Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20958 del 08/09/2017


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Cassazione civile, sez. II, 08/09/2017, (ud. 23/05/2017, dep.08/09/2017),  n. 20958

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 22640/15) proposto da:

Avv. B.G., nato a (OMISSIS) ed ivi residente, alla

(OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso da sè stesso ed

elettivamente domiciliato;

– ricorrente –

contro

COOPERATIVA EDILIZIA “LA CASA” A R.L., in persona del suo legale

rappresentante e Presidente pro tempore del Consiglio di

Amministrazione, sig. B.R. (C.F. e P.IVA: (OMISSIS)), con

sede in (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avv. Angelo Michele

Ancona del Foro di Trani (C.F.: NCNNLM60S01A669K) ed elettivamente

domiciliata in Roma, alla Via Celimontana n. 38, presso lo studio

dell’Avv. Paolo Pananti, giusta procura speciale posta a margine del

controricorso;

– controricorrente –

e

COOPERATIVA EDILIZIA “LA SPERANZA”, in persona del suo legale

rappresentante pro tempore, signor P.S., con sede in

(OMISSIS); COOPERATIVA EDILIZIA “LA COSTANZA”, in persona del suo

legale rappresentante pro tempore, signor Pi.Ru., con sede

in (OMISSIS); COOPERATIVA EDILIZIA “CASA DUE”, in persona del suo

legale rappresentante pro tempore, signora M.N., con

sede in (OMISSIS); tutte elettivamente domiciliate in Roma, alla Via

Casilina n. 561 (studio legale Avv. Antonio Corvasce), presso l’Avv.

Pasquale Nasca (C.F.: NSCPQL50S24A669X), che le rappresenta e

difende, in forza di procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bari n. 1336/2015,

depositata il 31.0.2015, e non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 23

maggio 2017 dal Consigliere relatore Dott. Andrea Penta;

uditi gli Avv.ti B.G. quale parte ricorrente e Ancona

Michele e Nasca Pasquale per le controricorrenti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Capasso Lucio, che ha concluso per l’inammissibilità

o il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 30.9.2001 il CONSORZIO EDILCONS s.r.l. e le società cooperative edilizie LA COSTANZA s.r.l., LA SPERANZA s.r.l., LA CASA s.r.l. e LA CASA DUE s.r.l. convenivano in giudizio l’Avv. B.G., innanzi al Tribunale di Trani, per sentir pronunziare sentenza di accertamento negativo di un credito da lui preteso per attività professionale asseritamente svolta nel loro interesse; in via subordinata, domandavano che i Presidenti delle società all’epoca dei fatti di causa, pure convenuti nel giudizio, fossero condannati a manlevarle di quanto eventualmente dovuto al professionista limitatamente alle prestazioni effettivamente svolte in esecuzione di un incarico formale.

Deducevano le società attrici di aver ricevuto una lettera raccomandata del 30 aprile 2000 nella quale l’avvocato B. aveva chiesto il pagamento di n. 14 parcelle per l’importo complessivo di Lire 1.400.000.000, a fronte di un’attività professionale (stragiudiziale e giudiziale) articolata e complessa che avrebbe svolto nell’arco di circa dieci anni, per la quale, a parte modestissimi acconti, non aveva percepito il dovuto compenso; che con lettera del 9.11.2000 avevano riscontrato la detta missiva, contestando la mancanza di una delibera di conferimento di incarichi in suo favore e sostenendo che evidentemente gli stessi erano stati commissionati dagli amministratori dell’epoca e che, comunque, le prestazioni rese non avevano apportato alcuna utilità.

Si costituiva l’avvocato B.G., deducendo di avere effettivamente svolto, per conto delle società attrici, attività sia stragiudiziale (redazione di contratti di appalto e di verbali del consiglio amministrazione del Consorzio EDILCONS) sia giudiziale (in alcuni procedimenti).

Rilevava altresì che tutte le dette attività professionali erano provate dalla documentazione allegata, essendo irrilevante che gli incarichi non fossero stati conferiti dal consiglio di amministrazione, bensì dai presidenti delle cooperative titolari, rientrando il relativo potere nell’oggetto sociale. Chiedeva, quindi, il rigetto dell’avversa domanda di accertamento negativo e, in accoglimento della domanda riconvenzionale, la condanna delle attrici al pagamento delle somme in relazione alle prestazioni professionali svolte, per la somma complessiva di Lire 1.400.000.000.

Con sentenza n. 100 del 28 gennaio 2009, il Tribunale adito rigettava la domanda delle attrici e; in accoglimento parziale di quella riconvenzionale, condannava le stesse al pagamento, in favore dell’avvocato B., della somma complessiva di Euro 24.050,00, con la precisazione che la condanna riguardava, quanto all’importo di Euro 3.200,00, la sola società cooperativa CASA DUE. Avverso tale pronuncia proponeva appello B.G., con atto di citazione notificato in data 3 luglio 2009, chiedendo che, in riforma dell’impugnata sentenza, le appellate venissero condannate al pagamento dell’importo invocato in primo grado.

