Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20942 del 06/08/2019

Cassazione civile sez. trib., 06/08/2019, (ud. 29/04/2019, dep. 06/08/2019), n.20942

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. PERINU Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 8222/2013 R.G. proposto da:

C.B., rappresentato e difeso dall’Avv. Fabio Pace, presso

cui è elettivamente domiciliato in Milano al corso di Porta Romana

n. 89/B;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore p. t., rappresentata

e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso cui è

domiciliata, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 125/24/12 della Commissione Tributaria

Regionale della Lombardia, depositata in data 8/8/2012 e non

notificata.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 29/4/2019 dal

Consigliere Andreina Giudicepietro;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Umberto De Augustinis, che ha chiesto dichiararsi

l’inammissibilità ed, in subordine, rigettarsi il ricorso;

udito l’Avvocato Fabio Pace per il ricorrente e l’Avvocato dello

Stato Alfonso Peluso per l’Agenzia delle Entrate.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. C.B. ricorre, con sette motivi, avverso l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n. 125/24/12 della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, depositata in data 8/8/2012 e non notificata, che ha accolto l’appello dell’Ufficio, in controversia relativa all’impugnativa dell’avviso di accertamento basato sugli studi di settore per l’anno di imposta 2004, con cui l’Amministrazione accertava un ricavo puntuale di riferimento di Euro 83.189,00 e maggiori ricavi per Euro 55.935,00, rispetto a ricavi dichiarati per Euro 27.254,00 (inferiori ai costi di produzione dichiarati per Euro 29.637,00).

2. Con la sentenza impugnata, la C.T.R. della Lombardia (di seguito C.T.R.), per quanto di interesse in questa sede, ha ritenuto che l’accertamento fosse adeguatamente motivato e trovasse riscontro nella complessiva antieconomicità della gestione imprenditoriale, mentre le contestazioni del contribuente risultavano del tutto generiche.

3. A seguito del ricorso, l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

4. Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, il ricorrente denunzia l’omessa o insufficiente motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sul punto controverso e decisivo per il giudizio, consistente nell’insufficienza delle risultanze dello studio di settore a fondare l’accertamento presuntivo, in assenza di ulteriori elementi probatori del maggior reddito accertato, e nell’inidoneità, a tal fine, delle generiche affermazioni sull’antieconomicità dell’attività imprenditoriale gestita dal contribuente.

Con il secondo motivo, il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, artt. 2697 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, laddove la sentenza impugnata ritiene sufficiente a fondare la sussistenza del maggior reddito le risultanze dello studio di settore.

1.2. I motivi sono connessi e vanno esaminati congiuntamente; il primo motivo è inammissibile ed il secondo è infondato.

1.3. Invero, con il primo motivo, il ricorrente deduce il difetto di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5, nella formulazione anteriore alle modifiche di cui al D.L. n. 83 del 2012, conv. dalla L. n. 134 del 2012), della sentenza impugnata, ma in realtà contesta l’interpretazione delle norme di riferimento, sostenendo che il giudice di appello, erroneamente, non avesse tenuto conto dell’insufficienza delle risultanze dello studio di settore a sorreggere l’accertamento.

Il secondo motivo ha invece riguardo alla violazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), delle norme di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, artt. 2697 e 2729 c.c., laddove la sentenza impugnata ha ritenuto legittimo l’accertamento basato sulle sole risultanze dello studio di settore, in assenza di ulteriori riscontri.

Come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, “la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito” (Cass. S.U. sent. n. 26635/2009).

Nel caso di specie è pacifico che vi sia stato regolare contraddittorio endoprocedimentale, per cui il contribuente aveva l’onere di contestare specificamente le risultanze dello studio di settore, ai fini di escluderne l’applicabilità alla fattispecie concreta.

