Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20952 del 06/08/2019

Cassazione civile sez. trib., 06/08/2019, (ud. 07/05/2019, dep. 06/08/2019), n.20952

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. D’OVIDIO Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23607-2016 proposto da:

A.A., D.R.A.L., con domicilio eletto in ROMA

PIAZZA CAVOUR presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’Avvocato FAUSTO A.;

– ricorrenti –

contro

COMUNE FILETTO UFFICIO TRIBUTI;

– intimato –

avverso la sentenza n. 213/2016 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

PESCARA, depositata il 25/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

07/05/2019 dal Consigliere Dott. MILENA BALSAMO.

Fatto

RILEVATO

che:

1. A.A. e D.R.A.L. ricorrono sulla base di tre motivi per la cassazione della sentenza n. 22/02/2015 emessa dalla CTR dell’Abruzzo che, nel rigettare l’appello dei contribuenti, disattendeva le eccezioni sollevate dalla D.R., la quale affermava, da una parte, di non essere intestataria di taluni degli immobili oggetto degli avvisi Ici 2009/11 opposti – part. (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) – e, dunque, di non essere legittimata passiva dell’imposizione tributaria; dall’altra, dichiarava di essere comproprietaria dei cespiti. In particolare, i giudici regionali affermavano che la D.R. non aveva fornito la prova di essere comproprietaria in quota diversa dal 50% dell’intero attribuitole negli avvisi di accertamento a lei notificati, e rilevavano l’inidoneità della prova offerta a dimostrazione dell’uso ad abitazione principale dell’intero complesso, ritenendo del tutto irrilevante l’autocertificazione prodotta dai ricorrenti in ordine alla destinazione degli immobili, così come il “fatto localmente notorio” che il fabbricato e le pertinenze fossero adibite ad una unica abitazione principale.

Escludevano inoltre l’illegittimità degli atti impositivi sotto il profilo motivazionale, rilevando in essi sia l’indicazione del petitum della pretesa tributaria e le relative ragioni fondanti il credito, sia gli elementi identificativi catastali degli immobili per i quali era stata intimata la pretesa.

Respingevano la domanda di disapplicazione delle sanzioni, in assenza di incertezza normativa, e negavano che la contumacia del Comune potesse assurgere a valenza probatoria di non contestazione dei fatti dedotti dai ricorrenti.

Il Comune non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

3. Con il primo motivo si lamenta violazione dei D.L. 21.05.2008, nonchè del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 8, comma 2, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere i giudici territoriali erroneamente escluso l’esenzione dall’Ici sull’abitazione principale per gli anni dal 2008 al 2011.

4. Con la seconda censura si lamenta omessa e insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, per avere i giudici regionali ritenuto sussistenti i presupposti per l’imposizione ICI, nonchè la comproprietà ovvero il compossesso dei due appartamenti, formalmente accatastati separatamente ma di fatto adibiti ad unica abitazione, come inferibile dall’autodichiarazione.

5. Con il terzo mezzo, si lamenta la nullità della sentenza in ragione dell’assoluta mancanza dei presupposti dell’imposizione ICI, sulla base delle produzioni documentali e degli atti catastali “non corrispondenti con i presupposti e i fatti di causa su cui si fondano le pronunce di merito non prodotte ed acquisite formalmente in giudizio da alcuno nelle forme e termini di legge ex art. 360 c.p.c., n. 4.”.

6. A tal fine la D.R. insiste nell’affermare di essere titolare dell’immobile di via (OMISSIS) al piano primo nella misura del 50%, “acquistato dal coniuge prima della riforma del diritto di famiglia”; di essere comproprietaria, in misura diversa dal 50% indicata dal Comune, del piano secondo, in parte ereditato dal coniuge ed in parte acquistato da entrambi i coeredi dell’ A.; confermano i ricorrenti che l’immobile in c.da (OMISSIS) è in realtà il piano 2^ di via (OMISSIS), dove la famiglia vive, abitando entrambi gli appartamenti, così come dimostrato dall’autocertificazione, dalla contumacia dell’ente comunale e dal fatto notorio; che, erroneamente il Comune aveva individuato il piano primo in c.da (OMISSIS) “per far apparire l’immobile” materialmente ubicato in località diversa dall’immobile di via (OMISSIS); che erroneamente la CTR aveva rigettato la domanda di esclusione delle sanzioni, in quanto sia la giurisprudenza citata nel ricorso sia le errate risultanze catastali e l’autocertificazione dimostravano la volontà non elusiva dei contribuenti; che, a tal fine, i giudici regionali non avevano considerato l’assenza di motivazione degli atti impositivi e l’illegittimità del comportamento tenuto dal comune, finendo infine con il reiterare le censure proposte nel giudizio di merito avverso gli atti tributari impugnati.

