Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20963 del 12/10/2011

Cassazione civile sez. VI, 12/10/2011, (ud. 29/09/2011, dep. 12/10/2011), n.20963

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – rel. Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

S.A.S., elettivamente domiciliato in Roma, via

Scarabellotto 8, presso l’avv. Sgarella Enrico, che lo rappresenta e

difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

Silver Moon s.r.l. – in persona del legale rappresentante;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo n. 735 del

29.4.2009;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza del 29.9.2011 dal

Relatore Cons. Dott. Carlo Piccininni;

E’ presente il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale

Dott. FUCCI Costantino.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Il relatore designato ai sensi dell’art. 377 c.p.c. osservava quanto segue: ” S.A.S. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui non ha resistito l’intimata, avverso la sentenza con la quale la Corte di Appello di Palermo aveva ridotto a Euro 47.111,27 la somma da lui dovuta per l’azione di responsabilità promossa dalla società Silver Moon, della quale era stato amministratore. In particolare la Corte di Appello aveva confermato il giudizio di responsabilità emesso in primo grado (pur riducendo nel “quantum” la condanna ivi inflitta), in ragione di dati rilevati dalle espletate consulenze tecniche, e la decisione è stata censurata sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione, rispettivamente: 1) in quanto le due consulenze avrebbero espresso dati fra loro in conflitto e non sarebbe comunque emerso nesso di causalità fra comportamento e danno; 2) per il mancato accertamento dell’esistenza di valida deliberazione della società, indispensabile ai fini dell’esercizio dell’azione di responsabilità; 3) per l’inesistenza di elementi comprovanti sia comportamenti illeciti di esso ricorrente, che l’esistenza di danni.

Il relatore ritiene che le censure siano manifestamente infondate, per il primo ed il terzo motivo, poichè si tratta di doglianze generiche, essenzialmente consistenti nella non condivisione delle risultanze delle consulenze tecniche, il cui contenuto è stato esaminato dal giudice del merito, al quale fra l’altro era già stato rappresentato il preteso difetto di allegazione di specifiche condotte tenute in violazione degli obblighi di legge; quanto al secondo, poichè se è vero che la delibera in questione rappresenta un presupposto processuale la cui esistenza deve essere verificata dal giudice anche di ufficio, è pur vero che neppure con il presente ricorso lo S. ne ha denunciato la mancanza (egli si è infatti lamentato dell’omessa verifica del giudice del merito al riguardo) e che non risulta esservi stata contestazione sul punto nè in primo grado (art. 115 c.p.c.), nè successivamente in sede di impugnazione.

Si propone quindi la trattazione del ricorso in Camera di Consiglio, ritenendolo manifestamente infondato”.

Tali rilievi sono stati contrastati dal ricorrente con memoria, con la quale sono state ribadite le pretese carenze motivazionali già denunciate ed è stato ancora sottolineato come i profili relativi alla legittimazione rappresentino questione rilevabile di ufficio.

Ritiene tuttavia il Collegio di condividere le conclusioni del relatore, quanto agli aspetti concernenti la motivazione della sentenza della Corte di appello, perchè la stessa appare sufficiente ed immune da vizi logici, sicchè è insindacabile in questa sede;

quanto alla legittimazione, per la duplice ragione che la sentenza di primo grado (che l’aveva implicitamente accertata) non è stata impugnata sul punto e, soprattutto, per il fatto che la doglianza è stata prospettata sotto il profilo dell’omessa verifica al riguardo da parte del giudice del merito, e non già in relazione ad una sua inesistenza, in realtà mai affermata.

Ne consegue conclusivamente che il ricorso deve essere rigettato, mentre nulla va stabilito in ordine alle spese processuali, poichè l’intimata non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 29 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2011

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