Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20937 del 21/07/2021

Cassazione civile sez. III, 21/07/2021, (ud. 01/12/2020, dep. 21/07/2021), n.20937

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11390-2019 proposto da:,

M.M., rappresentato e difeso dall’avvocato DAVIDE TIROZZI;

– ricorrente –

Nonché contro

(OMISSIS), (OMISSIS) S.P.A.

– intimati –

Nonché da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO CESARE

21/23, presso lo studio dell’avvocato CARLO BOURSIER NIUTTA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIANPIERO M.

BELLIGOLI;

– ricorrenti incidentali –

nonché contro

M.M., (OMISSIS) SPA;

– intimato e controricorrente –

avverso la sentenza n. 2724/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 03/10/2018.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con atto di citazione del 6 maggio 2009, M. e M.C. evocavano in giudizio, davanti al Tribunale di Verona l'(OMISSIS) chiedendo il risarcimento dei danni subiti in conseguenza della morte del padre, B., verificatasi il (OMISSIS), durante la degenza presso la clinica gestita dall’ente convenuto. Deducevano che il decesso era da imputarsi alle fratture che si era procurato mentre si trovava all’interno della struttura. Nonostante il ricovero e la degenza in ospedale, le complicanze avrebbero determinato la morte del congiunto, una volta rientrato presso la struttura.

L’evento, pertanto, era da imputarsi alla condotta del personale addetto alla cura e alla vigilanza dei degenti, anche perché a carico della vittima era stata riscontrata una forte condizione di disidratazione. Chiedevano il risarcimento del danno biologico e di quello morale, subito da M.B. e quello da perdita del rapporto parentale e morale, iure proprio;

si costituiva l’istituto chiedendo il rigetto della domanda, contestando la fondatezza della pretesa e l’ammontare del danno richiesto, proponendo azione di manleva nei confronti dell’assicuratore (OMISSIS) S.p.A.;

il Tribunale di Verona, con sentenza del 19 dicembre 2014 rigettava le domande disponendo la compensazione integrale delle spese di lite;

avverso tale decisione proponeva appello M.M. chiedendo l’accoglimento delle originarie domande. Si costituivano in giudizio l'(OMISSIS) e la compagnia di assicurazioni (OMISSIS) (successivamente (OMISSIS) S.p.A.) insistendo per il rigetto dell’appello.

L’istituto proponeva appello incidentale condizionato chiedendo, nell’ipotesi di accoglimento, di dichiarare tenuta la compagnia a tenere indenne l’istituto ai sensi della polizza assicurativa;

la Corte d’Appello di Venezia, con sentenza del 3 ottobre 2018, rigettava l’appello condannando l’appellante al pagamento delle spese di lite nei confronti degli appellati;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione M.M. affidandosi a quattro motivi che illustra con memoria. Resistono, con separati controricorsi, l'(OMISSIS) e la compagnia (OMISSIS) S.p.A, che depositano memorie.

Diritto

CONSIDERATO

che:

preliminarmente il ricorso è proposto in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 3 con riferimento, in particolare, a quanto intervenuto nel primo grado di giudizio. Nell’esposizione sommaria dei fatti il ricorrente si occupa sostanzialmente del giudizio di appello. Non è chiarito se le vicende relative alla degenza sono state esposte nell’atto di citazione o soltanto in appello. E’ omesso il riferimento alle parti costituite nel giudizio di primo grado, la posizione processuale assunta dalle stesse, il contenuto della sentenza di primo grado, di cui viene indicato solo il numero e non è riportato compiutamente l’esito e la motivazione;

a prescindere da ciò, con il primo motivo si deduce, ai sensi art. 360 c.p.c., n. 3 la violazione di artt. 1218 e 1228 c.c. e la errata applicazione dell’art. 2697 c.c., per inversione dell’onere della prova. Secondo il consolidato orientamento di legittimità il rapporto tra casa di cura e paziente ha natura contrattuale ricorrendo l’ipotesi di contratto atipico di assistenza sanitaria a prestazioni corrispettiva con effetti protettivi nei confronti del terzo. Pertanto, non spetterebbe all’attore dimostrare l’esistenza di un danno connesso causalmente all’inadempimento della convenuta, ma la casa di cura avrebbe dovuto provare di avere assolto i propri obblighi di protezione. Circostanza che, nello specifico non si sarebbe verificata;

il motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6 perché parte ricorrente avrebbe dovuto allegare e trascrivere la parte dell’atto di citazione rilevante ed evidenziare di avere sottoposto al giudice di appello uno specifico motivo di censura riguardo alla circostanza di avere proposto un’azione contrattuale. Ma tale dato è del tutto omesso e non è rinvenibile neppure nel sommario svolgimento dei fatti che, al contrario, risulta del tutto lacunoso con riferimento al giudizio di primo grado;

in ogni caso, il motivo è infondato, atteso che, sia in tema di responsabilità, sia contrattuale, che extracontrattuale, sussiste un duplice nesso di causalità, materiale (tra condotta ed evento dannoso) e giuridica (tra evento dannoso e danno). In entrambe le ipotesi di responsabilità il danneggiato deve provare il nesso di causalità materiale tra condotta ed evento dannoso (Cass. n. 28991 e 28992 del 2019, entrambe pubblicate l’11-11-2019);

e’ onere, quindi, del creditore (nel caso di specie, il paziente danneggiato) provare, anche attraverso presunzioni, la sussistenza del nesso causale tra inadempimento (condotta del sanitario in violazione delle regole di diligenza) ed evento dannoso (aggravamento della situazione patologica o insorgenza di nuova malattia, cioè lesione della salute);

e’ quindi onere del detto creditore provare il nesso di causalità materiale, in quanto detto nesso (ove venga allegato l’evento dannoso in termini di aggravamento della patologia preesistente o di insorgenza della nuova malattia) è elemento costitutivo della fattispecie dedotta in giudizio;

il creditore, cioè, deve allegare l’inadempimento e deve provare sia l’evento dannoso (e le conseguenze che ne sono derivate; c.d. causalità giuridica), sia il nesso causale tra condotta del sanitario nella sua materialità (e cioè a prescindere dalla negligenza) ed evento dannoso;

una volta che il creditore (paziente) abbia soddisfatto detti oneri, è successivo onere del debitore (sanitario o struttura) provare o di avere esattamente adempiuto o che l’inadempimento sia dipeso da causa a lui non imputabile, e cioè o di avere svolto l’attività professionale con la diligenza richiesta (tenendo presente che, ai sensi dell’art. 2236 c.c. “se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni se non in caso di dolo o colpa grave”), oppure che sia intervenuta una causa esterna, imprevedibile o inevitabile che abbia reso impossibile il rispetto delle leges artis);

con il secondo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 l’errata valutazione della consulenza d’ufficio, nonché la violazione l’art. 115 c.p.c. La Corte territoriale avrebbe travisato e mancato di esaminare alcuni passaggi decisivi dell’elaborato peritale, minimizzando le conclusioni cui è pervenuto l’ausiliario del giudice che avrebbe evidenziato, al contrario, che il ricovero dell'(OMISSIS) trovava la sua causa principale nel severo stato di disidratazione “di cui la lipotimia, correlabile allo stato ipotensivo, è stata una manifestazione”;

con il terzo motivo si deduce l’omesso esame di ulteriori fatti decisivi ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, costituiti dalla presenza di un ematoma parzialmente organizzato e dal contenuto delle testimonianze rese dagli operatori dell’ambulanza. L’ematoma sarebbe stato riscontrato al momento del ricovero in ospedale e descritto dal medico ortopedico presso il nosocomio di (OMISSIS) e del tutto ignorato nella sentenza di appello. Nello stesso modo non sarebbero state prese in considerazione le testimonianze rese dagli operatori dell’ambulanza;

i motivi possono essere trattati congiuntamente perché entrambi ruotano sulla omessa considerazione di elementi istruttori e sono inammissibili per quanto segue:

1. in primo luogo, a prescindere dal riferimento anche all’ipotesi ex art. 360 c.p.c., n. 3, il profilo realmente censurato riguarda l’omessa considerazione di elementi probatori (nel terzo motivo costituiti da alcune considerazioni espresse nell’elaborato peritale, nel quarto motivo dalla presenza di un ematoma che sarebbe stato riscontrato in sede di ricovero e menzionato da alcuni testimoni). La censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 non è consentita nell’ipotesi di doppia conforme fondata, come nel caso in esame, sull’esame dei medesimi fatti e ciò per il divieto posto dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5;

2. le censure, a prescindere da ciò, sono inammissibili poiché si traducono in una richiesta di rivalutazione del materiale probatorio richiedendo alla Corte di legittimità un inammissibile terzo grado di giudizio prospettando una ricostruzione più appagante degli elementi acquisiti.