Come già rilevato dal giudice di appello, invece, il ricorrente si è limitato a contestazioni generiche sulla scarsa attendibilità del metodo accertativo e sulla regolare tenuta delle scritture contabili.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, “in tema di accertamento tributario standardizzato, la regolarità formale delle scritture contabili non può, di per sè, costituire elemento idoneo ad inficiare le presunzioni di cui agli studi di settore, i quali possono essere utilizzati dall’ufficio anche in contrasto con esse, finchè non ne sia dimostrata l’infondatezza mediante idonea prova contraria, il cui onere è a carico del contribuente” (Cass. n. 9459/2017; vedi anche Cass. S.U. n. 26635/2009 citata; Cass. n. 3302/2014).

Infine, nella fattispecie in esame è evidente la sussistenza delle gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli accertati, poichè l’Amministrazione ha accertato un ricavo puntuale di riferimento di Euro 83.189,00 e maggiori ricavi per Euro 55.935,00, su ricavi dichiarati per Euro 27.254,00 (inferiori ai costi di produzione dichiarati per Euro 29.637,00).

2.1. Con il terzo motivo, il ricorrente denunzia la violazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, delle norme di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, art. 2697 e 2729 c.c..

Il ricorrente deduce l’erroneità della sentenza impugnata, che non avrebbe rilevato l’illegittimità dell’avviso di accertamento, privo di adeguata motivazione sulle specifiche circostanze dedotte dal contribuente in sede di contraddittorio endoprocedimentale.

Il quarto motivo, invece, denuncia lo stesso vizio di violazione di legge, in relazione all’affermazione dei giudici di appello secondo la quale il contribuente era stato edotto dei motivi dell’accertamento, in quanto aveva potuto esaminare le motivazioni che avevano condotto al provvedimento impugnato, in seguito al mancato perfezionamento dell’accertamento con adesione.

2.2. I motivi, esaminati congiuntamente perchè connessi, sono inammissibili, perchè non riportano la motivazione dell’avviso di accertamento, di cui contestano l’adeguatezza, nè le specifiche circostanze dedotte dal contribuente in fase di contraddittorio, sulle quali l’atto impositivo avrebbe omesso di motivare.

Sul punto, il giudice di appello ha rilevato che l’Amministrazione aveva rettificato il primo accertamento in favore del contribuente, a seguito della riduzione del valore strumentale dei beni impiegati nella specifica attività (posa in opera di infissi e serramenti e non produzione degli stessi), e che il contribuente non aveva dedotto circostanze specifiche e documentate per contrastare i risultati dell’accertamento (le contestazioni erano state generiche e relative all’incidenza della concorrenza ed all’andamento generale del mercato).

3.1. Con il quinto motivo, il ricorrente denunzia l’omessa ed insufficiente motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, su di un punto controverso e decisivo per il giudizio, consistente ò nell’utilizzo, ai fini dell’accertamento, del ricavo puntuale e non nel ricavo minimo.

Secondo il ricorrente, la C.T.R. non si sarebbe pronunciata sull’eccezione di illegittimità dell’avviso di accertamento (eccezione sollevata con il ricorso introduttivo e ribadita in appello), dovuta all’utilizzo del ricavo puntuale nella determinazione del reddito e non del ricavo minimo.

3.2. Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

3.3. Invero, da un lato l’eccezione non indica gli specifici elementi, in base ai quali l’Amministrazione avrebbe dovuto fare riferimento al ricavo minimo, dall’altro non coglie un profilo di illegittimità dell’accertamento, che ben poteva fondarsi sul ricavo puntuale, che è il ricavo presunto derivante dallo studio di settore.

Come già rilevato, quel che dà sostanza all’accertamento mediante l’applicazione dei parametri, è il contraddittorio con il contribuente, dal quale possono emergere elementi idonei a commisurare alla concreta realtà economica dell’impresa la “presunzione” indotta dal rilevato scostamento del reddito dichiarato dai parametri e, conseguentemente, la giustificabilità di un onere della prova contraria a carico del contribuente (Cass. Sez. Un. 26635/2009 citata).

