Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20942 del 01/10/2020

Cassazione civile sez. II, 01/10/2020, (ud. 23/07/2020, dep. 01/10/2020), n.20942

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – rel. Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21128-2019 proposto da:

A.R., rappresentato e difeso dall’avvocato ELENA TORDELA;

– ricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO,in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, depositato il 24/06/2019,

n. cronol. 5268/2019 relativo al procedimento R.G. n. 11056/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/07/2020 dal Presidente e Relatore FELICE MANNA.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

A.R., cittadino del Ghana, nato nel 1998, proponeva ricorso innanzi al Tribunale di Napoli avverso la decisione della Commissione territoriale di Caserta, che aveva respinto la sua richiesta di protezione internazionale o umanitaria. A sostegno della domanda deduceva di essersi dovuto allontanare dal Ghana a causa del conflitto tra le etnie Alavanyio e Nkonya e di aver subito più volte delle aggressioni.

Con decreto del 24.6.2019, comunicato in pari data, Il Tribunale rigettava la domanda, ritenendo che le dichiarazioni del richiedente fossero eccessivamente generiche, poco attendibili e contraddittorie in ordine all’etnia di appartenenza; che il Ghana fosse Paese le cui problematiche sotto il profilo delle libertà civili e dei diritti umani non riguardavano il richiedente, non rientrando egli in nessuna delle categorie deboli e non essendo emersi ulteriori profili di vulnerabilità; e che, pertanto, non era accordabile in suo favore neppure la protezione umanitaria.

Avverso detto decreto il richiedente propone ricorso per cassazione notificato a mezzo PEC il 15.7.2019.

Il Ministero dell’Interno ha depositato un “atto di costituzione” in vista dell’eventuale discussione orale del ricorso.

Il quale è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Col primo motivo parte ricorrente eccepisce l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, come inserito dal D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 6, comma 1, lett. g), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 46 del 2017, per violazione degli artt. 3,24 e 111 Cost., nella parte in cui limita a trenta giorni a decorrere dalla comunicazione il ricorso per cassazione avverso il decreto emesso dal Tribunale. E a sostegno della “rilevanza” della questione, sostiene la tempestività del ricorso in quanto notificato comunque nel rispetto del termine di cui alla norma denunciata (v. pag. 3).

1.1. – La questione è manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza. Il ricorso, infatti, è stato notificato (il 15.7.2019) entro il termine di trenta giorni dalla comunicazione del decreto (avvenuta il 24.6.2019), per cui un’ipotetica declaratoria d’illegittimità non varrebbe a rendere ammissibile il ricorso che lo è già.

2. – Anche col secondo motivo è eccepita l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, come inserito dal D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 6, comma 1, lett. g), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 46 del 2017, per violazione degli artt. 3,24 e 111 Cost., nella parte in cui stabilisce che la procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione deve essere conferita, a pena d’inammissibilità, in data successiva a quella di comunicazione del ricorso. Ed anche in questo caso parte ricorrente adduce a dimostrazione della “rilevanza” della questione, il fatto che la procura è stata rilasciata il 1.7.2019, e dunque successivamente alla comunicazione del provvedimento impugnato.

2.1. – Anche tale questione è manifestamente inammissibile per la medesima ragione di cui al par. 1.1., da intendersi qui riprodotta, attesa la validità della procura (e con essa l’ammissibilità del ricorso) proprio in base alla norma denunciata come illegittima.

3. – Il terzo motivo allega, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, T.U. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19, comma 1, n. 1, e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14. Parte ricorrente deduce la violazione della lett. c) di quest’ultima norma, attesa l’esistenza in Ghana di una situazione di violenza indiscriminata, di povertà diffusa e di violazione dei diritti dell’uomo, e ne lamenta il mancato accertamento da parte del Tribunale. Sostiene, inoltre, che nel negare la protezione umanitaria il decreto impugnato avrebbe valutato erroneamente quanto stabilito da Cass. n. 4455/18, non considerando l’effettiva integrazione del richiedente nel tessuto sociale italiano.

3.1. – Il motivo è infondato in ciascuna delle censure che espone.

3.1.1 – La giurisprudenza di questa Corte Suprema (cfr. nn. 18306/19, 8908/19, 284/19, 13858/18, 32064/18) è costante nell’affermare che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), deve essere interpretato in conformità alla fonte Eurounitaria di cui è attuazione (art. 9 e art. 15, lett. c, delle direttive 2004/83/CE e 2011/95/UE) e in coerenza con le indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte di giustizia, la quale ha precisato che “l’esistenza di un conflitto armato interno potrà portare alla concessione della protezione sussidiaria solamente nella misura in cui si ritenga eccezionalmente che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 15, lett. c), della direttiva, a motivo del fatto che il grado di violenza indiscriminata che li caratterizza raggiunge un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia” (Corte di giustizia, 17 febbraio 2009, Elgafaji, C-465/07).

