Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20949 del 06/08/2019

Cassazione civile sez. trib., 06/08/2019, (ud. 11/04/2019, dep. 06/08/2019), n.20949

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25457-2016 proposto da:

GPI SPA, elettivamente domiciliato in ROMA VIA F. CONFALONIERI 5,

presso lo studio dell’avvocato EMANUELE COGLITORE, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANDREA GIRARDI;

– ricorrente –

contro

ICA SRL, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE TIZIANO 110, presso

lo studio dell’avvocato SIMONE TABLO’, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ALESSANDRO CARDOSI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 52/2016 della COMM. TRIBUTARIA II GRADO di

TRENTO, depositata il 17/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/04/2019 dal Consigliere Dott. CIRESE MARINA.

Fatto

RITENUTO

che:

la GPI s.p.a. impugnava due avvisi di accertamento emessi dalla ICA s.r.l., quale concessionaria del Comune di Trento, a titolo di imposta di pubblicità per gli anni 2012 e 2013 per l’avvenuto collocamento da parte di GPI s.p.a. di dodici decalcomanie rappresentanti il segno distintivo dell’impresa sulle pareti verticali in vetro della sede rivolte verso il parcheggio sopraelevato antistante l’ingresso in quanto ritenuti messaggi pubblicitari collocati in luogo aperto al pubblico e quindi assoggettati a tassazione D.Lgs. n. 507 del 1993 ex art. 5.

A sostegno dell’opposizione, la ricorrente contestava la natura del parcheggio quale luogo aperto al pubblico e deduceva che l’utilizzo dei segni distintivi in questione è di per sè inidoneo a far conoscere il nome, l’attività o il prodotto dell’impresa ad un numero indeterminato di possibili acquirenti.

La CTP di primo grado di Trento con sentenza del 16 settembre 2014 accoglieva il ricorso ritenendo che l’affissione del logo della società non integrasse una forma di pubblicità.

Proposto appello da parte della ICA s.r.l., la CT di secondo grado di Trento con sentenza in data 17.5.2018, in riforma della sentenza impugnata, accoglieva l’appello ritenendo che “..le decalcomanie per cui è causa sono idonee a far conoscere ad un numero indeterminato di possibili acquirenti o utenti l’attività o il prodotto della GPI s.p.a…” ed idonee a realizzare lo scopo pubblicitario.

Avverso detta pronuncia la GPI s.p.a. proponeva ricorso per cassazione articolato in tre motivi cui resisteva la società concessionaria.

Parte resistente depositava memoria ex art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso rubricato “Violazione e falsa applicazione di una norma di legge (art. 360 c.p.c., n. 3) con riferimento al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 5, comma 1, nonchè al regolamento del Comune di Trento n. D4 del 2008, art. 7, comma 1, laddove dispone che l’assoggettamento all’imposta sulla pubblicità presuppone la diffusione di messaggi pubblicitari attraverso forme di comunicazioni visive o acustiche diverse da quelle assoggettate al diritto sulle pubbliche affissioni” parte ricorrente deduce che la CTR ha erroneamente ritenuto che l’uso di un numero consistente di segni distintivi dell’impresa sulle vetrate della propria sede sia sempre idoneo a far conoscere ad un numero indeterminato di possibili acquirenti o utenti l’attività ed il prodotto dell’impresa. In realtà nella specie, tenuto conto dell’attività svolta dalla società (progettazione e realizzazione di sistemi informatici nonchè di gestione ed erogazione di servizi in outsourcing) le affissioni non sarebbero suscettibili di costituire un messaggio pubblicitario poichè l’attività della società non è rivolta ad un pubblico ma solo agli istituti sanitari con cui lavora in modalità back office ed in forza di appalti pubblici cosicchè le stesse svolgono una funzione meramente distintiva e non sono soggetti a tassazione.

2. Con il secondo motivo di ricorso rubricato “Violazione e falsa applicazione di una norma di legge (art. 360 c.p.c., n. 3) con riferimento al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 5, comma 1, nonchè al regolamento del Comune di Trento n. D4 del 2008, art. 7, commi 1 e 6, laddove dispone che ai fini dell’assoggettamento all’imposta sulla pubblicità, la diffusione di messaggi pubblicitari deve avvenire in luoghi pubblici o aperti al pubblico o che sia da tali luoghi percepibile” parte ricorrente deduce che la CTR ha erroneamente ritenuto che ai fini della sussistenza del presupposto impositivo la nozione di luogo aperto al pubblico si attagli anche ad un piazzale privato posto sul tetto carrabile di un edificio soggetto ad accessi regolamentati non aperto al transito ed alla vista del pubblico e su cui non si affacciano attività commerciali. Deduceva che, invece, il piazzale era obiettivamente inidoneo ad avere un numero indeterminato di utenti e quindi a costituire luogo aperto al pubblico.

