Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20966 del 17/10/2016


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Cassazione civile sez. lav., 17/10/2016, (ud. 18/05/2016, dep. 17/10/2016), n.20966

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18541-2011 proposto da:

B.A., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA

GIULIANA 66, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO GUIDA DI GUIDA,

che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

ROMA CAPITALE, C.F (OMISSIS), in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, presso gli UFFICI DELL’AVVOCATURA

CAPITOLINA, VIA DEL TEMPIO DI GIOVE 21, presso lo studio degli

avvocati ALESSANDRO RIZZO e CARLO SPORTELLI, che la rappresentano e

difendono giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6308/ 2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 25/01/2011 r.n.g. 8385/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/05/2016 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito l’avvocato GUIDA DI GUIDA FABRIZIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per l’inammissilità in subordine

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- La sentenza attualmente impugnata (depositata il 25 gennaio 2011) respinge l’appello di B.A. avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 8010/2007, di rigetto della domanda del B. – dipendente del Comune di Roma con mansioni di Istruttore di Polizia Municipale – volta ad ottenere la dichiarazione di illegittimità e il conseguente annullamento della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per un giorno, irrogatagli, per comportamento negligente ed omissivo consistito nell’essere stato trovato da un istruttore direttivo all’interno di una cabina della polizia municipale in maniche di camice, intento nella lettura di un giornale, incurante del caotico ingorgo che si era creato nella circolazione stradale nei pressi della cabina stessa.

La Corte d’appello di Roma, per quel che qui interessa, precisa che:

a) con il primo motivo di appello il B. non introduce significativi elementi di critica all’accertamento dei fatti effettuato in primo grado, peraltro confermato dalla deposizione dell’istruttore direttivo, che non può essere contrastata dalla deposizione della collega dell’appellante, giunta sul posto dopo l’intervento dell’istruttore stesso;

b) anche il secondo motivo di appello va respinto, in quanto non esiste alcun principio di parità di trattamento in materia disciplinare e, comunque, le due vicende messe a confronto risultano differenti;

c) deve essere disatteso anche il terzo motivo perchè deve considerasi implicitamente la censura di mancata considerazione, come esimente dell’addebito in sede disciplinare, dello stato di salute del B. deve considerarsi implicitamente respinta dal motivato apprezzamento del primo giudice di incongrruità delle asserzioni dell’interessato al riguardo, salvo restando che l’amministrazione solo in occasione del procedimento disciplinare è venuta a conoscenza delle condizioni di salute del B., con un certificato medico che peraltro ne attesta l’idoneità a prestare servizio continuativo e incondizionato;

d) va respinto anche il quarto motivo con il quale si sostiene la sproporzione della sanzione, senza alcuna specifica critica alla valutazione del Tribunale in ordine alla gravità della condotta in relazione alla situazione del traffico della zona, valutazione che va confermata.

2.- Il ricorso di B.A., illustrato da memoria, domanda la cassazione della sentenza per quattro motivi; resiste, con controricorso, ROMA CAPITALE, in persona del Sindaco pro tempore.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Sintesi dei motivi di ricorso.

1.- Il ricorso è articolato in quattro motivi.

1.1.- Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, insufficiente motivazione in merito alla disparità di trattamento riservata al B. dall’Amministrazione, come dedotta nei motivi di appello.

Si sostiene che la Corte d’appello, al pari del primo giudice, si sarebbe limitata ad affermare l’insussistenza di un principio di parità di trattamento in materia disciplinare – che il B. non ha mai contestato – mentre non avrebbe considerato che il ricorrente lamentava – e oggi lamenta – che gli è stato riservato un trattamento irragionevolmente diverso con riguardo al diritto di usufruire di una pausa per recuperare le energie durante l’orario di lavoro, rispetto a quello applicato alcuni colleghi che erano stati colti in servizio mentre “banchettavano all’interno della Sala Radio della UO 3^ Gruppo” dei Vigili Urbani, il cui procedimento disciplinare era stato archiviato, benchè il Dirigente avesse negato la sussistenza della previsione di una pausa per consumare i pasti.

1.2.- Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66, art. 8 (che “ratione temporis” trova applicazione agli addetti al servizio della polizia municipale, essendo il D.Lgs. 19 luglio 2004, n. 213, che ne ha escluso l’applicazione per tali lavoratori successivo ai fatti di causa). In materia di diritto del lavoratore ad effettuare, durante l’orario di lavoro, una pausa per recuperare le energie, previsto anche dall’art. 151 del CCDI del Comune di Roma applicabile nella specie.