Ciò posto, le COI (acronimo di Country of Origin Information) citate dal ricorrente descrivono situazioni di rischio della zona del Sahel e nelle regioni limitrofe del Ghana settentrionale, connotate da pericolo di attentati e da “sporadici conflitti cruenti legati alle ataviche questioni tribali”, scontri interetnici e aumentata criminalità comune. Situazioni, queste, che descrivendo rischi sostanzialmente isolati ed occasionali, non corrispondono alla nozione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) come sopra ricostruita dalla giurisprudenza Eurounitaria e di questa Corte.

3.1.2. – Quanto alla protezione umanitaria, va osservato che proprio la giurisprudenza di questa Corte citata nel motivo (n. 4455/18) dimostra l’insufficienza del solo parametro dell’inserimento sociale e lavorativo del richiedente. Detta sentenza precisa, infatti, in motivazione che “il parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia può essere valorizzato come presupposto della protezione umanitaria non come fattore esclusivo, bensì come circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale che merita di essere tutelata attraverso il riconoscimento di un titolo di soggiorno che protegga il soggetto dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale, quale quello eventualmente presente nel Paese d’origine, idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili. Con riferimento al caso di specie, il parametro di riferimento non può che cogliersi, oltre che nell’art. 2 Cost., nel diritto alla vita privata e familiare, protetto dall’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, così come declinato dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, senz’altro da includersi nel catalogo (aperto) dei diritti della persona da prendere in esame in sede di riconoscimento della protezione umanitaria”.

4. – Col quarto motivo è dedotta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3 e 14, D.L. n. 25 del 2008, art. 2 e art. 3, comma 8, art. 10 Cost., 8 direttiva UE 2004/83, 8 direttiva UE 2001/95 e 3CEDU, perchè il Tribunale, in ordine alla prova del fumus persecutionis, ha formato il proprio convincimento sulla base della sola non credibilità soggettiva del richiedente, senza considerare che il Ghana è interessato da un conflitto armato che genera violenza indiscriminata, come dimostrerebbero i rapporti di Amnesty International e di Refworld del 2017.

4.1. – Il motivo è inammissibile per l’intrinseca commistione in esso di profili diversi, tra loro incompatibili e per di più erroneamente prospettati.

Il fumus persecutionis concerne il riconoscimento dello status di rifugiato, l’esame della cui domanda deve essere effettuato su base individuale (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3). Pertanto, il fondato timore di essere perseguitato (art. 8, comma 2, D.Lgs. cit.) possiede per sua stessa definizione un elevato grado di personalizzazione del rischio, che la situazione generale del Paese di provenienza può confermare, ma non per questo surrogare.

A sua volta, l’intrinseca inattendibilità delle dichiarazioni del richiedente, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 attiene al giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità, ed osta al compimento di approfondimenti istruttori officiosi, cui il giudice di merito sarebbe tenuto in forza del dovere di cooperazione istruttoria, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori; ne consegue che, in caso di racconto inattendibile e contraddittorio e per di più variato nel tempo, non è nulla la sentenza di merito che – come del resto affermato da Corte di Giustizia U.E., 26 luglio 2017, in causa C-348/16, Moussa Sacko, e da Corte EDU, 12 novembre 2002, Dory c. Svezia – rigetti la domanda senza che il giudice abbia proceduto a nuova audizione del richiedente per colmare le lacune della narrazione e chiarire la sua posizione (v. nn. 33858/19 e 16925/18).

Nè vi è connessione alcuna tra credibilità del richiedente e pretesa situazione di violenza indiscriminata esistente nel Paese di provenienza, poichè dalla prima dipende il rifugio e la protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) mentre dalla seconda deriva la protezione di cui alla lett. c) stessa norma, già esclusa nella specie in base a quanto osservato al paragrafo 3.1.1. che precede.

5. – In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile, ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, come (re)interpretato da S.U. n. 7155/17.

6. – Nulla per le spese, non avendo il Ministero dell’Interno svolto un’attività difensiva riconducibile all’art. 370 c.p.c..

7. – Ricorrono i presupposti processuali per il raddoppio, a carico del ricorrente, del contributo unificato, se dovuto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Sussistono a carico del ricorrente i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 23 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2020

 

 

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