Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20953 del 13/09/2013


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 20953 Anno 2013
Presidente: PIVETTI MARCO
Relatore: OLIVIERI STEFANO

SENTENZA

sul ricorso 6756-2010 proposto da:
TEMAX ITALIA SRL in persona del Presidente del C.d.A.,
elettivamente domiciliato in ROMA VIA FEDERICO
CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato MANZI
LUIGI, che lo rappresenta e difende unitamente agli
avvocati COGLITORE EMANUELE, CENTORE PAOLO giusta
2013

delega in calce;
– ricorrente –

112

contro

AGENZIA DELLE DOGANE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

Data pubblicazione: 13/09/2013

STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

controricorrente

avverso la sentenza n. 1/2009 della COMM.TRIB.REG. di
MILANO, depositata il 22/01/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

OLIVIERI;
udito per il ricorrente l’Avvocato COGLITORE che si
riporta;
udito per il controricorrente l’Avvocato ALBENZIO che
ha chiesto il rigetto e deposita nota spese;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MAURIZIO VELARDI che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udienza del 14/01/2013 dal Consigliere Dott. STEFANO

Svolgimento del processo
La Circoscrizione doganale di Milano 1 della Agenzia delle Dogane
emetteva in data 9.3.2006 avviso di irrogazione della sanzione pecuniaria
importazione nell’anno 2003, nei confronti di TEIV1AX Italia s.r.1., essendo
emerso a seguito di verifica fiscale che la società aveva applicato il regime
di sospensione d’imposta di cu all’art. 8 Dpr n. 633/1972 oltre il limite
consentito dal “plafond” (costituito con metodo mensile) in relazione alle
operazioni di importazione effettuate nei mesi da aprile a luglio 2003.
Il ricorso proposto dalla società avverso tale atto irrogativo era rigettato in
entrambi i gradi di giudizio.
La Commissione tributaria della regione Lombardia con sentenza
22.1.2009 n. 1 riteneva legittimo il provvedimento sanzionatorio sia in
quanto esente dal vizio di nullità per inadeguatezza della motivazione
(risultando indicati nell’atto il fatto illecito, gli elementi probatori, le norme violate e
quelle sanzionatorie, il minimo edittale, e la possibilità di definizione agevolata), sia

in quanto emanato sul presupposto della fondatezza della pretesa tributaria
fatta valere dalla Amministrazione doganale nei confronti della società, in
altro giudizio tra le stesse parti avente ad oggetto il recupero IVA derivante
dallo splafonamento negli indicati mesi del 2003, essendo risultata
soccombente la società in entrambi i gradi di quel giudizio di merito.
Avverso la sentenza non notificata la società contribuente ha proposto
ricorso per cassazione affidato a sei motivi corredati di quesito di diritto ex
art. 366 bis c.p.c..
Ha resistito con controricorso la Agenzia delle Dogane.
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RG n. 6756/2010
ric. Temax Italia s.r.1 c/ Ag.Dogane

prevista dall’art. 7co4 Dlgs n. 471/12997, per omesso versamento Iva alla

La società ha depositato anche memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
Con il primo motivo la società censura la sentenza per vizio di
insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360co l n. 5 c.p.c.
adeguatamente motivato l’atto irrogativo della sanzione, senza tuttavia
indicare in concreto alcuno degli elementi di validità prescritti dalla legge
ed alcuna delle prove che sosterrebbero la pretesa sanzionatoria. Inoltre
del tutto apodittica dovrebbe ritenersi la “ratio decidendi” fondata sulla
mera constatazione della soccombenza della società nei due gradi di
giudizio relativi ad altro giudizio concernente il recupero dell’IVA sulle
operazioni in sospensione di imposta eseguite per importi assortamente
eccedenti il limite del plafond.
Con il secondo motivo la società censura la sentenza di appello per
omessa motivazione, in relazione all’art. 360co l n. 5 c.p.c., deducendo che
i Giudici territoriali non avrebbero preso in considerazione le eccezioni,
formulate dalla società, di nullità del provvedimento irrogativo di sanzioni
per difetto di motivazione, né avrebbero riportato il contenuto
argomentativo delle sentenze, sfavorevoli alla contribuente, emesse nel
diverso giudizio avente ad oggetto il recupero dell’IVA, con la
conseguenza che la sentenza della CTR lombarda risulterebbe affetta dal
vizio di nullità per carenza assoluta di motivazione.
Con il terzo motivo la società ricorrente censura la sentenza per
violazione e falsa applicazione dell’art. 16 Dlgs n 472/199 e dell’art. 7 della
legge n. 212/2000, in relazione all’art. 360co 1 n. 3 c.p.c., evidenziando la
differenza esistente tra il presupposto della sanzione tributaria ed il
presupposto d’imposta, con la conseguenza che, ritenendo correttamente
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RG n. 6756/2010
ric. Temax Italia s.r.1 c/ Ag.Dogane