7. Le tre censure, che possono essere scrutinate congiuntamente in quanto concernenti le medesime questioni, sono inammissibili.

In primo luogo, la confezione del ricorso mediante l’assemblaggio di argomentazioni diverse non riconducibili all’una o all’altra censura della sentenza impugnata e di critiche rivolte direttamente agli atti opposti, il tutto intermezzato da pronunce della Corte, viola il principio di specificità, in quanto rende incomprensibile il mezzo processuale, perchè privo di una corretta ed essenziale narrazione dei fatti processuali (ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), della sintetica esposizione della soluzione accolta dal giudice di merito, nonchè dell’illustrazione dell’errore da quest’ultimo commesso e delle ragioni che lo facciano considerare tale, addossando in tal modo alla S.C. il compito, ad essa non spettante, di sceverare da una pluralità di elementi quelli rilevanti ai fini del decidere (Cass. n. 22185/2015; n. 8245/2018).

Sulla base di quanto già osservato, in fattispecie analoga, da Cass. 21611/13 (ed altre), va rilevato che “le doglianze qui prospettate cumulano in sè rilievi di ordine processuale e sostanziale tra loro slegati e formulati in maniera tale da impedire di cogliere con chiarezza le effettive portata di ogni singola censura (in contrasto con i principio affermati dalle S.U. con sentenza n. 9100/2015, le quali ammettono sì la deduzione di plurime doglianze in una unica censura, ma solo a condizione che ciò permetta di cogliere con chiarezza la censura a ciascun profilo partitamente riconducibile) e non risultano riferibili punto per punto ad una determinata ratio decidendi della sentenza impugnata; della quale non vengono specificamente e completamente riportati i passaggi logici posti a fondamento della decisione e della quale non viene esattamente individuata e ricostruita la ratio che si intenderebbe inficiare”.

I motivi di ricorso risultano mirati a far valere l’affermata ingiustizia della sentenza, senza farsi carico del fatto che il ricorso per cassazione costituisce un rimedio di tipo impugnatorio a critica vincolata “con riguardo al quale, quelle di precisione, chiarezza, pertinenza e sinteticità costituiscono non già mere ed opzionali connotazioni stilistiche, ma puntuali e cogenti prescrizioni di legge (Cass. 17125/2006; n. 21297/2016), funzionali al corretto espletamento del suddetto controllo di legittimità”.

Tali lacune debbono ritenersi tanto più gravi in presenza di contestazioni di natura motivazionale, ma sono rilevanti anche in presenza di asseriti vizi ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) “necessitanti anch’essi di specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza o dalla dottrina, diversamente non ponendosi la Corte regolatrice in condizione di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass. n. 22499/2006; n. 15952/2007)”

8. I motivi sono inammissibili anche per altre ragioni.

9. Essi si limitano a richiamare i documenti di cui si denuncia una erronea valutazione senza trascriverne i passi salienti o, in alternativa, fornire gli elementi necessari per individuarli all’interno del fascicolo (Cass. 16254 del 25/09/2012; n. 2527/2015; n. 19985/2017).

Ciò posto, i giudici regionali hanno correttamente escluso la sussistenza del cd “fatto notorio”, in quanto non provato dai ricorrenti nei suoi elementi costitutivi, ed hanno negato rilevanza probatoria all’autocertificazione sulla destinazione dell’immobile.

Quanto al fatto notorio, vale osservare che il ricorso alle nozioni di comune esperienza ex art. 115 c.p.c., comma 2, attiene all’esercizio di un potere discrezionale riservato al giudice di merito e, pertanto, l’esercizio sia positivo che negativo del potere di fare ricorso al notorio non è sindacabile in sede di legittimità, ed egli non è tenuto ad indicare gli elementi sui quali la determinazione si fonda, essendo invece censurabile l’assunzione, a base della decisione, di una inesatta nozione del ‘notoriò, che va inteso quale fatto generalmente conosciuto, almeno in una determinata zona (cd. notorietà locale) o in un particolare settore di attività o di affari da una collettività di persone di media cultura (Cass. n. 27591 del 14/12/2005; n. 18674/2015).

