Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20938 del 01/10/2020

Cassazione civile sez. II, 01/10/2020, (ud. 21/07/2020, dep. 01/10/2020), n.20938

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – est. Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22410-2019 proposto da:

H.S., rappresentato e difeso dall’avvocato FEDERICO

SCALVI, giusta procura in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso il decreto di rigetto n. 3358/2019 del TRIBUNALE di BRESCIA,

depositato il 22/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/07/2020 dal Presidente FELICE MANNA.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

H.S., cittadino pakistano, nato nel 1999, proponeva ricorso innanzi al Tribunale di Brescia avverso la decisione della locale Commissione territoriale, che aveva respinto la sua richiesta di protezione internazionale o umanitaria. A sostegno della domanda deduceva di essersi dovuto allontanare dal suo Paese a causa delle minacce di morte che egli e la sua famiglia avevano ricevuto da vicini di casa, cui il padre non aveva voluto vendere dei terreni, minacce che erano trasmodate nell’uccisione di un suo zio.

Il Tribunale rigettava la domanda, ritenendo non plausibile il racconto del richiedente.

In particolare, e per quanto ancora rileva in questa sede di legittimità, relativamente alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. e) il Tribunale bresciano osservava (citando report di fonti qualificate, tra cui l’EASO) che la regione di provenienza del richiedente (zona nord del Punjab), seppure teatro di sanguinosi attentati, non poteva ritenersi soggetta ad una violenza generalizzata. Respingeva, infine, anche la domanda di protezione umanitaria. non ravvisandosi situazioni di vulnerabilità soggettiva, posto che il richiedente era di giovane età, non presentava problemi di salute, aveva ancora parenti e possibilità di sostegno in Pakistan, e la sola attività lavorativa svolta in Italia nei mesi compresi tra la presentazione della domanda e il suo rigetto, non costituiva di per sè sola elemento sufficiente.

Avverso detto decreto il richiedente propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno ha depositato un “atto di costituzione”, in vista dell’eventuale discussione orale del ricorso.

Il quale è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Il primo motivo deduce la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) e h) e art. 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. g) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Sostiene parte ricorrente che l’allontanamento del richiedente dal Pakistan era stato dettato dal “serio, grave ed attuale pericolo di essere vittima della violenza indiscriminata ed assurda della famiglia della ragazza che lo aveva indicato come padre del nascituro”; e che “(l)a questione, in realtà, verte sia sull’altissimo tasso di criminalità che prospera in Pakistan, sia sul problema irrisolto del terrorismo”.

1.1. – Il motivo è inammissibile.

In disparte il riferimento (frutto, evidentemente, di un refuso nel trasferire parti di altri ricorsi curati dal difensore) a fatti del tutto nuovi e per nulla correlabili alla vicenda personale dedotta (nè la narrativa del ricorso nè il decreto impugnato accennano ad uno stato di gravidanza quale causa remota di minacce ed espatrio); ciò a parte, la censura mostra di far commistione di distinti profili di protezione sussidiaria, dal danno grave individualizzato alla violenza indiscriminata (che protezione individualizzata, invece, non è), per poi collegarli, in maniera unitaria ed indifferenziata, alla generale situazione di criticità del Pakistan. Ma ciò si traduce in una sostanziale elusione del dettato normativo, poichè mentre il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 definisce ed enumera, con elencazione tassativa, i casi di danno grave che legittimano la protezione sussidiaria, l’assunto di parte ricorrente mira a sostituire ad essi la generica situazione di disordine del Paese d’origine.

Quest’ultima, a sua volta, non va confusa con la violenza indiscriminata per effetto di conflitto armato interno o internazionale – di cui all’art. 14 cit., lett. c) – che, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), ricorre solo se gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, abbiano raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire una minaccia grave e individuale alla vita (cfr. nn. 18306/19, 9090/19 e 13858/18).

2. – Il secondo mezzo espone la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 per non avere il Tribunale, preso atto della documentazione prodotta e delle dettagliate e lineari dichiarazioni della richiedente, esercitato il potere di cooperazione istruttoria d’ufficio sulla situazione del Paese di provenienza.

2.1. – Il motivo è infondato.

In tema di riconoscimento della protezione internazionale, l’intrinseca inattendibilità delle dichiarazioni del richiedente, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 attiene al giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità, ed osta al compimento di approfondimenti istruttori officiosi, cui il giudice di merito sarebbe tenuto in forza del dovere di cooperazione istruttoria, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori; ne consegue che, in caso di racconto inattendibile e contraddittorio e per di più variato nel tempo, non è nulla la sentenza di merito che – come del resto affermato da Corte di Giustizia U.E., 26 luglio 2017, in causa C-348/16, Moussa Sacko, e da Corte EDU, 12 novembre 2002, Dory c. Svezia – rigetti la domanda senza che il giudice abbia proceduto a nuova audizione del richiedente per colmare le lacune della narrazione e chiarire la sua posizione (v. n. 33858/19 e 16925/18).

Di riflesso e nella specie, il Tribunale non era tenuto a riscontrare, tramite l’acquisizione delle COI (acronimo di Country of Origin Inffirmation), l’esistenza delle condizioni della protezione internazionale – sub specie di rifugio e di sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. a) e b) – avendo escluso, con motivazione non suscettiva di sindacato in questa sede di legittimità, che il richiedente fosse credibile.

3. – Col terzo motivo parte ricorrente allega la violazione o falsa applicazione del D.L. n. 113 del 2018, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Si sostiene, con riguardo alla domanda di protezione speciale, che contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, in caso di rientro in patria il richiedente non potrebbe contare sull’aiuto e sulla protezione dei suoi cari, considerato che proprio questi ultimi, preso atto dell’impossibilità di aiutarlo, gli consigliarono di fuggire in Italia. Quanto, invece, al suo inserimento sociale, il richiedente – prosegue il motivo – dal 2017 ha un lavoro stabile ed è adesso alla ricerca di un piccolo appartamento ove fissare la propria residenza.

3.1. – Il motivo è infondato.

Individuata la norma applicabile ratione temporis nel T.U. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nel testo previgente alle modifiche apportatevi dal D.L. n. 113 del 2018 (la domanda di protezione è stata presentata in epoca anteriore all’emanazione di detto D.L., sull’irretroattività del quale cfr. S.U. n. 29459/19), va osservato che ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria rileva la personale situazione di vulnerabilità del richiedente, nella specie neppure allegata. Inoltre, il solo esercizio di attività lavorativa non implica, come pure la ricerca di un alloggio, radicamento nel Paese d’accoglienza, e dunque non consente il giudizio di comparazione con la situazione in cui il richiedente verrebbe a trovarsi in caso di rimpatrio.

4. – In conclusione, il ricorso va respinto.

5. – Nulla per le spese, non avendo il Ministero intimato svolto un’attività difensiva riconducibile all’art. 370 c.p.c..

6. – Ricorrono i presupposti processuali per il raddoppio, a carico del ricorrente, del contributo unificato, se dovuto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Sussistono a carico del ricorrente i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 21 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2020

 

 

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