Con est.
Stefano ivieri

Sostiene la ricorrente che i Giudici territoriali avrebbero ritenuto

motivato il provvedimento sanzionatorio che faceva richiamo al PVC in
data 16.12.2005, senza tuttavia recare in allegato tale atto, i Giudici
territoriali sarebbero incorsi nella violazione dell’art. 16co2 del Dlgs n.
472/1997.
I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto

La Commissione tributaria regionale, contrariamente a quanto allegato
dalla ricorrente, ha espressamente indicato gli elementi essenziali, prescritti
dall’art. 16co2 Dlgs n. 472/1997, contenuti nel provvedimento irrogativo ed
alla stregua dei quali ha ritenuto adeguatamente assolto il requisito di
validità della motivazione dell’atto. I Giudici hanno infatti rilevato che nel
provvedimento irrogativo erano riportati “il fatto attribuito al trasgressore
(errato utilizzo del beneficio di acquistare od importare merci in
sospensione di imposta), nonché gli elementi probatori (operazioni con le
quali è stato superato l’ammontare del plafond disponibile) … …le norme
violate (art. 8 Dpr n. 633 del 1972), le norme sanzionatorie (art. 7co4 Dlgs
n. 471/1997), il minimo edittale e la possibilità per il contribuente di
effettuare una definizione agevolata della controversia”.
Analogamente, quanto all’accertamento della condotta illecita, la
sentenza di appello ha motivato “per relationem” alle sentenze di merito di
primo e secondo grado, sfavorevoli alla contribuente, emesse nel diverso
giudizio avente ad oggetto la maggiore imposta dovuta dalla società in
conseguenza dello sforamento del plafond.
Come ripetutamente affermato da questa Corte, deve ritenersi
pienamente legittima la cd. motivazione “per relationem” agli argomenti in
punto di diritto sui quali è fondata la sentenza di primo grado (od altra
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RG n. 6756/2010
ric. Temax Italia s.r.1 c/ Ag.Dogane

C
Stefan

est.
livieri

strettamente connessi, sono infondati.

sentenza intervenuta in un diverso giudizio tra le stesse parti), sempre che il
rinvio venga operato in modo tale da rendere possibile ed agevole il
controllo della moti \ ali one, essendo necessario che venga comunque dato
conto delle argomentazioni delle parti nonché dell’identità di tali
argomentazioni con quelle che erano state esaminate dalla pronuncia
oggetto del rinvio (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 7347 del 11/05/2012). La
saldatura tra il contenuto motivazionale dell’atto richiamato e l’esame e la
valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (cfr. Corte eass. Sez. 3,
Sentenza n. 2268 del 02/02/2006; id. Sez. 3, Sentenza n. 15483 del 11/06/2008; id.
Sez. 2, Sentenza n. 18625 del 12/08/2010).

