Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20950 del 17/10/2016


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Cassazione civile sez. VI, 17/10/2016, (ud. 12/07/2016, dep. 17/10/2016), n.20950

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11049-2014 proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE DELLE

GIOIE 13, presso lo studio dell’avvocato CAROLINA VALENSISE, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIULIO CARACCIOLO

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

DUOMO UNI ONE SPA, P.F., D.M.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 428/2013 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA del 7/11/2013, depositata in data 11/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/07/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIETTA SCRIMA.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

“1. A.A. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi avverso la sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria, depositata in data 11 novembre 2013 (per evidente lapsus calami è indicata la data dell’11 novembre 2011 in calce alla stessa, ma vedi data di decisione, NRG e numero di repertorio della medesima sentenza). Con la predetta sentenza, accogliendo per quanto di ragione l’impugnazione proposta avverso la sentenza del Tribunale di Locri del 7 ottobre 2011, la Corte territoriale già indicata ha dichiarato che l’investimento del pedone A.A. da parte dell’autovettura guidata da P.F. e di proprietà della madre di questi, D.M.A.M., ed assicurata dalla Duomo Uni One, avvenuto il (OMISSIS) e di cui si discute in causa, è imputabile per l’80% alla condotta di guida del P. e per il restante 20% all’ A. e ha condannato P.F. e la già indicata società assicuratrice, in solido tra loro, al pagamento, in favore dell’ A., dell’importo di 55.450,95, oltre interessi come precisato nel dispositivo della sentenza di secondo grado, e ha regolato tra le parti le spese del doppio grado del giudizio di merito.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

2. Osserva il relatore che il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c. in quanto, in disparte il rilievo che la copia della sentenza impugnata è priva della p. 2, il che non appare, tuttavia, preclusivo all’esame dei motivi del proposto ricorso, quest’ultimo risulta destinato ad essere rigettato.

3. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la falsa applicazione dell’art. 2054 c.c., comma 1, per aver la Corte di merito attribuito ingiustamente al pedone un concorso di colpa pari al 20%.

3.1. Il motivo non può essere accolto.

Alla luce della giurisprudenza di questa Corte (Cass., 13 marzo 2009, n. 6168; Cass. 13 novembre 2014, n. 24204), la presunzione di colpa del conducente dell’autoveicolo investitore prevista dall’art. 2054 c.c., comma 1 non opera in contrasto con il principio della responsabilità per fatto illecito, fondata sul rapporto di causalità fra evento dannoso e condotta umana. Pertanto, la circostanza che il conducente non abbia fornito la prova idonea a vincere la presunzione non preclude l’indagine in ordine all’eventuale concorso di colpa, ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1, del pedone investito, sussistente laddove il comportamento di quest’ultimo sia stato improntato a pericolosità ed imprudenza. Accertato il concorso di colpa tra investitore ed investito, tuttavia, i criteri di ripartizione della colpevolezza costituiscono oggetto di un giudizio di fatto che, come tale, si sottrae al sindacato di legittimità se sorretto da adeguata motivazione. A tali principi si è attenuta la Corte territoriale, la quale ha accertato che “il P. non solo procedeva ad una velocità non adeguata allo stato dei luoghi, in violazione dell’art. 141 C.d.S., comma 3 (come desumibile dalle modalità dell’incidente, avvenuto oltretutto alle ore 21,00 circa, e dal fatto che a seguito dell’uno l’ A. è stato dapprima “caricato” sul veicolo e successivamente “proiettato” sul manto stradale), ma anche che non ha compiuto alcuna manovra di guida idonea ad evitare l’investimento, che anzi ha “per scherzo provocato” e che l’ A. “dal canto suo, stava percorrendo a piedi la via (OMISSIS), in direzione opposta rispetto alla autovettura condotta dal P., ma non si trovava sul marciapiede (pure presente ai margini della strada), tant’è che per evitare di essere investito si è spostato verso il centro della carreggiata”. La medesima Corte ha, quindi, ritenuto che “il conducente del veicolo ha concorso in maniera rilevante alla produzione dell’evento, ma non ne ha rappresentato la causa unica, giacchè il comportamento dell’ A. (non rispettoso dell’art. 190 C.d.S., comma 1 a mente del quale i pedoni devono camminare sui marciapiedi) non è stato privo di efficienza causale rispetto all’evento dannoso” e ha, quindi, con motivazione adeguata, determinato il concorso di colpa del pedone investito nella misura del 20%.

4. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la falsa applicazione degli artt. 2043, 2056, 2059 e 1226 c.c. per non aver la Corte di merito personalizzato il danno non patrimoniale da lui subito, “in ragione della particolare incidenza dell’arto inferiore e superiore destro in un soggetto giovane sulla qualità della sua vita e sugli aspetti relazionali con l’esterno”.

Sostiene il ricorrente che per quantificare il detto danno, la Corte di merito, pur avendo correttamente basato la sua decisione sulle conclusioni del C.T.U., che ha riconosciuto una inabilità temporanea di gg. 205 ed una invalidità permanente del 17% e pur avendo, altrettanto correttamente, fatto riferimento alle Tabelle milanesi, non avrebbe poi provveduto a personalizzare il danno stesso, omettendo di considerare “talune ripercussioni negative sugli aspetti dinamico relazionali della vita del giovane danneggiato, quali la riduzione della capacità lavorativa generica, l’impossibilità di mantenere a lungo la posizione eretta, le maggiori difficoltà nell’esercizio proficuo di qualsiasi attività lavorativa e non, il ritardato conseguimento del titolo accademico e, di conseguenza, il ritardato inizio dell’attività lavorativa remunerata, i danni estetici”.

4.1. Il motivo è infondato.

La Corte di merito, dopo aver precisato che il C.T.U. ha accertato un periodo di inabilità temporanea assoluta di gg. 35, un periodo di invalidità temporanea parziale a 15% di gg. 70 e un periodo di invalidità temporanea parziale al 25% di gg. 100 nonchè una invalidità permanente del 17%, ha determinato il predetto danno non patrimoniale indubbiamente personalizzandolo, atteso che ha tenuto conto espressamente non solo dell’indubbia esistenza del danno anatomo-funzionale” ma anche delle “sofferenze morali, avuto riguardo alle modalità del sinistro, al presumibile spavento provato a causa del suo determinarsi, all’età del danneggiato (18 anni al momento dell’incidente), alla localizzazione ed alla tipologia delle lesioni”.

Il ricorrente, peraltro, pur lamentando la mancata personalizzazione del danno, non ha tuttavia evidenziato quando e in che termini abbia allegato, nel giudizio di merito, gli ulteriori elementi di cui non avrebbe tenuto conto la Corte territoriale nella personalizzazione del danno e neppure ha riportato in ricorso la parte della consulenza tecnica dalla quale, a suo avviso, tali elementi emergerebbero, sicchè sul punto il ricorso difetta pure di autosufficienza.

5. Si ritiene, pertanto, che il ricorso debba essere rigettato.”.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente ha depositato memoria.

A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella Camera di consiglio, il Collegio, ritiene di condividere i motivi in fatto e in diritto esposti nella sopra riportata relazione e di farne proprie le conclusioni, non comportandone il superamento gli argomenti sviluppati nella memoria depositata dalla parte ricorrente, evidenziandosi che nel ricorso per cassazione non si fa alcun cenno alla circostanza che il ricorso proposto dall’ A. in relazione alla sanzione inflittagli per violazione dell’art. 190 C.d.S. sia stato accolto con sentenza n. 179/09, richiamata solo nella predetta memoria, senza peraltro specificare neppure le ragioni poste a fondamento di tale accoglimento; si osserva infatti che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide e al quale va data continuità in questa sede, nel giudizio di legittimità non è consentito, con le memorie di cui all’art. 378 c.p.c. e con quelle omologhe di cui all’art. 380-bis c.p.c., specificare od integrare, ampliandolo, il contenuto delle originarie argomentazioni e dedurre nuove eccezioni o sollevare questioni nuove, violandosi, altrimenti, il diritto di difesa della controparte (v. Cass., ord., 22/02/2016, n. 3471, con cui la S.C. ha ritenuto inammissibile il riferimento, nelle memorie di cui all’art. 380-bis c.p.c., al contenuto di testimonianze e di atri del giudizio di merito in precedenza non indicati nè allegati al ricorso).

2. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

4. Non vi è luogo a provvedere per le spese del giudizio di cassazione nei confronti degli intimati, non avendo gli stessi svolto attività difensiva in questa sede.

5. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 12 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2016

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