Con sentenza n. 1336/2015 depositata il 31.08.2015, la Corte d’Appello di Bari, in parziale riforma della pronuncia appellata, condannava le società cooperative edilizie al pagamento, in favore dell’appellante, della maggior somma complessiva di Euro 25.572,00, oltre IVA CPA e spese, e la sola CASA DUE al pagamento delle ulteriori somme di Euro 907,82 (quanto al giudizio contro ” R.”) e di Euro 5.266,32 (quanto ai procedimenti contro ” T.” e ” D.- Pa.”), il tutto oltre accessori.

Avverso l’indicata sentenza ha proposto ricorso per cassazione B.G., articolato su cinque motivi. Hanno resistito con separati controricorsi le Cooperative Edilizie a r.l. “La Casa”, da un lato, e “La Speranza”, “La Costanza” e “Casa Due”, dall’altro.

In prossimità della pubblica udienza il ricorrente ha depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver la corte territoriale apoditticamente affermato che egli avrebbe inteso far discendere la prova del conferimento dell’incarico dalla mancata contestazione delle controparti e per non aver indicato dove egli avrebbe prospettato la tesi che dalla mancata contestazione dell’avvenuto conferimento dell’incarico si sarebbero dovuti trarre argomenti probatori.

1.1. Il motivo è inammissibile.

In primo luogo, non viene neppure indicata la domanda o l’eccezione sulla quale i giudici di merito avrebbero omesso di pronunciarsi, limitandosi il ricorrente a dolersi di un passaggio logico della pronuncia.

In secondo luogo, il motivo, per la sua esposizione generica e confusionaria, non consente di individuare l’effettiva censura mossa all’iter logico-giuridico della decisione impugnata.

In terzo luogo, la corte locale ha ritenuto, con riferimento all’attività stragiudiziale, non dimostrati il conferimento e l’esecuzione dell’incarico per via non già (e, comunque, non solo) dell’erroneo ragionamento induttivo dell’appellante (che avrebbe voluto desumere la prova del conferimento dagli scritti delle controparti), ma, una volta posto a carico del professionista, in presenza di contestazioni formulate dall’asserito cliente, l’onere di provare l’avvenuta instaurazione del rapporto, della assoluta carenza di documentazione a supporto (essendo i “floppy disks” tardivamente prodotti e, comunque, irrilevanti e la richiesta di giuramento decisorio inammissibile; cfr. pagg. 12-13 della sentenza impugnata).

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo, con riferimento all’art. 115 c.p.c. e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per aver la corte di merito ritenuto che egli avesse inteso far discendere la prova del conferimento dell’incarico dalla mancata contestazione delle controparti, laddove dalla lettera del 9.12.200 di due delle quattro cooperative e dagli scritti difensivi delle parti erano, semmai, desumibili espliciti riconoscimenti in ordine all’avvenuto conferimento degli incarichi professionali da parte dei presidenti delle cooperative.

2.1. Il motivo è inammissibile.

Invero, sottopone alla Corte, nella sostanza, profili relativi al merito della valutazione delle prove, che sono insindacabili in sede di legittimità, quando – come nel caso di specie – risulta che i giudici di merito abbiano esposto in modo ordinato e coerente le ragioni che giustificano la loro decisione (rappresentando, oltre a quanto già esposto nel par. 1.1., che le copie anonime dei contratti di appalto e dei verbali delle riunioni del consiglio di amministrazione in possesso dell’avvocato non erano, di per sè, sufficienti ai fini probatori, atteso che il professionista aveva, in ragione della qualità di legale delle società cooperative in numerose controversie giudiziali, inevitabilmente la disponibilità di tutta la documentazione contabile, amministrativa e negoziale necessaria per l’esercizio della difesa; cfr. pag. 14 della sentenza), sicchè deve escludersi tanto la “mancanza assoluta della motivazione sotto l’aspetto materiale e grafico”, quanto la “motivazione apparente”, o il “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, figure queste manifestazione di violazione di legge costituzionalmente rilevante sotto il profilo della esistenza della motivazione – che circoscrivono l’ambito in cui è consentito il sindacato di legittimità dopo la riforma dell’art. 360 c.p.c.. operata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134; fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori – ai sensi del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830 e 629831).