Va ravvisato, al contrario, il vizio

di moti\ aitone quando il giudice non indichi affatto le ragioni del proprio
convincimento rinviando, genericamente e “per , 1-“, al quadro
probatorio acquisito, senza alcuna esplicitazione al riguardo, né alcuna
disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo
seguito (cfr. Corte eass. Sez. 5, Sentenza n. 12664 del 20/07/2012).
Nella specie la sentenza di appello deve ritenersi esente dalla censura
prospettata atteso che gli argomenti esaminati nelle sentenze di merito
richiamate risultano evidenziati al punto 1.2 della motivazione in cui i
Giudici territoriali hanno dato atto che, a seguito di verifica fiscale definita
con PVC in data 16.12.2005 – che aveva liquidato in € 551.789,55 l’IVA dovuta, era stato accertato il non corretto utilizzo del “plafond” nei mesi da aprile

a luglio 2003, avendo la società effettuato importazioni per un ammontare
superiore al limite disponibile, in tal modo rimanendo integrato l’illecito
previsto dall’art. 7co4 Dlgs n. 471/1997.
Infondato è anche il terzo motivo

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RG n. 6756/2010
ric. Temax Italia s.r.1 c/ Ag.Dogane

C
Stefan

st.
ivieri

“re/allo”, operata dal Giudice di appello, deve realizzare pertanto una

Come affermato da numerose pronunce di questa Corte “nel regime
introdotto dall’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’obbligo di
motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche “per
relationem”, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto
risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano
allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto
contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessarie e
sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui
indicazione consente al contribuente -ed al giudice in sede di eventuale
sindacato giurisdizionale- di individuare i luoghi specifici dell’atto
richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli
elementi della motivazione del provvedimento” (cfr., ex pluribus, Corte cass.
V sez. 29.1.2008 n. 1906).

L’obbligo di allegazione dell’atto richiamato “per relationem” trova,
peraltro, limite nella stessa ragionevolezza della norma, e pertanto è stato
opportunamente precisato che “in tema di motivazione “per relationem”
degli atti d’imposizione tributaria, l’art. 7, comma 1, della legge 27 luglio
2000, n. 212 (cosiddetto Statuto del contribuente), nel prevedere che debba
essere allegato all’atto dell’amministrazione finanziaria ogni documento
richiamato nella motivazione di esso, non intende certo riferirsi ad atti di
cui il contribuente abbia già integrale e legale conoscenza per effetto di
precedente notificazione; infatti, un’interpretazione puramente formalistica
si porrebbe in contrasto con il criterio ermeneutico che impone di dare alle
norme procedurali una lettura che, nell’interesse generale, faccia bensì
salva la funzione di garanzia loro propria, limitando al massimo le cause
d’invalidità o d’inammissibilità chiaramente irragionevoli- (Corte cass. V
sez. 2.7.2008 n. 18073): pertanto se l’atto richiamato è stato già notificato o

consegnato dal contribuente, ovvero è stato pubblicato su albi o bollettini

RG n. 6756/2010
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Co est.
Stefano livieri

essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto,

ufficiali, è sufficiente la semplice indicazione degli estremi dell’atto e degli
altri elementi necessari alla individuazione della pubblicazione (cfr. Corte
cass. SU 14.5.2010 n. 11722 “tale motivazione può essere assolta per relationem ad

altro atto che costituisca il presupposto dell’imposizione, atto del quale, tuttavia,
debbono comunque essere specificamente indicati gli estremi, anche relativi alla
pubblicazione dello stesso su bollettini o albi ufficiali che eventualmente ne sia stata
l’atto di rinvio, quando si tratta di atti dei quali il contribuente abbia già integrale e
legale conoscenza per effetto di precedente notificazione o pubblicazione,

non deve

essere necessariamente allegato alla cartella -secondo una interpretazione non
puramente formalistica della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 1, (cosiddetto
Statuto del contribuente)-, sempre che ne siano indicati nella cartella stessa i relativi
estremi di notificazione o di pubblicazione”).