Si precisa che, escludendo la sussistenza della suindicata disparità di trattamento, la Corte romana avrebbe implicitamente negato il diritto del vigile viabilista alla pausa, riconosciuto, invece, dalla su richiamata normativa.

1.3.- Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, insufficiente motivazione sul terzo motivo di appello, con il quale si deduceva che l’organo disciplinare non aveva considerato, quale esimente dell’asserita trasgressione disciplinare, lo stato di salute del ricorrente, noto da tempo all’amministrazione e risultante da certificazione medica in cui si attestava una “limitazione al mantenimento della stazione eretta per lunghi periodi”.

Si sostiene l’illogicità della statuizione della Corte territoriale, secondo cui l’asserzione della brevissima durata della pausa – “pochi istanti” – sarebbe smentita dal fatto che in così breve tempo non si sarebbe potuto produrre l’ingorgo alla circolazione dei veicoli, il cui verificarsi è pacifico.

1.4.- Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, insufficiente motivazione sul quarto motivo di appello, relativo alla lamentata eccessività della sanzione derivante dall’assenza di conseguenze per il servizio, visto che l’ingorgo era già presente quando il B. è giunto sul posto.

3 – Esame delle censure.

3 – L’esame congiunto di tutti i motivi di censura – reso opportuno dalla loro intima connessione – porta al loro rigetto, per le ragioni di seguito esposte.

3.1. Nonostante il formale richiamo alla violazione di norme di legge, contenuto nell’intestazione del secondo motivo, tutte le censure si risolvono nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata per errata valutazione del materiale probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti e quindi finiscono con l’esprimere un mero, quanto inammissibile, dissenso rispetto alle motivate valutazioni di merito delle risultanze probatorie di causa effettuate dalla Corte d’appello, anzichè sotto il profilo della scorrettezza giuridica e della incoerenza logica delle argomentazioni svolte dal Giudice del merito, unici vizi denunciabili in questa sede in base all’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo applicabile nella specie, “ratione temporis”, antecedente la sostituzione ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134.

Al riguardo va ricordato che, in base alla suindicata disposizione, la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al Giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal Giudice del merito, non essendo consentito alla Corte di cassazione di procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze probatorie, sicchè le censure concernenti il vizio di motivazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito (vedi, tra le tante: Cass. 20 gennaio 2015, n. 855; Cass. 18 ottobre 2011, n. 21486; Cass. 20 aprile 2011, n. 9043; Cass. 13 gennaio 2011, n. 313; Cass. 3 gennaio 2011, n. 37; Cass. 3 ottobre 2007, n. 20731; Cass. 21 agosto 2006, n. 18214; Cass. 16 febbraio 2006, n. 3436; Cass. 27 aprile 2005, n. 8718).

Infatti, la prospettazione da parte del ricorrente di un coordinamento dei dati acquisiti al processo asseritamente migliore o più appagante rispetto a quello adottato nella sentenza impugnata, riguarda aspetti del giudizio interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti che è proprio del giudice del merito, in base al principio del libero convincimento del giudice, sicchè la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. – apprezzabile ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella anzidetta versione, nei limiti del vizio di motivazione come ivi configurato – deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Cass. 26 marzo 2010, n. 7394; Cass. 6 marzo 2008, n. 6064; Cass. 20 giugno 2006, n. 14267; Cass 12 febbraio 2004, n. 2707; Cass. 13 luglio 2004, n. 12912; Cass. 20 dicembre 2007, n. 26965; Cass. 18 settembre 2009, n. 20112).

Nella specie le valutazioni delle risultanze probatorie operate dal Giudice di appello sono congruamente motivate e l’Iter logico-argomentativo che sorregge la decisione è chiaramente individuabile, non presentando alcun profilo di manifesta illogicità o insanabile contraddizione, sicchè la sentenza non merita alcuna delle censure formulate dal ricorrente.

3.2. A ciò può aggiungersi che le censure stesse risultano anche prospettate senza il dovuto rispetto del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, in base al quale il ricorrente qualora proponga delle censure attinenti all’esame o alla valutazione di documenti o atti processuali è tenuto ad assolvere il duplice onere di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, e all’art. 369 c.p.c., n. 4, (vedi, per tutte: Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass SU 3 novembre 2011, n. 22726).