3. Sotto altro profilo, l’omesso esame di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, deve riguardare la mancata considerazione i fatti storici e non di elementi istruttori e ciò sulla base di un consolidato orientamento giurisprudenziale;

4. i motivi, soprattutto il quarto, sono dedotti in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6 avendo parte ricorrente omesso di allegare, trascrivere e individuare il documento che attesterebbe l’insorgenza dell’ematoma “parzialmente organizzato” e il contenuto delle dichiarazioni testimoniali ritenute rilevanti;

5. infine, il dato fattuale della presenza di un ematoma parzialmente organizzato costituisce una circostanza nuova, di cui la Corte territoriale non si e che non è deducibile, per la prima volta, in sede di legittimità;

con l’ultimo motivo si deduce la nullità della sentenza per motivazione incomprensibile, apparente o perplessa. Secondo il ricorrente la Corte territoriale si sarebbe limitata a ripercorrere le argomentazioni svolte dal Tribunale di Verona, senza sindacare la correttezza del ragionamento sotteso a quella pronuncia e senza considerare le censure oggetto dell’appello;

il motivo è inammissibile perché del tutto generico, limitandosi ad una formale censura sul risultato della decisione e omettendo di dedurre, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, i motivi di appello che non sarebbero stati presi in esame, mancando di trascrivere, allegare e localizzare all’interno del fascicolo di legittimità le specifiche censure che la Corte di territoriale avrebbe omesso di considerare;

con il controricorso l'(OMISSIS) di Verona richiede, nell’ipotesi di accoglimento anche parziale delle domande risarcitorie, la compensazione delle spese di lite nella misura della metà. Deduce, altresì, la violazione dell’art. 91 c.p.c. e art. 2233 c.c. in relazione al D.M. n. 55 del 2014 prospettando una liquidazione di spese in misura inferiore ai minimi tariffari e senza considerare le anticipazioni sostenute. Sotto altro profilo, per l’ipotesi di accoglimento del ricorso principale, reitera la domanda di manleva nei confronti della compagnia (OMISSIS) S.p.A;

il primo motivo del ricorso incidentale (denominato punto VI), che costituisce una censura non condizionata all’accoglimento del ricorso principale, è fondato;

la Corte territoriale ha liquidato le spese processuali in favore dell’istituto determinandole nella misura di Euro 3000, oltre rimborso forfettario e accessori di legge, senza statuire sulle spese anticipate che, la ricorrente incidentale, allega di avere sostenuto nella misura di Euro 1821;

il valore della causa era pari ad Euro 489.000 e l’applicazione dei parametri riferiti allo scaglione in oggetto, con il valore medio, consente di pervenire ad un importo notevolmente superiore a quello oggetto di liquidazione, mentre anche applicando il valore minimo, si giunge ad un compenso complessivo di Euro 6780, oltre rimborso forfettario e accessori di legge;

conseguentemente la sentenza d’appello va cassata nella parte in cui dispone la liquidazione delle spese processuali in favore dell’istituto, in misura inferiore ai minimi tariffari, senza tenere conto delle spese anticipate dalla parte, pari ad Euro 1821;

poiché non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto ex art. 384 c.p.c., trattandosi di spese processuali, questa Corte deve provvedere alla liquidazione delle spese del giudizio di appello, che possono essere liquidate in Euro 7000;

il secondo motivo del ricorso incidentale (riportato al punto VII) è stato formulato solo in via condizionata, per l’ipotesi di accoglimento del ricorso principale ed e’, pertanto, assorbito;

ne consegue che il ricorso principale deve essere dichiarato inammissibile, mentre il ricorso incidentale deve essere accolto limitatamente al primo motivo. Decidendo nel merito vanno liquidate le spese relative al giudizio di appello nella misura indicata in motivazione. Quanto a quelle relative al giudizio di legittimità, in considerazione dell’esito della lite, devono essere poste a carico della ricorrente principale e liquidate in favore di ciascuno dei due contro ricorrenti, come in dispositivo;

sussistono i presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte di tutte le parti, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315), evidenziandosi che il presupposto dell’insorgenza di tale obbligo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. Cass. 13 maggio 2014, n. 10306).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale;

accoglie il primo motivo del ricorso incidentale e dichiara assorbito il secondo motivo;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, liquida le spese di secondo grado nella misura di Euro 7000 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, Iva e Cpa ed Euro 1821, per spese vive;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore di ciascuno dei due controricorrenti, liquidandole in Euro 5.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza della Corte Suprema di Cassazione, il 1 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2021

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