Orbene risulta (per ammissione della ricorrente: pag. 2 ricorso) che il PVC in
data 16.12.2005, redatto all’esito della verifica fiscale, era stato portato a
conoscenza della società contribuente, con la conseguenza 31 -ie, nella specie,
non sussisteva alcun obbligo di materiale allegazione del PVC richiamato
nel provvedimento irrogativo della sanzione.
Con il quarto motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa
applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360co l n. 3 c.c., nonché
la violazione dell’art. 115 c.p.c. con riferimento all’art. 111 Cost., in
relazione all’art. 360co l n. 4 c.p.c.
Premessa la inconferenza della censura formulata come vizio di nullità
dell’attività processuale, non essendo dato evincere dalla esposizione del
motivo : a) se si intenda censurare la sentenza della CTR lombarda per
omessa pronuncia su alcun motivo di gravame proposto dalla società con
l’atto di appello , ovvero b) si intenda ipotizzare una assoluta carenza del
requisito della motivazione della sentenza (così sembrerebbe deporre il
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fatta a sensi di legge, affinché il contribuente ne abbia conoscenza o conoscibilità:

riferimento all’art. 111 Cost.), o ancora c) si intenda censurare la sentenza
della CTR per non avere posto a fondamento della decisione il fatto non
contestato del regolare status di esportatore abituale e del regolare
costituzione del plafond per gli anni 2001 e 2002 (ma in tal caso si sarebbe
dovuto, allora, fa valere l’errore sotto il profilo del vizio logico di motivazione ex art.
360co l n. 5 c.p.c., senza considerare che la sentenza di appello -come emerge

affatto ritenuto in contestazione i presupposti di legge indicati dalla società, ma
soltanto il presupposto relativo alla disponibilità del plafond), il

vizio di

violazione della norma che regola il riparto probatorio è infondato.
Occorre premettere che i presupposti sostanziali che legittimano la
applicazione del sistema plafond sono individuati dall’art. 8 Dpr n. 633/72
e dal DL n. 746/1983 conv. in legge n. 17/1984, nel testo in vigore “ratione
temporis” :
nella registrazione, nell’anno precedente, di corrispettivi delle
cessioni alla esportazione per un ammontare superiore al 10% del
volume affari ex art. 20 Dpr n. 633/1972 (tale presupposto qualifica
il contribuente come “esportatore abituale”)
nella cd. “dichiarazione di intenti” di avvalersi del regime di
sospensione d’imposta -“che può riguardare anche più operazioni
tra le stesse parti”-, da redigersi secondo il modello ministeriale ed i
cui estremi debbono essere riportati nella fattura emessa in
esecuzione della operazione
nel corretto utilizzo del plafond determinato ai sensi dell’at. 8
comma 2 Dpr n. 633/1972 (le operazioni in sospensione di imposta non
possono superare i limiti di ammontare del plafond disponibile).

Orbene appare dirimente, ai fini della risoluzione della questione di
diritto sottoposta all’esame della Corte, evidenziare la netta distinzione tra
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chiaramente dalla correlazione tra i punti 1.2, 1.4 e 2.3 della motivazione- non ha

la controversia avente ad oggetto la impugnazione dell’atto tributario con il
quale l’Amministrazione finanziaria fa valere una pretesa impositiva avente
ad oggetto la imposta o la maggiore imposta dovuta, e quella in cui, come
nello specifico caso in esame, si discute della applicazione di un regime di
riscossione dei diritti doganali da ritenersi speciale rispetto a quello
ordinario (secondo cui “l’imposta relativa alle importaz ioni è accertata,
633/1972).

Mentre nel primo caso oggetto della controversia è l’accertamento degli
elementi di fatto e di diritto che determinano il presupposto d’imposta al
quale la norma ricollega la insorgenza della obbligazione tributaria, nonché
le modalità di liquidazione del tributo, e la Amministrazione finanziaria nel giudizio susseguente alla opposizione del contribuente- viene a
rivestire, pertanto, la posizione di attore in senso sostanziale, essendo
quindi tenuta a fornire la prova dei fatti costitutivi della pretesa, nel
secondo caso, invece, è del tutto incontroverso sia l’ “an” che il “quantum”
della imposta (non è, infatti, in contestazione che la società nei mesi di aprile-luglio
2003 abbia effettivamente realizzato operazioni di importazione, assoggettate ad
IVA, corrispondenti a quelle individuate dalle bollette doganali e per l’importo ivi
indicato, e sia dunque tenuta al versamento della imposta), venendo in questione

