Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20961 del 08/09/2017


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Cassazione civile, sez. II, 08/09/2017, (ud. 30/05/2017, dep.08/09/2017),  n. 20961

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12518-2014 proposto da:

C.M., ((OMISSIS)) e R.L. ((OMISSIS)), domiciliati ex

lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato ANTONIO GIUA;

– ricorrenti –

contro

S.A.M., ((OMISSIS)), domiciliato ex lege in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIAN PAOLO CAMPUS;

– controricorrente –

e contro

S.M.A., S.P.F.,

S.G.A., S.A.C., S.A.G.G.,

S.B.P.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 357/2013 del TRIBUNALE di SASSARI, depositata

il 07/03/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/05/2017 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Nella lite sorta su un preliminare di vendita di appartamento stipulato il 4.9.2009 tra i promittenti venditori S. e i coniugi C.M. e R.L. (promissari acquirenti) la Corte d’Appello di Cagliari, Sezione Distaccata di Sassari, con ordinanza comunicata il 10.3.2014, ha dichiarato inammissibile, ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c., l’appello proposto dai coniugi C. contro la decisione di primo grado (Tribunale di Sassari n. 357/2013) che aveva a sua volta rigettato la domanda di accertamento della legittimità del loro recesso e, in accoglimento della riconvenzionale dei convenuti S., dichiarato la risoluzione del preliminare per grave inadempimento degli attori e condannato gli stessi risarcire i danni.

Per la cassazione della sentenza di primo grado hanno proposto ricorso C. e R., sulla base di cinque motivi a cui resiste con controricorso solo S.A.M..

Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1 Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione o falsa applicazione degli artt. 1385,1351,1482,1175,1375,1455,1458 e 1460 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), rimproverando al Tribunale di non aver ravvisato l’inadempimento grave, originario e decisivo dei promittenti venditori, benchè avessero violato l’obbligo di dichiarare, all’atto della stipula del preliminare, l’esistenza dei pesi ex art. 1482 c.c. ed impedito così la concessione in loro favore di un mutuo necessario per l’acquisto, contravvenendo anche a quanto previsto all’art. 11, ultimo periodo, del contratto; inoltre, il Tribunale non avrebbe considerato che, una volta comunicato il recesso, i promittenti venditori non si sarebbero più potuti attivare per ottenere la cancellazione della garanzia reale.

Il motivo è infondato.

Premesso che il recesso di cui all’art. 1385 c.c., comma 2 configura una forma di risoluzione stragiudiziale del contratto, per l’inadempimento della controparte, osserva la Corte che il promissario acquirente di un immobile garantito libero da ipoteche ma, in realtà, da esse gravato, ha la facoltà, non l’obbligo, ai sensi dell’art. 1482 c.c., comma 1, applicabile al contratto preliminare, di chiedere al giudice la fissazione di un termine per la liberazione dal vincolo da parte del promittente venditore, ma se ha chiesto la risoluzione del preliminare, per effetto dell’art. 1453 c.c., comma 2, il promittente venditore non può attivarsi per ottenere la cancellazione della garanzia (Sez. 2, Sentenza n. 15380 del 01/12/2000; conf. Sez. 2, Sentenza n. 19097 del 02/09/2009).

Tuttavia, la risoluzione di un contratto (al pari della declaratoria di legittimità dell’operato recesso) può essere richiesta solo in presenza di un grave inadempimento imputabile alla controparte, laddove, in assenza di un termine perentorio ed anticipato concordato dalle parti, il promittente venditore può liberare l’immobile promesso in vendita da eventuali pesi, garanzie reali o altri vincoli fino alla data concordata per la stipula del contratto definitivo. Esattamente in linea con quanto precede si poneva l’art. 4 del contratto preliminare (cfr. pag. 5 del controricorso).

Ovviamente, fin tanto che tali formalità pregiudizievoli non siano cancellate, è legittimo il rifiuto del promissario acquirente di stipulare il contratto definitivo (cfr. Cass. n. 1431/79). Diversamente opinando, si confonderebbe l’istituto del recesso per inadempimento di cui all’art. 1385 c.c. con quello disciplinato dall’art. 1373 c.c., il quale, nel disciplinare l’istituto del recesso unilaterale, stabilisce che la parte cui è attribuita pattiziamente detta facoltà può esercitarla finchè il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione.

Quanto all’asserito rifiuto, ad opera dell’istituto creditizio, dell’erogazione del mutuo, che, secondo l’assunto dei promissari acquirenti, sarebbe dipeso proprio dall’iscrizione ipotecaria esistente sul cespite, i ricorrenti non hanno contrastato l’affermazione dei primi giudici (cfr. pag. 6), secondo cui non esisteva in atti nessuna prova, nè documentale nè per testi (avendo l’unico teste riferito circostanze apprese dallo stesso attore), del rigetto della domanda di mutuo per la presenza della detta ipoteca.

La dedotta violazione di legge, dunque, non sussiste, ed è bene rammentare che tale vizio consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Sez. U, Sentenza n. 10313 del 05/05/2006 e, di recente, Sez. L, Sentenza n. 195 del 11/01/2016).

Nel caso di specie, comunque, la sentenza non sarebbe censurabile per vizi di motivazione ostandovi il disposto dell’art. 348 ter c.pl.c., u.c..

