Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20964 del 08/09/2017


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Cassazione civile, sez. II, 08/09/2017, (ud. 30/05/2017, dep.08/09/2017),  n. 20964

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10889-2014 proposto da:

CSR HOLDING SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ATTILIO

REGOLO 12-B, presso lo studio dell’avvocato ZOSIMA VECCHIO,

rappresentata e difesa dall’avvocato GUIDO MARIA DE GEORGIO giusta

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MAINO IMMOBILIARE DI A.M. & C SAS, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA ATANASIO KIRCHER 7, presso lo studio

dell’avvocato STEFANIA IASONNA, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati ANTONELLO SILVERIO MARTINEZ, BRUNO

SANTAMARIA giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 510/2013 del TRIBUNALE di BUSTO ARSIZIO,

depositata il 28/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/05/2017 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

Fatto

RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Con atto di citazione notificato il 30.1.2012, la CSR Holding s.r.l. chiedeva annullarsi il contratto di cessione di quote sociali concluso in data 1.2.2007 con la M. Immobiliare s.a.s. di M.A. & C., in forza del quale quest’ultima aveva ad essa ceduto l’intera quota di partecipazione sociale pari al 100% nella società M. Pressofusioni s.r.l.

Parte attrice assumeva che con la stipula dell’anzidetto contratto, con il quale era stata data esecuzione al “contratto preliminare di cessione di quote sociali” del 12.12.2006, le parti avevano effettivamente inteso concludere un contratto di vendita dell’azienda sino a quel momento gestita dalla società M. s.a.s. presso lo stabilimento della stessa sito in Cinisello Balsamo via Robecco n. 37.

In particolare, secondo l’assunto attoreo, l’anzidetta unità immobiliare costituiva uno degli elementi del complesso di beni mobili e immobili ricompresi nell’azienda anzidetta, tanto che nel contratto preliminare concluso in data 12.12.2006 le parti, dopo avere precisato che l’accordo non comprendeva la cessione della proprietà dell’immobile, avevano concordato la sottoscrizione di un contratto di locazione per l’utilizzo dell’immobile medesimo.

La CSR Holding s.r.l. affermava che “in occasione della conclusione del contratto in data 1.2.2007 la società M. s.a.s.” non aveva rappresentato “la reale situazione urbanistica (irregolarità giuridica) dell’unità immobiliare strumentale all’esercizio dell’azienda”, sì che non aveva potuto valutarne “le relative implicazioni di carattere formale ed economico”, che il comportamento della convenuta l’aveva privata di una informazione essenziale relativa all’inagibilità dell’unità immobiliare strumentale all’esercizio dell’azienda oggetto di compravendita che, se conosciuta, l’avrebbe determinata a non concludere tale accordo e che, in definitiva, il comportamento dell’amministratore di M. s.a.s. aveva determinato un vizio del consenso in suo capo sotto il profilo dell’errore essenziale.

Con sentenza del 28.5.2013, il Tribunale di Busto Arsizio rigettava le domande attoree sulla base, per quanto qui ancora rileva, delle seguenti considerazioni:

1) non vi era prova alcuna dell’errore essenziale asseritamente inficiante il consenso prestato dall’attrice in ordine alla stipula del contratto di cessione di quote concluso in data 1.2.2007, posto che non ricorreva alcuna delle ipotesi previste dall’art. 1429 c.c.;

2) non poteva, in particolare, rivestire carattere essenziale l’asserito errore relativo alrabusività dell’immobile sito in Cinisello Balsamo”, atteso che, per espressa volontà delle parti, il detto immobile era stato escluso dall’azienda che esse avevano inteso trasferire mediante la cessione di quote sociali, a tal punto che avevano convenuto, nel contratto preliminare, di stipulare, all’atto del conferimento delle quote, un autonomo contratto di locazione;

3) quanto alla domanda, proposta in via subordinata, di risoluzione del contratto di cessione di quote per grave inadempimento della M. s.a.s. (consistito nell’avvenuta consegna di una cosa radicalmente diversa da quella oggetto del contratto), l’immobile asseritamente abusivo non rientrava nel complesso dei beni e diritti conferiti dalla M. s.a.s. alla Newco M. s.r.l. e, conseguentemente, non rientrava nel patrimonio della società le cui quote erano state interamente cedute alla CSR Holding s.r.l..