piuttosto la modalità di riscossione del tributo che può essere differita dal
contribuente, avvalendosi del regime in sospensione d’imposta, laddove
risultino osservate tutte le condizioni legali, tra cui il limite del plafond.
In tale ipotesi, pertanto, in cui il diritto doganale della Amministrazione
finanziaria non necessita di alcun accertamento giudiziale (il tributo è certo
e liquido), le condizioni legali di accesso del contribuente al regime di
sospensione della riscossione ex art. 8 Dpr n. 633/1972 vengono ad
atteggiarsi come fatto (temporaneamente) impeditivo della esigibilità del
credito che il contribuente può efficacemente opporre dimostrando la
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Stefano

t.
vieri

liquidata e riscossa per ciascuna operazione”: art. 70rol Dpr n.

esistenza dei presupposti sostanziali che cui è ricollegata l’applicazione del
beneficio.
Pertanto sia che il regime normativo in questione, derogativo della
disciplina ordinaria della esazione dei diritto doganali, venga ad essere
riguardato come vero e proprio

“beneficio fiscale”

accordato al

qualifica detto regime come “speciale trattamento fiscale”; Corte cass. V sez.
10.6.2011 n. 12774 che fa espresso riferimento al “diritto dell’esportatore abituale a
fruire dello speciale trattamento fiscale previsto dalla norma”; Corte cass. V sez.
20.7.2007 n. 16114 che -con riguardo a beni importati destinati a proseguire verso

altro Stato membro- ravvisa un “beneficio della sospensione del pagamento della
imposta” Corte cass. V sez. 30.1.2007 n. 1947 che qualifica tale regime come
“agevolazione”),

sia che venga riguardato come riconoscimento al

contribuente (esonerato dal versamento dell’IVA al momento di ogni singola
operazione di importazione)

di una situazione giuridica di vantaggio

opponibile, in giudizio, alla Amministrazione doganale che esiga in
relazione a ciascuna operazione l’immediato pagamento del tributo, grava
sul contribuente -che intenda avvalersi delle disposizioni di legge che
regolano la sospensione d’imposta- l’onere della prova della effettiva
osservanza di tutte le condizioni richieste dalla legge.
Nel giudizio avente ad oggetto la impugnazione da parte del
contribuente dell’atto impositivo con il quale la Agenzia delle Dogane fa
valere la immediata esigibilità del tributi (diritto doganale-IVA) per
insussistenza dei presupposti indicati dall’art. 8 Dpr n. 633/72 e dal DL n.
746/1983 conv. in legge n. 17/1984, la regola generale del riparto
dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c. deve trovare, pertanto, applicazione
in conformità al seguente criterio:
– l’Amministrazione finanziaria, che agisce per il pagamento dell’IVA
su ciascuna operazione doganale imponibile, è tenuta a contestare
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contribuente-esportatore abituale (cfr. Corte cass. I sez. 2.11.1992 n. 11882 che

specificamente la inesistenza di una o più delle condizioni cui la
legge ricollega la sospensione della riscossione della imposta
il contribuente per opporsi efficacemente alla pretesa dovrà fornire la
prova della esistenza della condizione o delle condizioni di legge
espressamente contestate dalla Amministrazione finanziaria.