2 Con il secondo motivo si deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 1453,1460 e 2697 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per non avere il Tribunale considerato, nell’ambito di una valutazione comparativa dei comportamenti contrattuali delle parti, i gravi e ripetuti inadempimenti imputabili alla controparte (occultamento di vincoli ipotecari e del diritto di prelazione spettante allo IACP, mancata tempestiva liberazione del bene, omessa agevolazione dell’ottenimento del mutuo) e l’omessa eliminazione, alla data fissata per la stipula del rogito, del vincolo di prelazione a favore dello IACP.

Anche tale motivo è infondato.

Sostengono i ricorrenti che era loro onere solo provare la fonte negoziale del loro diritto (il contratto preliminare) ed il termine di scadenza, laddove i promittenti venditori non avevano assolto all’onere di provare il fatto estintivo dell’altrui pretesa, ma una tale censura non coglie la ratio decidendi che (cfr. pag. 7), valorizzando l’avvenuto versamento da parte dei promissari acquirenti di un ulteriore acconto di Euro 7.000, ha ritenuto, con apprezzamento in fatto qui non censurabile che la conoscenza postuma dell’esistenza dell’iscrizione ipotecaria e del diritto di prelazione non fosse ostativa per i promissari acquirenti alla conclusione della vendita, con la conseguenza che il recesso poi esercitato dagli stessi si rivelava privo di giustificazione.

Quindi, non si pone un problema di erronea ripartizione dell’onere probatorio, avendo il tribunale altresì evidenziato (cfr. pag. 7) che tra il versamento ulteriore e la comunicazione del recesso (avvenuta il 29.10.2009 e, dunque, a distanza di soli 21 giorni) non si era verificata alcuna modifica della situazione.

Il motivo è poi privo di specificità perchè richiama una deposizione testimoniale senza neppure trascriverne il contenuto o indicare la data del relativo verbale.

3 Con il terzo motivo i ricorrenti denunziano la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, con riferimento all’art. 112 c.p.c., per aver il Tribunale omesso di pronunciare sul vincolo derivante dal diritto di prelazione dello IACP.

Il motivo è inammissibile.

Non si è in presenza di un’omissione di pronuncia, non rappresentando il diritto di prelazione spettante allo IACP una domanda o un’eccezione, bensì un fatto da considerare nell’ambito della valutazione complessiva.

La differenza fra l’omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c. è l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 consiste nel fatto che, nel primo caso, l’omesso esame concerne direttamente una domanda od un’eccezione introdotta in causa, autonomamente apprezzabile, ritualmente ed inequivocabilmente formulata, mentre nel secondo, l’omessa trattazione riguarda una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione (Sez. 6 3, Ordinanza n. 25714 del 04/12/2014; conf. Sez. 5, Sentenza n. 25761 del 05/12/2014).

Quindi si rientrava nel vizio di omessa motivazione, non dedotto e neppure più deducibile in cassazione tra per effetto della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

4-5 Con il quarto motivo i ricorrenti si dolgono della violazione o falsa applicazione dell’art. 1223 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver il tribunale quantificato con una mera operazione aritmetica il danno asseritamente subito dai promittenti venditori, senza considerare che la successiva cessione dello stesso immobile ad un prezzo inferiore poteva anche essere il frutto di una scelta dei venditori o la conseguenza di una cessione avventata e senza considerare che i S. avrebbero dovuto dimostrare sia la flessione del mercato immobiliare sia di essersi attivati per cercare di collocare adeguatamente il bene sul mercato.

Con il quinto ed ultimo motivo i ricorrenti denunziano infine la violazione o falsa applicazione dell’art. 1225 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per non aver il Tribunale considerato che la menzionata disposizione subordina la risarcibilità del danno patrimoniale al limite della prevedibilità del medesimo e che essi in alcun modo potevano prevedere un danno di tale entità.

I due motivi – che per il comune riferimento alla quantificazione del danno si prestano ad esame congiunto – sono infondati.

Non si è al cospetto di alcuna violazione dell’art. 1223 c.c., in quanto in tema di responsabilità contrattuale, derivante dall’inadempimento da parte del promissario acquirente dell’obbligo di stipulare il contratto definitivo, assunto in una promessa di vendita di immobile altrui, il criterio di prevedibilità del danno risarcibile può comportare il ristoro del pregiudizio consistente nella differenza fra il prezzo pattuito in sede di preliminare e quello inferiore successivamente realizzato (Sez. 2, Sentenza n. 15639 del 18/09/2012 Rv. 623747).

L’accertamento del nesso di causalità tra l’inadempimento e il danno così come l’accertamento della prevedibilità del danno costituiscono apprezzamenti di fatto, insindacabili in sede di legittimità, qualora siano sorretti da motivazione adeguata e immune da errori (Sez. 3, Sentenza n. 1891 del 28/05/1969 Rv. 341044; Sez. 1, Sentenza n. 22 del 09/01/1963 Rv. 260029): la questione dell’avvenuta dimostrazione o meno di aver fatto ricorso ai professionisti del settore per vendere l’immobile e del ragionamento seguito dal Tribunale sulla prevedibilità del danno attiene ad un profilo motivazionale che però non risulta censurato nè, come si è detto, poteva esserlo per le ragioni già esposte.

In conclusione, il ricorso va respinto con addebito di spese ai soccombenti.

Considerato infine che il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è stato rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1 – quater al testo unico di cui al D.P.R n. 115 del 2002, art. 13, – della sussistenza dell’obbligo di versamento, a carico dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

 

rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida in Euro 3.000,00 per compensi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 30 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 8 settembre 2017

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