e Cass. n. 22846-10) – non è conforme al
prevalente orientamento di questa corte.
III. – In più occasioni è stato chiarito che la “lite
pendente”

tra

il

contribuente

e

l’amministrazione

finanziaria, suscettibile di definizione ai sensi
dell’art. 16, 3 0 co., della l. 27 dicembre 2002 n. 289, è
soltanto quella avente a oggetto l’accertamento dei
presupposti dell’imposizione o della loro entità, e non
anche quella conseguente all’impugnazione dell’avviso di
liquidazione col quale l’erario si sia limitato a
quantificare l’imposta sulla base della dichiarazione
fiscale compiuta dal contribuente, giacché in tal caso
l’atto dell’amministrazione non ha natura di atto

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impositivo (v. tra le tante Cass. n. 2598-12; n. 8196-11;
n. 6120-11; n. 4566-10; n. 3863-09; n. 11146-06).
A questo orientamento si contrappone, all’apparenza, la
tesi della richiamata Cass. n. 18840-06, sul rilievo che
in tema di condono fiscale, esulano dal concetto normativo
di lite pendente, e quindi dalla possibilità di

definizione agevolata ai sensi dall’art. 16 della l. 27
dicembre 2002 n. 289, soltanto le controversie aventi a
oggetto provvedimenti di mera liquidazione del tributo,
emanati senza il previo esercizio di un potere
discrezionale

dell’amministrazione,

cioè

senza

accertamento o rettifica e senza applicazione di sanzioni;
mentre

vi

rientra

l’impugnazione

liquidazione dell’imposta di

dell’avviso

successione,

di

il quale

comporta sempre una previa valutazione, da parte
dell’ufficio finanziario, della congruità dei valori e
dell’effettiva esistenza delle passività dichiarate,
dovendo l’ufficio, in caso di dichiarazione incompleta o
infedele, procedere alla rettifica, ai sensi dell’art. 27,
30 co., del d.lgs. 31 ottobre 1990 n. 346.
Ciò implicherebbe che, allorquando alla rettifica non si
sia proceduto, non è affatto mancata la valutazione, ma
questa è consistita nel giudicare congrui i valori
dichiarati. Sicché l’avviso di liquidazione dell’imposta
di successione sarebbe quindi compreso fra gli atti
impositivi cui si riferisce l’art. 16 della legge di
condono, contenendo necessariamente una valutazione di
congruità, e non essendo finalizzato alla mera o

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automatica liquidazione e riscossione dell’imposta in base
a valori incontestati e a parametri prestabiliti.
IV. – In verità – come esattamente evidenziato da Cass. n.
4566-10 – la pronuncia adottata da Cass. n. 18840-06
riguardava un caso nel quale, secondo quel che si legge
nella stessa sentenza, non potevasi correttamente parlare

di atto con cui l’ufficio si era limitato a chiedere
l’imposta dovuta in base ai dati dichiarati nella denunzia
di successione, posto che ivi gli eredi avevano sostenuto
– con denunzie integrative e nel corso della controversia
principale – essere il

relictum

costituito da beni

valutabili diversamente, rispetto alla liquidazione fatta
dall’ufficio, e da passività gravanti sull’asse ereditario
(v. Cass. n. 8196-11), il cui valore sarebbe stato quindi
inferiore a quello assunto.
Con la conseguenza che il principio enunciato da quella
decisione deve essere infine interpretato in relazione
all’oggetto proprio della controversia esaminata; e in tal
senso Cass. n. 18840-06 non si discosta dall’orientamento
altrimenti pressoché unanime della sezione sulla natura
dell’avviso di liquidazione d’imposta.
V. – In ogni caso il collegio osserva che, ammesso che
esista

davvero

un

contrasto

tra

i

due

filoni

giurisprudenziali (uno minoritario, l’altro nettamente
maggioritario), l’interrogativo giuridico sollevato deve
essere

sciolto

applicando

anche

all’imposta

di

successione il principio generale dell’imputazione diretta
al contribuente degli effetti della liquidazione compiuta

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in base degli elementi forniti dal medesimo nel suo atto
dichiarativo, da cui invero sortisce il procedimento
amministrativo tributario.
Per cui l’avviso di liquidazione dell’imposta principale
di successione, essendo giustappunto applicativo del
principio dell’imputazione diretta degli effetti della

liquidazione al contribuente, non va considerato come un
atto impositivo (in senso proprio) dell’amministrazione
finanziaria, ai sensi della L. 27 dicembre 2002, n. 289,
art. 16, e la relativa lite non rientra nel novero di
quelle condonabili.
Per le ragioni generali appena espresse, è errata quindi,
nella sua assolutezza, la tesi della commissione
tributaria regionale della Liguria. La nozione di “atto
impositivo”, ai sensi e per gli effetti della 1. 27
dicembre 2002, n. 289, art. 16, non abbraccia, invero,
qualsiasi atto estrinsecante, per la prima volta, una
determinata pretesa tributaria. Non lo abbraccia ove,
trattandosi di atto limitato alla liquidazione del tributo
sulla base di elementi ricavati dalla dichiarazione, esso
non abbia provveduto alla rettifica della congruità dei
valori dichiarati.
VI.

Previa enunciazione del suddetto principio,

l’impugnata sentenza va cassata con rinvio alla medesima
commissione tributaria regionale, diversa sezione, per
nuovo esame delle questioni di merito, infine non
affrontate, involte dalla controversia principale.

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Il giudice di rinvio provvederà anche

eSENTE DAREGISTIOJR).W
AI SENSI DEL D.P.R. 261 9ttie
N. 13 TAD. ALL.
MATERIA TRIBUTARIA
sulle spese del

giudizio di cassazione.
p.q.m.
La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e
rinvia alla commissione tributaria regionale della Liguria

Deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta
sezione civile, addì 30 maggio 2013.

Il Cinsigliere est nsore
N L1/4.04.1.)-Le

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anche per le spese del giudizio di cassazione.

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