Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20970 del 08/09/2017


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Cassazione civile, sez. II, 08/09/2017, (ud. 07/07/2017, dep.08/09/2017),  n. 20970

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20593/2013 proposto da:

C.C., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR 10

presso lo studio URBINATI, quale difensore di se stesso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI URURI, in persona del Sindaco p.t., C.C.,

elettivamente domiciliato in ROMA, presso la Cancelleria della Corte

di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato ROSANNA BURI, in

virtù di procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

U.N., C.A., G.G.;

– intimati –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di LARINO, depositata il 4/6/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

07/07/2017 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

C.C. proponeva proponeva opposizione avverso il decreto di liquidazione dei compensi emesso in favore del CTU Ing. U.N., nell’ambito del giudizio pendente dinanzi al Tribunale di Larino, che vedeva l’opponente quale attore, al fine di ottenere il ristoro dei danni subiti dal proprio immobile ad opera del Comune di Ururi e di alcuni suoi funzionari.

Il Tribunale con l’ordinanza impugnata in primo luogo ribadiva che non potevano essere oggetto di disamina le contestazioni afferenti la validità formale della CTU, ed in particolare la contestazione circa l’illegittimità della concessione della proroga ovvero la violazione dei termini di cui all’art. 195 c.p.c., dovendo la nullità dell’elaborato peritale essere valutata dal giudice della causa di merito.

Del pari riteneva non deducibili in sede di opposizione le contestazioni in merito alla scelta del giudice di disporre un rinnovo degli accertamenti già svolti nella fase dell’ATP (e ciò in ragione dell’indisponibilità del CTU nominato nella fase ante causam, a rendere i chiarimenti richiesti), dovendosi in ogni caso ribadire l’autonomia del giudice in merito alla decisione di rinnovare la consulenza tecnica d’ufficio, non essendo precluso nell’ambito del giudizio a cognizione piena demandare ad un nuovo consulente gli stessi quesiti che già avevano costituito oggetto dell’accertamento preventivo.

Quanto all’asserita carenza di correttezza delle indagini peritali e delle conclusioni rese dall’ausiliario, il Tribunale evidenziava che in sede di opposizione sono ammissibili solo le censure che si riferiscono alla liquidazione del compenso, esulando invece le questioni concernenti la validità ed utilità della consulenza, non potendosi tantomeno ridurre gli onorari a vacazione in considerazione della ritenuta opinabilità delle conclusioni espresse.

Poichè al consulente può essere negato il diritto al compenso solo nel caso in cui tutto l’elaborato debba reputarsi un fuor d’opera ovvero laddove le conclusioni siano del tutto vaghe o basate su argomentazioni inconsistenti, nel caso di specie doveva invece reputarsi che il CTU avesse risposto ai quesiti disposti in maniera soddisfacente, occorrendo evidenziare che la quantificazione del compenso appariva commisurata alla complessità e numerosità dei quesiti affidati.

Quanto infine alla censura concernente il carico delle spese della CTU, l’ordinanza richiamava la circostanza che si trattava in parte qua di una decisione a contenuto anticipatorio e che risultava corrispondere a quanto dettato dall’art. 90 c.p.c., ben potendosi poi pervenire ad una diversa soluzione all’esito del giudizio di merito.

Per la cassazione di tale ordinanza propone ricorso C.C. sulla base di sette motivi.

Il Comune di Ururi ha resistito con controricorso.

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva in questa fase.

Il primo motivo di ricorso denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 62 c.p.c., in quanto il decreto di liquidazione avrebbe ratificato l’operato ed il compenso al CTU il quale, a fronte dell’incarico ricevuto, aveva indagato e concluso unicamente in tema di responsabilità, escludendo che sussistesse quella dei convenuti.

Il settimo motivo denunzia la violazione sotto altro profilo dell’art. 62 c.p.c., per avere il CTU compiuto delle indagini del tutto fuor d’opera, in quanto dalle conclusioni rese dall’ausiliario non si evince alcuna risposta o richiamo ai quesiti, addebitandosi la responsabilità dei danni reclamati alla condotta di un terzo estraneo al giudizio.

I due motivi che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati.

A tal fine deve richiamarsi il costante orientamento di questa Corte, peraltro ben tenuto presente dal giudice di merito, per il quale (cfr. Cass. n. 3024/2011) in tema di liquidazione del compenso al consulente tecnico d’ufficio, secondo la disciplina recata dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 170, che lascia sostanzialmente invariata la natura e la struttura del procedimento di opposizione alla anzidetta liquidazione già previsto dalla L. 8 luglio 1980, n. 319, art. 11,avverso il decreto di liquidazione non possono proporsi questioni relative alla utilità e validità della consulenza tecnica, che attengono al merito della causa e vanno fatte valere nella relativa sede (conf. Cass. n. 4799/2006).

I motivi di ricorso, che difettano del requisito di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, nella parte in cui omettono di riportare in maniera puntuale i quesiti affidati al CTU e le risposte rese da parte dell’ausiliario, si risolvono evidentemente nella affermazione secondo cui la mancata rispondenza delle risposte del CTU alle aspettative della parte, specie per quanto attiene evidentemente alla verifica del nesso di causalità, che funge da presupposto per l’affermazione di responsabilità dei convenuti, dovrebbe altresì portare a denegare il diritto dell’ausiliario al compenso.

Il giudice di merito, con accertamento in fatto, non sindacabile in sede di legittimità, ha di contro ritenuto che l’elaborato peritale rispondesse alle richieste del giudice della causa di merito, contrapponendo il ricorrente a tale convincimento l’apodittica affermazione secondo cui l’avere escluso la responsabilità dei convenuti rendeva la consulenza un fuor d’opera.