merito, emesse nel giudizio avente ad oggetto la controversia sul diritto
doganale e la cui autorità ha richiamato, ai fini probatori, ai sensi dell’art.
337 c.p.c., secondo cui spettava, in ogni caso, alla società contribuente, che
aveva inteso avvalersi, presentando la cd. “dichiarazione di intenti”, il
“beneficio” della sospensione di imposta, dimostrare la sussistenza dei
presupposti sostanziali di legge di fronte alla contestazione mossa dalla
Amministrazione doganale di sforamento del plafond.
La pronuncia della CTR risulta, pertanto, conforme al principio di
diritto sopra enunciato e va dunque esente da critica.
Con il quinto motivo la società deduce violazione e falsa applicazione
dell’art 112 c.p.c. , in relazione all’art. 360co l n. 4 c.p.c., sostenendo che il
Giudice di appello aveva omesso di considerare le doglianze della parte
appellante “limitandosi ad affermare che l’atto impugnato era motivato e
che la ricorrente si era già difesa in altro contenzioso “, ed aveva gravato
la società dell’onere della prova evitando “di analizzare e valutare tutte le
argomentazioni difensive della parte” e non avendo preso in esame fatti
incontestati (status di esportatore abituale, regolarità delle annotazioni), gli
errori del sentenza di primo grado, e la circostanza che la società si era
attenuta alle istruzioni impartite dalla Agenzia delle Dogane ed aveva
versato la imposta maturando il diritto alla detrazione dell’IVA.
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C
Stefano

t.
ivieri

La CTR lombarda ha condiviso le argomentazioni delle sentenze di

Il motivo è inammissibile nella parte in cui è volto a far valere
“omissioni” concernenti fatti oggetto di prova o di non contestazione
asseritamente trascurati dal Giudice di merito, venendo a censurare sotto il
profilo del vizio di nullità processuale un errore di fatto sindacabile
esclusivamente in relazione al paradigma di legittimità di cui all’art.
Come ripetutamente affermato da questa Corte, infatti, ad integrare gli
estremi del vizio di omessa pronuncia, non basta la mancanza di una
espressa statuizione del giudice, essendo necessario la totale pretermissione
del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso
concreto; tale vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in
contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la
non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione (cfr.
Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 10636 del 09/05/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 17698

del 29/08/2011; id. Sez. 3, Sentenza n. 7268 del 11/05/2012; id. Sez. 3, Sentenza n.
16254 del 25/09/2012).

Relativamente alla omessa rilevazione da parte del Giudice di merito
dell’errore contenuto nella sentenza di primo grado essendo indicata una
data di pubblicazione della sentenza anteriore a quella della udienza di
trattazione, la censura si palesa priva di specificità ex art. 366 n. 4) c.p.c. in
quanto non è dato evincere dal motivo di ricorso, neppure integrandolo con
la descrizione dei motivi di gravame riportata a pag. 12 del ricorso, quale
sia la norma processuale che si ritiene violata e soprattutto quale
conseguenza giuridica, sul piano processuale, debba derivare dall’ “errore”
di data rilevato nella intestazione della sentenza di prime cute: la ricorrente,
infatti, ha del tutto omesso di allegare e specificare se l’errore in questione
riflettesse un vizio di nullità afferente l’effettivo svolgimento dell’attività
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ric. Temax Italia s.r.1 c/ Ag.Dogane

t.

Sten
a

livieri

360col n. 5 c.p.c. .

processuale ovvero dovesse ricondursi ad un mero “errore materiale” di
trascrizione.
Quanto al mancato esame della dichiarazione sostitutiva dell’atto di
notorietà, depositata in grado di appello, nella quale si dava atto che la
società aveva regolarizzato, ai sensi dell’art. 26co 1 Dpr n. 633/1972, le
versato la corrispondente somma dovuta a titolo IVA, la censura si palesa
infondata, atteso che a quanto è dato comprendere dalla laconica
esposizione del motivo, la società con tale produzione intendeva richiedere
l’accertamento del proprio diritto alla detrazione d’imposta ex art. 19 Dpr
n. 633/1972, e dunque far valere una pretesa del tutto estranea all’oggetto
del giudizio (concernete la irrogazione della sanzione pecuniaria per
l’illecito tributario) ed in ordine alla quale non vi era, pertanto, alcun
obbligo del Giudice di merito a provvedere (cfr. Corte eass. Sez. L, Sentenza
n. 16033 del 17/08/2004; id. Sez. 3, Sentenza n. 20911 del 27/10/2005; Sez. 3,
Sentenza n. 10489 del 07/05/2009; Sez. 1, Sentenza n. 7951 del 31/03/2010).

