Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20936 del 03/10/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 20936 Anno 2014
Presidente: BIANCHINI BRUNO
Relatore: PROTO CESARE ANTONIO

Data pubblicazione: 03/10/2014

ORDINANZA
sul ricorso 1605-2013 proposto da:
DE ROSA RENATO DRSRNT42A05C632M, MEMME
• ANTONINO MMMNNN54A17C114M, elettivamente domiciliati in
ROMA, VIA LAURA MANEGAZZA 24, presso il Dott. MARCO
GARDIN, rappresentati e difesi dall’avvocato CAMPANELLA
MARIALUISA giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrenti contro
ENTE MORALE “OPERA DELLE CHIESE CRISTIANE DEI
FRATELLI% in persona del suo Presidente e legale rappresentante,
elettivamente domici1i2to in ROMA, VIA DI PIETRALATA 320-D,
presso lo studio dell’avvocato MAZZA RICCI GIGLIOLA,

•-)

rappresentato e difeso dall’avvocato TANCREDI GIANPAOLO
giusta procura a margine del controricorso;

– con troricorrente avverso la sentenza n. 1089/2011 della CORTE D’APPELLO di

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
13/05/2014 dal Consigliere Relatore Dott. CESARE ANTONIO
PROTO;
udito l’Avvocato Campanella Marialuisa difensore dei ricorrenti che si
riporta agli scritti.

***
Il relatore nominato per l’esame del ricorso ha depositato la relazione
ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. nella quale ha esposto le ragioni di
manifesta infondatezza del ricorso e ha concluso per il suo rigetto e
per l’inammissibilità della domanda della controricorrente di condanna
dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento di appello.
Il ricorso è stato fissato per l’esame in camera di consiglio e sono state
effettuate le comunicazioni alle parti costituite.
Nella relazione il relatore ha rilevato quanto segue.

“Osserva in fatto e in diritto
1. Con citazione del 12/7/2001 l’Opera delle Chiese Cristiane dei
Fratelli conveniva in giudizio Renato De Rosa e Antonino Memme per
ottenerne la condanna al rilascio di un immobile di proprietà dell’Ente
e dai convenuti detenuto senza titolo.
Con sentenza del 3/1/2008 la domanda attorea era accolta e i
convenuti erano condannati a rilasciare l’immobile occupato senza
titolo.

Ric. 2013 n. 01605 sez. M2 – ud. 13-05-2014
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L’AQUILA del 22/06/2011, depositata il 16/11/2011;

I convenuti soccombenti proponevano appello sostenendo che doveva
essere integrato il contraddittorio con altri soggetti appartenenti alla
Chiesa Evangelica e che il possesso della Chiesa Evangelica non era
sine fitti/o,

ma in forza di un contratto di comodato.

rigettava l’appello rilevando che il contraddittorio non doveva essere
esteso a soggetti nei cui confronti non era stata formulata alcuna
domanda, posto che la domanda di rilascio era stata proposta solo nei
confronti degli occupanti senza titolo e che comunque il titolo dedotto
a fondamento della detenzione era un comodato precario, revocabile
ad nutum

con la conseguenza che, manifestata dal comodante la

volontà di sciogliersi dal contratto, il diritto del comodatario era
venuto a cessare e l’occupante diventato occupante

sine titulo

De Rosa Renato e Memme Antonino hanno proposto ricorso affidato
a quattro motivi.
L’Opera delle Chiese Cristiane dei Fratelli ha resistito con
controricorso.
2. Con il primo motivo i ricorrenti deducono il vizio di motivazione
(ex art. 360 n. 5 c.p.c. nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore alla
riforma di cui alla legge n. 134 del 2012) e la violazione e la falsa
applicazione degli artt. 2697 e 2733 c.c.
I ricorrenti sostengono che l’attore non avrebbe provato di avere
consegnato l’immobile in base ad un titolo nè il successivo venir meno
di questo e che, al contrario, esisterebbe la prova (costituita dalle
dichiarazioni rese dal legale rappresentante dell’Ente attore che aveva
riferito di una consegna del luogo di culto alla Chiesa locale) della
consegna del luogo di culto alla Chiesa locale intesa come Comunità
religiosa, nei cui confronti andava proposta l’azione e per essa nei
confronti di tutti i suoi membri.
Ric. 2013 n. 01605 sez. M2 – ud. 13-05-2014
-3-