In riferimento all’autocertificazione, questa Corte ha ribadito il principio che la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà ha attitudine certificativa e probatoria esclusivamente in alcune procedure amministrative, essendo viceversa priva di efficacia in sede giurisdizionale; con specifico riguardo al contenzioso tributario, la valenza probatoria dell’autocertificazione trova ostacolo invalicabile nella previsione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, giacchè finirebbe per introdurre nel processo tributario – eludendo il divieto di giuramento e prova testimoniale – un mezzo di prova, non solo equipollente a quello vietato, ma anche costituito al di fuori del processo (v. Cass. n. 6755 e n. 3724 del 2010; Cass. n. 1663/2013). La CTR ha fatto buon governo dei principi esposti, disconoscendo valenza probatoria all’autocertificazione e riconoscendole tutt’al più mero valore indiziario privo dei requisiti di gravità e precisione idonei a suffragare l’opposizione dei contribuenti.

10. Quanto alla doglianza secondo la quale erroneamente la CTR non avrebbe considerato la diversa entità della quota di comproprietà in capo alla D.R. su taluni immobili (con riferimento ai quali deduce contestualmente anche l’assenza di intestazione sulle particelle nn. (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)), giova ricordare che la determinazione dell’imposta si fonda sulle risultanze catastali esattamente individuate negli avvisi di accertamento, come evidenziato con apprezzamento di merito nella decisione impugnata.

A tal proposito, il D.Lgs. n. 504 del 1992, all’art. 1, comma 2, prevede, quale presupposto dell’imposta in esame, “il possesso di fabbricati, di aree fabbricabili e di terreni agricoli”, all’art. 3, nell’elencare i soggetti passivi dell’ICI, fa riferimento al proprietario degli immobili indicati nel comma 2 della norma sopra indicata ed, inoltre, all’art. 5, fa espresso riferimento ai fabbricati iscritti in catasto, ove rilevano i soli titolari di diritti reali.

Questa Corte ha avuto modo di affermare che ” pur se il catasto è preordinato a fini essenzialmente fiscali, il diritto di proprietà, al pari degli altri diritti reali, non può – in assenza di altri e più qualificanti elementi ed in considerazione del rigore formale prescritto per tali diritti essere provato in base alla mera annotazione di dati nei registri catastali, che hanno in concrete circostanze soltanto il valore di semplici indizi”.

“Tuttavia l’intestazione di un immobile ad un determinato soggetto fa sorgere comunque una presunzione de facto sulla veridicità di tali risultanze ” (Cass. n. 14420/2010; Cass. n. 13061 del 24/05/2017) ponendo a carico del contribuente l’onere di fornire la prova contraria.

Dunque, la normativa ICI collega la titolarità passiva dell’imposta direttamente al proprietario, o ai titolari di altri diritti reali, e su costoro, quindi, grava l’onere della prova diretta all’esenzione dal pagamento dell’imposta e cioè la carenza del possesso che ne costituisce la condizione di fatto.

Pertanto, una volta rilevata dalle risultanze catastali la titolarità dell’immobile in capo ad un soggetto, il Comune può legittimamente chiedere ad esso il pagamento.

La ricorrente non ha offerto la prova contraria circa la quota di proprietà di taluni cespiti, onere imposto dalla circostanza che la medesima risultava intestataria degli immobili oggetto di imposizione (come indicato negli atti impositivi), limitandosi solo in questa sede ad affermare che il coniuge aveva ereditato parte del primo piano, ed entrambi avevano acquistato dai coeredi la residua quota.

Allegazione inammissibile, come quella relativa all’omessa notifica degli atti presupposti, in quanto i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (v. Cass. Sez. 3, 09/01/2002 n. 194; più di recente, v. Cass. Sez. 6 – 1, 09/07/2013 n. 17041; n. 25319/2017; n. 907/2018).

11. In ogni caso, le deduzioni difensive proposte dalla D.R. contrastano altresì con la qualificazione di comproprietaria – compossessore di tutti i cespiti, che la stessa si è attribuita sin dal ricorso in appello.

La censura non correttamente rubricata che attinge la sentenza nella parte in cui apoditticamente avrebbe escluso la nullità degli avvisi non coglie nel segno, in quanto il decidente non solo ha respinto la doglianza per la sua genericità ma anche perchè i medesimi ricorrenti avevano confermato nell’introduzione del ricorso di aver ricevuto a mezzo posta la notifica degli avvisi.

Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.

In mancanza di costituzione del Comune, nulla va liquidato per le spese.

PQM

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta sezione civile, il 7 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 agosto 2019

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