Con il sesto motivo la società ricorrente impugna la sentenza per
violazione e falsa applicazione dell’art. comma 2 e comma 5 bis del Dlgs
n. 472/1997, in combinato disposto con l’art. 10 commi 2 e 3 della legge n.
212/2000, in relazione all’art. 360co1 n. 3 c.p.c..
La società, da un lato, invoca l’applicazione della esimente di cui
all’art. 10co3 legge n. 212/2000 (incertezza sulla portata e sull’ambito di
applicazione della norma tributaria)

in quanto le molteplici circolari

interpretative emanate dalla Agenzia delle Dogane (n.8/D del 27.4.2003 —
protocollo procedurale sul plafond IVA in uso ai verificatori-; n. 98 del 17.5.2000, n.
50 del 16.6.2002 e n. 54 del 19.6.2002, videoconferenza Tele fisco del 2008)
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ric. Temax Italia s.r.1 ci Ag.Dogane

st.
C
Ste no ivieri

registrazioni delle operazioni eseguite in eccedenza del plafond, ed aveva

denoterebbero complessità ed incertezze applicative del sistema del plafond
tali da aver determinato causalmente la società ad incorrere nella infrazione
contestata; dall’altro invoca la causa di non punibilità prevista dall’art.
10co2 legge n. 212/2000 essendosi uniformata la società alle indicazioni
contenute nelle predette circolari sul plafond; ed ancora sostiene che nelle
more del giudizio è venuto meno il presupposto (danno erariale per
posizione tributaria (nota depositata in data 24.1.2008 nella quale si dichiara di
“aver predisposto” la regolarizzazione degli errori ai sensi dell’art. 26 co4 Dpr n.
633/7 con conseguente versamento della somma di € 458.046.00 a titolo Iva ed
interessi) e dunque avendo conseguito il diritto alla corrispondente

detrazione dell’IVA versata sulle operazioni di importazione escluse dal
regime del plafond, come riconosciuto dalla circ. n. 54/2002 della Agenzia
delle Dogane, dalla sentenza della Corte di giustizia 8.5.2008 C-95 e
96/07, e dalla circolare n. 5 del 6.3.2009 della Agenzia delle Entrate,
dovendo in conseguenza ritenersi compensato il debito erariale con
l’importo portato in detrazione IVA e conseguentemente venuto meno il
presupposto giustificativo della sanzione.
Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
Quanto alla invocata applicazione dell’esimente, è sufficiente osservare
come la relativa questione non risulti dedotta nei precedenti gradi di
giudizio e, pertanto, trattandosi di questione nuova non possa essere
prospettata per la prima volta nel giudizio di legittimità. In ogni caso la
esimente non trova fondamento nella mera pluralità di “circolari” emanate
in materia dalla Amministrazione doganale (delle quali, peraltro, neppure
sono state evidenziate dalla società eventuale lacune o contraddizioni tra le
disposizioni succedutesi nel tempo), ma deve trovare riscontro in un
irrisolto contrasto giurisprudenziale sulla interpretazione della norma
13
RG n. 6756/2010
ric. Temax Italia s.r.1 c/ Ag.Dogane