La Corte di Appello dell’Aquila, con sentenza del 16/11/2011

2.1 E motivo è manifestamente infondato perché legittimato passivo
dell’azione di restituzione di immobile, promossa dal proprietario è
colui che detiene l’immobile senza alcun titolo e non è contestato che i
convenuti detenessero l’immobile.
Ove non ritenute assorbenti le superiori considerazioni, ulteriormente

si deve rilevare che, con la domanda di rilascio, l’Ente attore ha inteso
rimuovere la situazione lesiva del diritto di proprietà, così che la
domanda stessa ha assunto il carattere di azione di reintegrazione in
forma specifica di natura personale in quanto fondata sul diritto di
credito conseguente alla lesione del diritto reale (Cass. 17/1/2011 n.
884 Ord.); ne discende che legittimati passivi non potevano che essere
proprio quei soggetti (gli attuali ricorrenti) che con la loro detenzione
portavano pregiudizio al diritto reale.
L’attore ha assolto l’onere probatorio dimostrando la sua proprietà per
acquisto fattone da oltre un ventennio (donazione dal 1974) alla data
della proposizione della domanda.
3. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione dell’art.
112 c.p.c. e il vizio di motivazione sostenendo che la Corte di Appello
avrebbe omesso di pronunciarsi sulla loro richiesta di improponibilità
della domanda perché la stessa non avrebbe dovuto essere proposta
contro le loro persone fisiche, ma contro la Chiesa che aveva ricevuto
e deteneva l’immobile.
3.1 E motivo è manifestamente infondato in quanto il rigetto
dell’eccezione di improponibilità della domanda è contenuto nella
motivazione del rigetto dell’eccezione di integrazione del
contraddittorio, motivato con l’affermazione che l’azione di
restituzione era stata giustamente proposta nei confronti degli
occupanti privi di titolo e non doveva essere proposta nei confronti di
diversi soggetti e nell’ulteriore affermazione secondo la quale ogni
Ric. 2013 n. 01605 sez. M2 – ud. 13-05-2014
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eventuale contratto di comodato dovrebbe intendersi cessato per
effetto del recesso ad nutum.
Per completezza di argomentazione, si osserva che non è neppure
provato che altri diversi dai convenuti detenessero l’immobile al
momento della proposizione della domanda giudiziale; il relativo onere

4. Con il terzo motivo i ricorrenti deducono nuovamente la violazione
dell’art. 112 c.p.c. e il vizio di motivazione sostenendo il travisamento
delle proprie difese da parte della Corte di Appello che ha ritenuto che
gli stessi avessero eccepito l’esistenza di un contratto di comodato con
loro stipulato, mentre avevano eccepito che il contratto di comodato
era stato stipulato con la Chiesa.
4.1 Il motivo è inammissibile per assoluta irrilevanza rispetto alla ratio
decidendi secondo la quale i convenuti e non altri erano legittimati
passivi in quanto occupanti sine titulo; l’affermazione che un titolo di
detenzione si sarebbe formato nei confronti di altro soggetto è
irrilevante sia rispetto alla ratio decidendi, sia per la sua totale genericità
non risultando che nel giudizio di merito sia stata dedotta una attuale
detenzione da parte di quel soggetto neppure esattamente individuato
nelle risposte date dal legale rappresentante dell’attrice
nell’interrogatorio formale, posto che, secondo quanto riportato in
ricorso, il dichiarante aveva fatto riferimento alla consegna “alla Chiesa
locale”.
5. Con il quarto motivo i ricorrenti deducono il vizio di omessa
pronuncia perché la Corte di Appello non avrebbe pronunciato sulle
critiche alla sentenza del Tribunale laddove era stato affermato che i
convenuti non avevano diritto di utilizzare l’immobile in quanto non
appartenenti alla Chiesa Evangelica di Chieti Scalo; i ricorrenti
sostengono di avere dedotto che questa affermazione costituiva una
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probatorio incombeva sui convenuti.