Avverso la predetta sentenza la CSR Holding s.r.l. proponeva appello.

La M. s.a.s. si costituiva in giudizio, chiedendone il rigetto.

La Corte d’appello di Milano, con ordinanza del 21.2.2014, comunicata in pari data, ha dichiarato, ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c., inammissibile l’appello.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la CSR Holding s.r.l., sulla base di due motivi.

La M. Immobiliare s.a.s. di M. Alfredo & C. ha resistito con controricorso.

2. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per non aver il tribunale correttamente, a suo dire, interpretato l’accordo circa la comune intenzione delle parti di non escludere il diritto di godimento dell’immobile (abusivo) dal trasferimento di azienda, ritenendo il contratto di locazione autonomo rispetto a quello di cessione delle quote, laddove tra i due negozi era configurabile un collegamento funzionale.

2.1. Il motivo va disatteso.

L’interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all’art. 1362 c.c. e segg., o di motivazione inadeguata (ovverosia, non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione). Sicchè, per far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione (mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti), ma altresì precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato; con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, come nel caso di specie, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. 26 ottobre 2007, n. 22536). D’altra parte, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni (tra le altre: Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178). Ne consegue che non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi già dallo stesso esaminati; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass. 7500/2007; 24539/2009; Sez. 1, Sentenza n. 6125 del 17/03/2014).

D’altra parte, numerosi passaggi logici contenuti nel contratto preliminare del 12.12.2006 debitamente trascritto, depongono nel senso di ritenere che le parti avessero inteso considerare l’immobile in oggetto distinto rispetto sia al complesso aziendale che al conferimento (cfr. il primo inciso della premessa ed il penultimo e l’ultimo inciso dell’art. 1) e, quindi, come tale, espressamente escluso dagli stessi, a tal punto da aver previsto la contestuale (rispetto al conferimento) sottoscrizione di un autonomo contratto di locazione per l’utilizzo del cespite.

2.2. Quanto all’ipotizzato collegamento funzionale tra i due negozi, poichè della questione non vi è cenno nella sentenza impugnata, la ricorrente avrebbe dovuto indicare con precisione con quale atto ed in quale fase processuale l’avesse sollevata.

Nell’esercizio dell’autonomia contrattuale, le parti possono dar vita, con un solo atto, a diversi e distinti contratti, i quali, pur conservando l’individualità propria di ciascun tipo negoziale e rimanendo sottoposti alla relativa disciplina, sono tra loro collegati funzionalmente e in rapporto di reciproca interdipendenza, in modo che le vicende dell’uno si ripercuotano sugli altri, condizionandone la validità e l’efficacia (Sez. 1, Sentenza n. 13888 del 06/07/2015).

Il collegamento contrattuale non dà luogo ad un autonomo e nuovo contratto, ma è un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, attraverso una pluralità coordinata di contratti, i quali conservano una loro causa autonoma, anche se ciascuno è finalizzato ad un unico regolamento dei reciproci interessi. Pertanto, in caso di collegamento funzionale tra più contratti, gli stessi restano conseguentemente soggetti alla disciplina propria del rispettivo schema negoziale, mentre la loro interdipendenza produce una regolamentazione unitaria delle vicende relative alla permanenza del vincolo contrattuale, per cui essi “simul stabunt, simul cadent” (Sez. 3, Sentenza n. 7255 del 22/03/2013).

Tuttavia, non può ricondursi nell’ambito del vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto, quale motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la deduzione con la quale si contesti al giudice di merito, non di aver errato nella individuazione della norma regolatrice della controversia bensì di non aver erroneamente ravvisato, nella situazione di fatto in concreto accertata, la ricorrenza degli elementi costitutivi d’una determinata fattispecie normativamente regolata, giacchè siffatta valutazione comporta un giudizio non già di diritto, bensì di fatto, eventualmente impugnabile sotto il profilo del vizio di motivazione (Sez. 2, Sentenza n. 6653 del 30/03/2005).