est.
livieri

evasione IVA) irrogativo della sanzione, avendo la società regolarizzato la

tributaria. Come infatti questa Corte ha precisato, in tema di sanzioni
amministrative per violazione di norme tributarie, la “incertezza normativa
obiettiva”, che costituisce causa di esenzione del contribuente dalla
responsabilità amministrativa tributaria, postula una condizione di
inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della
norma tributaria, ossia la insicurezza ed equivocità del risultato conseguito
il significato della disposizione tributaria, non è riferibile a un generico
contribuente, né ai soggetti capaci di un’interpretazione qualificata
(studiosi, professionisti legali ecc.) e tanto meno all’ufficio finanziario,
bensì esclusivamente al giudice, in quanto rappresenta l’unico soggetto
dell’ordinamento investito del potere-dovere di accertare la ragionevolezza
di una determinata interpretazione normativa. Pertanto può ritenersi che
una norma abbia un significato obiettivamente incerto, quando
l’interpretazione che di essa abbia dato la giurisprudenza non sia appagante,
in termini di certezza, poiché oscillante tra risultati ermeneutici differenti e
non univoci (cfr. Corte eass. V sez. 23.3.2012 n. 4683).
Inconferente è invece il motivo nella parte in cui intende far valere la
esimente di cui all’art. 10co2 legge n. 212/2000 in quanto la società di
sarebbe uniformata alle indicazioni impartite nelle predette circolari dalla
Agenzia delle Dogane. Ed infatti se la uniformità della condotta deve
essere riferita alla verifica dei presupposti legali del regime di sospensione
d’imposta relativi allo status di esportatore abitale ovvero alla
determinazione dell’ammontare del plafond 2002, la censura è inconferente
rispetto alle statuizioni della sentenza impugnata che hanno ritenuti
incontestati tali presupposti; se invece la uniformità della condotta dovesse
essere riferita al presupposto legale della osservanza del limite del plafond,
allora la censura è inammissibile per difetto di specificità ex art. 366co 1 n.
14
RG n. 6756/2010
Ag.Dogane
ric. Temax Italia s.r.1

Co e .
Stefano ivieri

attraverso la sua interpretazione. Tale attività interpretativa, volta a chiarire

4 c.p.c., da un lato, non essendo stato in alcun modo illustrato nel ricorso e
dimostrato che lo splafonamento è dipeso da istruzioni errate della
Amministrazione doganale, dall’altro venendosi a risolvere in una mera
enunciazione tautologica, inidonea ad evidenziare il denunciato vizio di
legittimità della sentenza di appello, nel caso in cui si volesse affermare che
dalla uniformità della condotta deriverebbe la prova del mancato

Palesemente infondato è invece il motivo laddove la società intende
trarre il venire meno del presupposto irrogativo della sanzione dal principio
di diritto comunitario secondo cui le conseguenze giuridiche imposte dagli
Stati membri in caso di inosservanza delle formalità previste dall’art. 18co 1
lett. d) e degli obblighi contabili e di dichiarazione previsti dall’art. 22 nn. 2
e 4 della sesta direttiva n. 77/388 (in materia di armonizzazione delle
legislazioni relative alle imposte sulla cifra di affari) non possono
contrastare con il principio di proporzionalità e tanto meno elidere il
principio di neutralità fiscale, disponendo la perdita del diritto alla
detrazione dell’IVA qualora gli altri obblighi sostanziali risultino osservati
(Corte Giustizia 8.5.2008 in cause rinite C-95/07 e C-96/07, Ecotrade s.p.a.)

Altro è infatti -l’incontestato- diritto della società contribuente a vedere
detratta l’IVA versata sulle operazioni di importazione, ed altro la
ipotizzata eliminazione con effetto “ex tunc” della rilevanza della condotta
illecita (per essere stata versata l’IVA) ovvero il riconoscimento di una
causa di non punibilità sopravenuta (versamento dell’IVA), effetti questi
ultimi non previsti da alcuna norma di legge.
In conclusione il ricorso deve essere rigettato e la società contribuente
condannata alla rifusione delle spese del presente giudizio che si liquidano
in dispositivo.
15
RG n. 6756/2010
ric. Temax Italia s.r.I c/ Ag.Dogane

Ste

é\vieri

sforamento del plafond.

e`SENTE DA REGISTgAZIONE
Al SENSI DEL D.R. 2N4/19,6
N. 131 TAB. ALI. ì!s. – N, 5
MATUIA TRIBUREA

a

P.Q.M.
La Corte :
– rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente alla rifusione delle spese
del presente giudizio che liquida in € 8.000,00 per compensi oltre le spese
prenotate a debito.

Così deciso nella camera di consiglio 14.1.2013

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