Senza tralasciare, peraltro, che proprio dai documenti trascritti parzialmente dal ricorrente alle pagine 8 e 9 del ricorso ed in nota a pagina 10 si evince l’espressa contestazione, da parte delle difese delle cooperative, in ordine all’avvenuto conferimento dell’incarico (“… in relazione a prestazioni professionali di cui le Cooperative non hanno – allo stato – contezza…” (pag. 8);

“Nell’ipotesi che dovesse essere riconosciuta l’attività svolta dall’avv. B.,…” …, perchè nella denegata ipotesi che venga riconosciuto in favore dell’appellante, il compenso richiesto,…” (pag. 9); “L’avv. B.,…, avrebbe dovuto provare la domanda relativa alla pretesa attività stragiudiziale.” (nota a pag. 10)).

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 2230,2384, 2384 bis e 2697 c.c. e art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver la corte d’appello considerato che, ai fini del conferimento degli incarichi, era sufficiente che gli stessi fossero stati attribuiti dagli allora presidenti delle cooperative, avendo questi ultimi il potere di rappresentanza delle società.

3.1. Il motivo è inammissibile per un duplice ordine di ragioni.

In primo luogo, perchè la censura è “aspecifica”, difettando della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato, non avendo la corte territoriale preso posizione sulla questione e non avendo, quindi, la stessa affermato che gli incarichi professionali, pur essendo stati conferiti dai presidenti delle cooperative, non fossero opponibili a queste ultime. In secondo luogo, in quanto non attinge la ratio decidendi sottesa alla pronuncia impugnata, la quale ha escluso in via assoluta che il ricorrente avesse fornito la prova del conferimento degli incarichi, non avendo, per l’effetto, dovuto scrutinare la questione, sul piano logico successiva, rappresentata dal possesso o meno, da parte dei presidenti delle cooperative, dei poteri necessari per impegnare le stesse nei confronti dei terzi.

4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 364 (recte, 360) c.p.c., comma 1, n. 4 e, in subordine, l’omesso esame di un fatto decisivo, con riferimento all’art. 115 c.p.c. e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per non aver la corte locale considerato che, alla stregua di un fax del 28.5.2009 proveniente dallo “Studio Patroni Griffi”, i “floppy disks” prodotti in appello, i quali attestavano l’avvenuta esecuzione delle prestazione professionale, erano stati rinvenuti nel corso di una operazione di “bonifica” dello studio.

4.1. Il motivo è inammissibile.

In primo luogo, fermo restando che il ricorrente non ha denunciato la violazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3, la valutazione del giudice di merito sulla non imputabilità della tardiva produzione e sulla indispensabilità ai fini della decisione dei documenti prodotti per la prima volta in appello rappresenta un apprezzamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità, in quanto riservato al giudice di merito (Cassazione civile, sez. 6, 12/10/2011, n. 20958).

Nel caso di specie, la corte barese ha (cfr. pagg. 12-13 della sentenza), quanto al primo profilo, ritenuto che la produzione tardiva dei floppy non fosse supportata dalla prova dell’impedimento a provvedervi sin dal primo grado di giudizio (evidentemente, non reputando che fosse a tal fine idoneo il fax del 28.5.2009) e, quanto al secondo profilo, affermato che, essendo i contenuti degli stessi “anonimi”, rimanessero comunque estranei alla persona dell’avvocato B..

In quest’ottica, di recente, le Sezioni Unite di questa Corte, dirimendo il corrispondente contrasto, hanno affermato che prova nuova indispensabile di cui all’art. 345 c.p.c., comma 3, nel testo previgente rispetto alla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif., dalla L. n. 134 del 2012, è solo quella di per sè idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato (Sez. U, sentenza 4 maggio 2017, n. 10790).

D’altra parte, non può certamente di per sè integrare la non imputabilità della colpa l’aver un terzo rinvenuto il preesistente (rispetto all’epoca in cui sono maturate le preclusioni istruttorie) materiale probatorio all’interno di un locale adibito ad archivio, atteso che il ricorrente avrebbe dovuto, a tal fine, dedurre e dimostrare il perchè i floppy disks si trovassero in quel locale, a che titolo fossero nella disponibilità di un terzo, per quale ragione egli non si fosse mai recato a cercarli.

In secondo luogo, l’omissione di pronuncia non può mai aver ad oggetto un elemento probatorio, ma solo una domanda o un’eccezione. In particolare, il vizio di omessa pronuncia che determina la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., rilevante ai fini di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si configura esclusivamente con riferimento a domande attinenti al merito e non anche in relazione ad istanze istruttorie per le quali l’omissione è denunciabile soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione (cfr., tra le tante, Cassazione civile, sez. 6, 05/07/2016, n. 13716; Cass. Civ., sez. L, 18/03/2013, n. 6715).