pronuncia di risoluzione del contratto di comodato e quindi una
domanda nuova sulla quale il giudice non doveva pronunciarsi.
5.1 Il motivo è inammissibile in quanto dalla sentenza di appello non
emerge alcuna pronuncia di risoluzione di alcun contratto di

il quale l’attore chiedeva la restituzione dell’immobile (la proprietà) e
l’assenza di prova che gli occupanti avessero titolo per detenerlo.
Il giudice non è infatti tenuto a motivare o a pronunciarsi su qualsiasi
questione che le parti possano prospettare, ma soltanto su quelle che
sono rilevanti per la decisione.
4. In conclusione il ricorso può essere trattato in camera di consiglio,
in applicazione degli artt. 380 bis e 375 c.p.c. per essere dichiarato
manifestamente infondato; la richiesta dell’Ente resistente di riforma
della sentenza di appello con la condanna dei ricorrenti alla spese di
quel grado (invece compensate dalla Corte di Appello) è inammissibile
in quanto non formulata con un motivo di ricorso incidentale”.
I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c. con la
quale richiamano quanto già esposto in ricorso e sostengono:
– che la domanda non poteva essere proposta nei loro confronti in
quanto era la Chiesa di Chieti Scalo a possedere l’immobile;
– che era provata la consegna alla predetta Chiesa;
– che l’attore non avrebbe potuto svolgere alcuna domanda nei loro
confronti non essendo il soggetto al quale era stato consegnato il bene;
– che era stato omesso di individuare il soggetto che recava pregiudizio
effettivo al titolare del diritto reale e, quindi, legittimato passivo
all’azione di rilascio;
– che non era provato il possesso in capo ad essi ricorrenti;

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comodato, ma la causa è stata decisa solo con riferimento al titolo per

- che la motivazione del giudice di primo grado era viziata per
ultrapetizione e su questa doglianza il giudice di appello aveva omesso
di pronunciare

***
Il collegio condivide e fa proprie le argomentazioni e la proposta del

In particolare, con riferimento alle censure sviluppate dai ricorrenti
nella memoria, si osserva che gli argomenti che le sostengono non
attingono le ragioni di manifesta infondatezza evidenziate nella
relazione perché:
– l’azione di rilascio è stata legittimamente esercitata dal proprietario
nei confronti dei soggetti che occupavano senza titolo l’immobile;
– la circostanza che un altro soggetto possa avere o possa avere avuto
titolo per detenere l’immobile non incide sul diritto del proprietario di
agire nei confronti dell’occupante sine titulo;
– la circostanza che gli odierni ricorrenti (i quali, tra l’altro si
oppongono al rilascio) occupassero l’immobile altrui non è mai stata
contestata;
– l’ipotizzato vizio di ultrapetizione nel quale sarebbe incorso il giudice
di primo grado non rileva, posto che la Corte di Appello ha deciso
sulla domanda di rilascio per occupazione sine titulo, come
esattamente proposta dall’Ente attore.
Pertanto il ricorso deve essere rigettato per manifesta infondatezza; le
spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo,
seguono la soccombenza dei ricorrenti, assolutamente prevalente
tenuto conto della marginalità della domanda del controricorrente di
condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del grado di appello,
domanda che deve essere dichiarata inammissibile in quanto non
formulata con un motivo di ricorso incidentale
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relatore.

P. Q. M.
La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a
pagare al controricorrente Ente Morale “Opera delle Chiese Cristiane

euro 2.800 per compensi oltre curo 200,00 per esborsi.
Dichiara inammissibile la domanda dell’Ente controricorrente di
condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di
appello.
Così deciso in Roma il 13 Maggio 2014 nella camera di consiglio della
sesta sezione civile.

dei Fratelli” le spese di questo giudizio di cassazione che liquida in

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