In particolare, è “jus receptum” che, in base al suindicato principio – che va inteso alla luce del canone generale “della strumentalità delle forme processuali” – il ricorrente che denunci il difetto o l’erroneità nella valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare nel ricorso specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito (trascrivendone il contenuto essenziale), fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali, potendosi così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, (a pena di inammissibilità) e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (a pena di improcedibilità del ricorso), nel rispetto del relativo scopo, che è quello di porre il Giudice di legittimità in condizione di verificare la sussistenza del vizio denunciato senza compiere generali verifiche degli atti e soprattutto sulla base di un ricorso che sia chiaro e sintetico (vedi, per tutte: Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726; Cass. 14 settembre 2012, n. 15477; Cass. 8 aprile 2013, n. 8569).

Del resto, non va dimenticato che, una specifica parte del recente – e sopravvenuto, pertanto non direttamente utilizzabile nella specie, ma comunque significativo, secondo il canone dell’interpretazione evolutiva – Protocollo d’intesa tra la Corte di Cassazione e il Consiglio Nazionale Forense in merito alle regole redazionali dei motivi di ricorso in materia civile e tributaria del 17 dicembre 2015, è stata espressamente dedicata al rispetto del suindicato principio (detto anche di autosufficienza), stabilendosi al riguardo, fra l’altro che tale rispetto, pur non comportando “un onere di trascrizione integrale nel ricorso e nel controricorso di atti o documenti ai quali negli stessi venga fatto riferimento”, tuttavia presuppone che: “1) ciascun motivo articolato nel ricorso risponda ai criteri di specificità imposti dal codice di rito; 2) nel testo di ciascun motivo che lo richieda sia indicato l’atto, il documento, il contratto o l’accordo collettivo su cui si fonda il motivo stesso (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6)), con la specifica indicazione del luogo (punto) dell’atto, del documento, del contratto o dell’accordo collettivo al quale ci si riferisce; 3) nel testo di ciascun motivo che lo richieda siano indicati il tempo (atto di citazione o ricorso originario, costituzione in giudizio, memorie difensive, ecc.) del deposito dell’atto, del documento, del contratto o dell’accordo collettivo e la fase (primo grado, secondo grado, ecc.) in cui esso è avvenuto; 4) siano allegati al ricorso (in apposito fascicoletto, che va pertanto ad aggiungersi all’allegazione del fascicolo di parte relativo ai precedenti gradi del giudizio) ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, gli atti, i documenti, il contratto o l’accordo collettivo ai quali si sia fatto riferimento nel ricorso e nel controricorso” (vedi, sul punto: Cass. 16 febbraio 2016, n. 2937).

3.3. Nello specifico:

a) nel primo e nel quarto motivo si contesta – prospettando, nel primo motivo, una “disparità di trattamento” e, nel quarto, l’eccessività della sanzione derivante dall’assenza di conseguenze per il servizio, senza alcun riscontro documentale – la determinazione effettuata, in concreto, dall’Amministrazione datrice di lavoro della sanzione da irrogare e, quindi, si pongono in discussione le modalità di esercizio di un potere discrezionale riservato agli organi disciplinari competenti, censurabile in questa sede per manifesta irragionevolezza o mancato rispetto delle garanzie di forma (vizi di cui non si dimostra la ricorrenza) e comunque basato sulla ricostruzione dei fatti, che la Corte romana nella specie ha adeguatamente vagliato, sottolineando, da un lato, la diversità delle due vicende messe a confronto e, d’altra parte, la gravità della condotta in relazione alla situazione del traffico della zona, confermando sul punto, con congrua motivazione, la valutazione – di merito – del primo giudice;

b) nel secondo e nel terzo motivo si chiede una diversa ricostruzione dei fatti in ordine al diritto del vigile viabilista alla pausa, riconosciuto, invece, dalla richiamata normativa, ma non si dimostra la ricorrenza, nella specie, del dato fattuale previsto per l’applicabilità di tale disciplina.

4- Conclusioni.

4. In sintesi, il ricorso deve essere respinto. Le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 100,00 (cento/00) per esborsi, Euro 3500,00 (tremilacinquecento/00) per compensi professionali, oltre accessori come per legge e spese generali nella misura del 15%.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione lavoro, il 18 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2016

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