Il giudice di appello, senza violare i criteri di riparto dell’onere della prova tra Agenzia e contribuente, sulla base di un apprezzamento di fatto, non sindacabile nel giudizio di legittimità, ha reputato che il ricorrente, nel corso della controversia, non avesse offerto altri elementi (oltre a quelli già allegati in fase amministrativa e valutati dall’Amministrazione in suo favore), idonei a supportare la propria linea difensiva.

4.1. Con il sesto motivo, il ricorrente denuncia la violazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, delle norme di cui agli D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), art. 53 Cost., artt. 115 e 167 c.p.c., perchè la C.T.R., nonostante il contribuente lo avesse eccepito in primo grado e ribadito in appello, non ha rilevato la mancata adozione dello studio di settore più evoluto (più favorevole al contribuente), applicabile retroattivamente.

Con il settimo motivo, il ricorrente denunzia l’omessa ed insufficiente motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, su di un punto controverso e decisivo per il giudizio, consistente nella mancata adozione dello studio di settore più evoluto (più favorevole al contribuente), applicabile retroattivamente.

4.2. I motivi sono fondati e vanno accolti.

4.3. “L’accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri e degli studi di settore costituisce un sistema unitario, frutto di un progressivo affinamento degli strumenti di rilevazione della normale redditività per categorie omogenee di contribuenti, per cui si giustifica l’applicazione retroattiva dello strumento più recente, che prevale rispetto a quello precedente, in quanto più raffinato e più affidabile. Ne consegue l’illegittimità dell’atto di rettifica, ai fini IRPEF ed IVA, adottato sulla base dei maggiori ricavi presunti in forza dei parametri di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, e della L. n. 549 del 1995, art. 3, commi 181 e 184, vigenti all’epoca dell’accertamento, nonostante la congruità dei ricavi dichiarati dal contribuente rispetto agli studi di settore, previsti dal D.L. n. 331 del 1993, artt. 62 bis e 62 sexies, conv. in L. n. 427 del 1993, successivamente introdotti” (Cass. n. 23554/2015).

Nel caso di specie, il ricorrente afferma di aver avanzato l’eccezione con il ricorso introduttivo (vedi pag. 4 del ricorso) e poi di averla reiterata con le controdeduzioni in appello (vedi pag. 49 del ricorso), riportando le ammissioni dell’Ufficio in fase di appello sulla sussistenza del modello più evoluto, più favorevole al contribuente.

Sul punto, la difesa erariale nulla obietta, se non che il giudice di appello avrebbe valutato congruo lo studio di settore applicato, con una valutazione di merito insindacabile in cassazione.

Ora va richiamato l’indirizzo espresso da questa Corte, cui si intende dare continuità in difetto di argomentazioni idonee al suo superamento, secondo il quale la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri e degli studi di settore costituisce un sistema unitario, frutto di un processo di evoluzione, con la conseguente applicazione retroattiva dello strumento più recente rispetto a quello precedente, in quanto più affinato e, pertanto, più affidabile (così Cass. s.u. 26635/2009, e poi Cass. 1843/2014 e Cass. 22949/2014).

In tal senso, il risultato più favorevole al contribuente, emergente dall’applicazione dello studio di settore più evoluto, stante la natura procedimentale di quest’ultimo, non può essere escluso ove applicato ad un anno anteriore come precisato da Cass. 8311/2013, a fronte di situazioni ordinarie, non essendo emerse situazioni contingenti, cioè correlate solo a determinate annualità d’imposta o eccezionali, cioè ad esempio di tipo economico.

Per quanto fin qui detto, la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi sesto e settimo di ricorso, con conseguente rinvio alla C.T.R della Lombardia, in diversa composizione, che provvederà anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il sesto ed il settimo motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla C.T.R della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 29 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 agosto 2019

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