Il secondo motivo di ricorso denunzia la violazione dell’art. 102 c.p.c., nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Il motivo oltre a palesarsi inammissibile nella parte in cui introduce una questione nuova, non avendo parte ricorrente indicato se ed in quale fase del procedimento di opposizione la violazione de qua fosse stata dedotta, questione che peraltro implica evidentemente accertamenti in fatto in ordine alla dedotta situazione di comproprietà si sostanzia anche qui nella deduzione di un preteso vizio di nullità, in realtà non già del solo elaborato peritale, ma dello stesso giudizio nel quale è stato nominato l’ausiliario, che si sarebbe svolto a detta del ricorrente a contraddittorio non integro.

Il motivo però risulta formulato in modo evidentemente generico, mancando qualsivoglia indicazione in merito alle ragioni per le quali sussisterebbe una situazione di litisconsorzio necessario con tal C.R.M. (che peraltro secondo quanto sostenuto in controricorso sarebbe proprietaria di un’unità immobiliare distinta da quella appartenente al ricorrente), dovendosi altresì sottolineare che la mancata partecipazione alle operazioni peritali del preteso litisconsorte, rende in ogni caso inopponibile allo stesso l’esito della CTU espletata (e ciò anche a tacere del fatto che non potrebbe il ricorrente far valere un pregiudizio eventualmente patito da un terzo).

Il terzo motivo denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 696 c.p.c., in quanto, nonostante l’esperimento di un ATP non contestato dalle parti, sarebbe stata disposta una nuova CTU con i medesimi quesiti già affidati al primo consulente.

Il quinto motivo lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio costituito dal fatto che il giudice della causa di merito con l’ordinanza del 22/3/2011 aveva ritenuto necessario convocare il perito nominato in sede di ATP per rendere i chiarimenti, ma che a seguito della sua indisponibilità, aveva nominato l’ing. U., che però aveva ritenuto impossibile rendere chiarimenti sull’altrui operato. L’affidamento all’ U. dei medesimi quesiti già oggetto dell’ATP, in luogo dei soli chiarimenti costituisce una evidente violazione del disposto di cui all’ordinanza citata.

I due motivi che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione sono del pari infondati.

Ed, invero ribadita la legittimità della decisione del giudice di procedere ad un rinnovo della CTU, nonostante il già avvenuto deposito dell’ATP (ben dovendosi ritenere che il conferimento dell’incarico all’ing. U. valga come implicita revoca della precedente ordinanza che aveva invece ritenuto procedere alla sola richiesta di chiarimenti), atteso che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 8355/2007) rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di disporre indagini tecniche suppletive o integrative di quelle già espletate, di sentire a chiarimenti il consulente tecnico di ufficio ovvero di disporre addirittura la rinnovazione delle indagini, con la nomina di altri consulenti (conf. Cass. n. 27247/2008), trattandosi di principio estensibile non solo alle CTU disposte in corso di causa, ma anche alla decisione di rinnovare gli accertamenti svolti ai sensi dell’art. 696 c.p.c., è evidente che i motivi investono non già la sussistenza del diritto al compenso e la sua misura, che costituiscono appunto l’oggetto del giudizio di opposizione, ma la valutazione a monte circa l’utilità delle indagini deferite al consulente, scelta che invece compete al giudice della causa di merito, e la cui correttezza va appunto risolta attraverso le censure suscettibili di essere proposte nei confronti della decisione della causa nel merito.

Il quarto motivo di ricorso denunzia la nullità del procedimento in quanto non sono stati acquisiti gli atti ritenuti necessari al fine della decisione dell’opposizione, malgrado fosse stato impartito il relativo ordine.

Il motivo va disatteso attesa anche la sua assoluta genericità, mancando in particolare la puntuale indicazione di quali documenti aventi carattere decisivo ai fini della valutazione del giudice dell’opposizione non siano stati presi in esame, e che invece l’attuazione dell’ordine di acquisizione avrebbe permesso di poter valutare.

Il sesto motivo di ricorso denunzia infine la violazione dell’art. 195 c.p.c. per inosservanza dei doveri e dei tempi stabiliti per l’esecuzione dell’incarico nonchè l’omesso esame di fatti decisivi da parte del Tribunale.

In particolare si evidenzia che il ricorrente aveva immediatamente segnalato la violazione da parte dell’ausiliario dei termini concessi dal giudice per il deposito della relazione e soprattutto per la presentazione di eventuali osservazioni ad opera del ricorrente.

Pertanto in presenza di gravi vizi formali, tempestivamente denunziati, la consulenza deve ritenersi inutilizzabile, non potendo quindi essere accordato alcun compenso al consulente.

Il motivo è infondato, ritenendo il Collegio di dover dare continuità a quanto di recente precisato da questa Corte in punto di rapporti tra giudizio di opposizione avverso il decreto di liquidazione dei compensi del CTU e di nullità della consulenza stessa, essendosi per l’appunto affermato che (Cass. n. 5200/2017) la patologia processuale dell’attività del consulente tecnico d’ufficio, idonea a determinare la nullità della relazione ed il conseguente venir meno del suo diritto alla liquidazione del compenso, deve essere necessariamente oggetto di declaratoria da parte del giudice del merito cui compete, in via esclusiva, detta valutazione.

La doglianza de qua, come peraltro puntualmente rilevato dal giudice di merito, esula dal novero di quelle suscettibili di trovare ingresso in sede di opposizione, rendendo quindi evidente l’infondatezza del motivo proposto.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al rimborso delle spese in favore del Comune controricorrente, così come liquidate in dispositivo.

Nulla a disporre quanto alle spese di lite nei confronti degli intimati che non hanno svolto attività difensiva.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore del controricorrente che liquida in complessivi Euro 1.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 8 settembre 2017

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