D’altra parte, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Sez. U, Sentenza n. 10313 del 05/05/2006 e, di recente, Sez. L, Sentenza n. 195 del 11/01/2016).

Va in ogni caso rilevato che l’intero fondamento delle doglianze di parte ricorrente parte da un erroneo presupposto in diritto, e cioè che la natura abusiva dell’immobile nel quale deve svolgersi l’attività imprenditoriale della società le cui quote sono state cedute, inficerebbe la stessa possibilità di godimento del bene, ancorchè per effetto della concessione di un diritto in tal senso, giusta distinto contratto di locazione concluso con la società controricorrente.

Tuttavia trattasi di affermazione che non trova riscontro nella pacifica giurisprudenza di questa Corte che, a più riprese, ha ribadito la tesi della validità del contratto di locazione avente ad oggetto un immobile privo dei requisiti di commerciabilità atteso il chiaro tenore letterale delle norme che hanno inciso sul regime di circolazione dei beni abusivi, limitando la sanzione della nullità ai soli atti aventi efficacia traslativa ovvero costitutiva di diritti reali (ancorchè con diverse modulazioni, in ragione dell’epoca di realizzazione degli abusi, specie per quanto attiene agli atti di scioglimento delle comunione interessanti beni siffatti), ma riconoscendo però validità agli atti concessivi di diritti personali di godimento, quali appunto il contratto di locazione.

In tal senso si veda Cass. n. 22312/2007, la quale ha affermato che il carattere abusivo dell’immobile locato ovvero la mancanza di certificazione di abitabilità non importa nullità del contratto locatizio, non incidendo i detti vizi sulla liceità dell’oggetto del contratto ex art. 1346 c.c. (che riguarda la prestazione) o della causa del contratto ex art. 1343 c.c. (che attiene al contrasto con l’ordine pubblico), nè potendo operare la nullità L. n. 47 del 1985, ex art. 40 (che riguarda solo vicende negoziali con effetti reali): ne consegue l’obbligo del conduttore di pagare il canone anche con riferimento ad immobile avente i caratteri suddetti (conf. Cass. n. 12983/2010; Cass. n. 4228/1999).

La natura eventualmente abusiva dell’immobile nel quale doveva essere svolta l’attività imprenditoriale non incide punto sulla validità del contratto di locazione in virtù del quale era assicurato alla società, le cui quote sono oggetto di cessione, lo svolgimento della propria attività, e rende del tutto evidente l’infondatezza delle doglianze di parte ricorrente.

3. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 1366 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per non aver il tribunale interpretato l’accordo secondo buona fede, nel qual caso avrebbe compreso che la volontà delle parti era nel senso di consentire all’acquirente di continuare ad esercitare l’azienda nell’immobile sito in (OMISSIS).

3.1. Il motivo è infondato.

Nel richiamare quanto già evidenziato nel paragrafo 2.1, va qui aggiunto che:

Il ricorso in Cassazione per violazione dei principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione di una clausola contrattuale comporta l’interpretazione della medesima e la valutazione del comportamento delle parti, ed è perciò inammissibile se non è denunciata la violazione delle regole di cui all’art. 1362 c.c. e seguenti, ovvero un vizio di motivazione della sentenza, censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (Sez. 3, Sentenza n. 10705 del 11/08/2000; Sez. 1, Sentenza n. 3843 del 28/11/1969).

4. In definitiva, il ricorso non è meritevole di accoglimento.

5. Le spese del presente giudizio seguirebbero la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

6. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

 

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, liquidate in Euro 7.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre IVA, CPA e spese generali, pari al 15 sui compensi.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

La presente ordinanza è stata redatta con la collaborazione dell’assistente di studio, dott. P.A..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 8 settembre 2017

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