3. Con il terzo motivo di ricorso rubricato “Violazione e falsa applicazione di una norma di legge (art. 360 c.p.c., n. 3) con riferimento al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2, nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. nella parte in cui dispone che in appello non possono proporsi nuove eccezioni che non siano rilevabili anche d’ufficio” parte ricorrente deduce che la CTR ha erroneamente valorizzato la circostanza (ovvero quella relativa al fatto che l’accesso non sarebbe regolamentato e sarebbe consentito a tutti) dedotta inammissibilmente dall’Ufficio solo in secondo grado senza provvedere ad alcuna verifica in ordine alla reale corrispondenza con i fatti ed in particolare che un numero indeterminato di clienti/utenti possa accedere al piazzale.

I motivi 1) e 2) del ricorso, da esaminarsi congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono inammissibili.

Non è contestato nel caso di specie che i segni distintivi dell’impresa GPI s.p.a. siano stati collocati sotto forma di decalcomanie su una parete di vetro della sede della società rivolta verso un parcheggio, sicchè oggetto di contrasto tra le parti è la riconducibilità di dette decalcomanie alla nozione di impianto pubblicitario, fattispecie a cui il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 5, ricollega il pagamento della imposta, in presenza di determinate caratteristiche (dimensioni, ubicazione, etc.).

Va premesso che il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 5, intende assoggettare ad imposizione il messaggio pubblicitario attuato “attraverso forme di comunicazione visive o acustiche”, in quanto espressivo di capacità contributiva, tutte le volte in cui l’uso del segno distintivo dell’impresa o del prodotto (ditta, ragione sociale, marchio) travalica la mera finalità distintiva, che è quella di consentire al consumatore di riconoscere i prodotti o servizi offerti sul mercato dagli altri operatori del settore, orientandone le scelte, per il luogo (pubblico, aperto o esposto al pubblico) ove esso è situato, per le sue caratteristiche strutturali, o per le modalità di utilizzo, in quanto oggettivamente idoneo a far conoscere ad un numero indeterminato di possibili acquirenti o utenti il nome, l’attività o il prodotto dell’impresa (tra le altre, Cass. n. 11530/2018, n. 8658/2015, e n. 9580/1994, n. 8220/1993, n. 1930/1990, con riferimento al D.P.R. n. 639 del 1972, art. 6).

Ciò premesso, va rilevato che, sia pure sub specie del vizio di violazione di legge, parte ricorrente tende a sollecitare da parte di questa Corte una rivisitazione dell’accertamento in fatto compiuto dal giudice di merito che è precluso in sede di legittimità. Costituisce invero tipica valutazione del giudice di merito quella afferente il presupposto normativo dell’imposizione da individuarsi nella astratta possibilità del messaggio, in rapporto alla ubicazione del mezzo, di avere un numero indeterminato di destinatari, che diventano tali solo perchè vengono a trovarsi in quel luogo determinato (Cass. n. 6714/2017, n. 27497/2014, n. 21161/2009, n. 22572/2008, n. 1930/1990).

Nel caso di specie, il giudice di secondo grado ha espresso una valutazione in fatto, circa l’efficacia e l’idoneità pubblicitaria dei mezzi applicati in sequenza sulle vetrate del parcheggio di pertinenza della società ricorrente, affermando essere “..del tutto evidente che le decalcomanie per cui è causa, sono idonee a far conoscere ad un numero indeterminato di possibili acquirenti o utenti l’attività o il prodotto della G.P.I. s.p.a.”.

Il terzo motivo di ricorso è infondato.

Ed invero la circostanza che il luogo su cui insisteva la vetrata dell’edificio fosse aperto al pubblico, contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente, risulta essere stata introdotta nel giudizio di primo grado dalla parte resistente (vedi comparsa di costituzione per ICA s.r.l. nel giudizio di primo grado – all. 8 al ricorso per cassazione) e come tale non collide con il divieto di introdurre in secondo grado circostanze nuove ed estranee a quelle originariamente invocate.

In conclusione il ricorso va rigettato.

La regolamentazione delle spese di lite, disciplinata come da dispositivo, segue la soccombenza.

Ricorrono le condizioni per l’applicazione al ricorrente del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1 quater.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in Euro 1500,00 oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 agosto 2019

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