In terzo luogo, ormai solo le figure della “mancanza assoluta della motivazione sotto l’aspetto materiale e grafico”, della “motivazione apparente” e del “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, essendo manifestazione di violazione di legge costituzionalmente rilevante sotto il profilo della esistenza della motivazione, circoscrivono l’ambito in cui è consentito il sindacato di legittimità dopo la riforma dell’art. 360 c.p.c. operata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134.

Nella fattispecie in esame, invece, la corte d’appello, dopo aver evidenziato che i contenuti dei detti floppy erano “anonimi” e, come tali, non direttamente riconducibili alla persona del B., ha altresì aggiunto (cfr. pag. 14 della sentenza) che le copie anonime dei contratti di appalto e dei verbali delle riunioni del consiglio di amministrazione ben potevano essere in possesso dell’avvocato per il solo fatto che egli, in ragione della qualità di legale delle società cooperative in numerose controversie giudiziali, era risultato destinatario di tutta la documentazione contabile, amministrativa e negoziale necessaria per l’esercizio della difesa.

Da ultimo, non pertinente è il richiamo operato all’asserita violazione del principio di ripartizione dell’onere probatorio, se solo si considera che la prova dell’avvenuto conferimento dell’incarico, quando il diritto al compenso sia dal convenuto contestato sotto il profilo della mancata instaurazione di un siffatto rapporto, grava sull’attore (Sez. 3, Sentenza n. 1244 del 04/02/2000).

5. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta l’omessa motivazione riguardo alla richiesta di ammissione di c.t.u., con riferimento agli artt. 61,115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non aver la corte di merito disposto una c.t.u. al fine di verificare quando fossero stati redatti gli atti e documenti contenuti nei floppy disks.

5.1. Il motivo è infondato.

Il giudizio sulla necessità ed utilità di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica rientra nel potere discrezionale del giudice del merito, la cui decisione è, di regola, incensurabile in Cassazione; tuttavia, quando la decisione della controversia dipende unicamente dalla risoluzione di una questione tecnica, poichè i fatti da porre a base del giudizio non possono essere altrimenti provati ed accertati, non può il giudice da un lato non utilizzare le nozioni tecniche di comune conoscenza e neppure disporre (anche d’ufficio) indagini tecniche, e dall’altro respingere la domanda perchè non risultano provati i fatti che avrebbero potuto accertarsi soltanto con l’impiego di conoscenze tecniche, senza incorrere nel vizio di insufficienza e contraddittorietà della motivazione (Cassazione civile, sez. 1, 01/03/2007, n. 4853; conf. Cassazione civile 26 marzo 2015 n. 6138 sez. 1).

Nel caso di specie, la corte di merito ha chiaramente affermato che, pur quando fosse stata dimostrata la esatta corrispondenza contenutistica tra i contratti di appalto ed i verbali del consiglio di amministrazione contenuti nei floppy e quelli poi sottoscritti dalle parti e depositati nei giudizi di merito, ciò non sarebbe stato sufficiente al fine di ascrivere all’avv. B. la paternità dei detti atti, atteso che egli comunque ne era in possesso per l’espletamento degli incarichi giudiziali conferitigli (cfr. par. 4.1.).

6. In definitiva, il ricorso non merita accoglimento, con conseguente condanna del ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio. A tal ultimo proposito, va evidenziato, essendo il valore della controversia iniziale pari a Lire 1.400.000.000, che il D.M. n. 155 del 2014, art. 6 (vale a dire, del regolamento attuativo della L. n. 247 del 2012), al comma 1, prevede che “Alla liquidazione dei compensi per le controversie di valore superiore a Euro 520.000,00 si applica di regola il seguente incremento percentuale: per le controversie da Euro 520.000,00 ad Euro 1.000.000,00 fino al 30 per cento in più dei parametri numerici previsti per le controversie di valore fino a Euro 520.000,00”. Inoltre, in base all’art. 4 stesso D.M., “Il giudice tiene conto dei valori medi di cui alle tabelle allegate, che, in applicazione dei parametri generali, possono essere aumentati, di regola, fino all’80 per cento, o diminuiti fino al 50 per cento”. Da ciò consegue che, applicandosi i valori minimi, deve riconoscersi a ciascuno dei controricorrenti l’importo complessivo di Euro 8.027,00 (di cui Euro 3.712,50 per lo studio della controversia, Euro 1.850,00 per la fase introduttiva ed Euro 2.460,00 per quella decisionale) e, applicandosi l’aliquota in aumento del 15%, si perviene ad una quantificazione finale di Euro 9.231,12.

Ricorrono i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), per il raddoppio del versamento del contributo unificato.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore di ciascuna delle resistenti, delle spese processuali relative al presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 9.431,12, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese forfettarie al 15% ed accessori di legge.

Dichiara la parte ricorrente tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13,comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 23 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 8 settembre 2017

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