Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20935 del 21/07/2021

Cassazione civile sez. III, 21/07/2021, (ud. 13/07/2020, dep. 21/07/2021), n.20935

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26600/2016 proposto da:

M.V., M.C., I.S.,

M.G.S., rappresentate e difese dagli avvocati ANDREA

SCUDERI, FRANCESCO LEONE;

– ricorrenti –

contro

GESTIONE LIQUIDATORIA EX (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA GIOSUE’ BORSI 4, presso lo studio dell’avvocato LUIGI

GAROFALO, che lo rappresenta e difende;

(OMISSIS) SPA elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE REGINA

MARGHERITA 278, presso lo studio dell’avvocato STEFANO GIOVE,

rappresentato e difeso dall’avvocato MATTEO ANGELILLIS;

– controricorrenti –

e contro

AZIENDA (OMISSIS), REGIONE VENETO, (OMISSIS) SPA, (OMISSIS) SPA,

(OMISSIS) SPA, (OMISSIS) SPA, (OMISSIS) SPA, (OMISSIS) SPA,

(OMISSIS) SPA, (OMISSIS) SPA;

Nonché da:

(OMISSIS) SPA GIA’ (OMISSIS) SPA, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE REGINA MARGHERITA 278, presso lo studio dell’avvocato STEFANO

GIOVE, rappresentato e difeso dall’avvocato MATTEO ANGELILLIS;

– ricorrenti incidentali –

e contro

GESTIONE LIQUIDATORIA (OMISSIS), I.S.,

M.C., M. GIUSEPPINA, M.S., M.V.,

AZIENDA (OMISSIS), REGIONE VENETO, (OMISSIS) ASSICURAZIONI SPA,

(OMISSIS) SPA, (OMISSIS) SPA GIA’ (OMISSIS) SPA, (OMISSIS) SPA GIA’

(OMISSIS) SPA, (OMISSIS) SPA GIA’ (OMISSIS) SPA, (OMISSIS) SPA GIA’

(OMISSIS) SPA;

– intimati –

Nonché da:

REGIONE VENETO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F.

CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato ANDREA MANZI, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati FRANCESCO ZANLUCCHI,

LUISA LONDEI, EZIO ZANON;

– ricorrenti incidentali –

e contro

(OMISSIS) SPA (OMISSIS) SPA, (OMISSIS) SPA, (OMISSIS) SPA, (OMISSIS)

SPA, (OMISSIS) SPA, (OMISSIS) SPA, (OMISSIS) SPA, (OMISSIS) SPA,

AZIENDA (OMISSIS), GESTIONE LIQUIDATORIA EX (OMISSIS),

M.V., M.G.S., M.C.,

I.S.;

– intimati –

Nonché da:

GESTIONE LIQUIDATORIA EX (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA GIOSUE’ BORSI 4, presso lo studio dell’avvocato LUIGI

GAROFALO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrenti incidentali –

e contro

I.S., M.V., M.C.,

M.G.S., AZIEND (OMISSIS) , REGIONE VENETO, (OMISSIS)

SPA, (OMISSIS) SAI, (OMISSIS) SPA, (OMISSIS) SPA, (OMISSIS) SPA,

(OMISSIS) SPA, (OMISSIS) SPA, (OMISSIS) SPA, (OMISSIS) SPA,

(OMISSIS) SPA;

– intimati –

Nonché da:

AZIENDA (OMISSIS) elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOSUE’

BORSI 4, presso lo studio dell’avvocato LUIGI GAROFALO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrenti incidentali –

e contro

M.V., M.G.S., M.C.,

I.S.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1714/2016 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 22/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/07/2020 dal Consigliere Dott. Gabriele Positano.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

M.S. nel 1989 venne sottoposto nell’ospedale civile di Treviso ad un intervento chirurgico di asportazione di un meningioma angioblastico atipico cui seguì un ciclo di terapia radiante. Successivamente il paziente sviluppò una necrosi encefalica che ne determinò la morte nel 1993. Adducendo questi fatti nel 1997 l’prossimi congiunti del paziente (la moglie I.S. e le figlie M.V., C. e G.S.) convennero dinanzi al Tribunale di Treviso l’Azienda ULSS n. (OMISSIS), chiedendone la condanna al risarcimento dei danni rispettivamente patiti in conseguenza della morte del proprio congiunto.

La Azienda ULSS n. (OMISSIS) si costituì e, oltre a negare la propria legittimazione passiva, per essere avvenuti i fatti di causa prima della propria costituzione (avvenuta l'(OMISSIS)), chiamò in causa sette compagnie coassicuratrìci, che avevano assicurato la disciolta ULSS n. (OMISSIS) di Treviso contro i rischi della responsabilità civile ((OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), la quale ultima muterà ragione sociale in (OMISSIS). (OMISSIS) e la (OMISSIS) si fonderanno per incorporazione in (OMISSIS)).

Tutti gli assicuratori eccepirono:

– che il contratto era stato stipulato con decorrenza dal 1.4.1993, e quindi successiva ai fatti di causa;

– la prescrizione del diritto all’indennizzo.

A seguito delle difese svolte dalla ULSS n. (OMISSIS), gli attori chiesero ed ottennero dal giudice l’autorizzazione a chiamare in causa, sia il commissario liquidatore della ULSS n. (OMISSIS), sia la Regione Veneto.

La Regione si costituì; la Gestione Liquidatoria rimase contumace.

Nelle more di questo giudizio, e precisamente nel 2004, I.S., Valentina M., Caterina M. e M.G.S. introdussero una seconda causa, anche questa dinanzi al Tribunale di Treviso, ma nei confronti della Gestione liquidatoria della disciolta USL n. 10 di Treviso, esponendo che:

-) il rischio di necrosi è tipico della terapia radiante;

-) i sanitari della Usi di Treviso non informarono, né il paziente, né i suoi familiari;

-) in tal modo l’sanitari avevano violato il diritto del paziente ad una corretta informazione, causandogli “danni patrimoniali e non patrimoniali”.

Chiesero pertanto la condanna dell’ente convenuto al risarcimento di tali danni.

La Gestione liquidatoria si costituì negando la propria responsabilità; eccepì la prescrizione del diritto azionato dalle attrici, ed in ogni caso chiese e ottenne dal giudice l’autorizzazione a chiamare in causa le sette compagnie assicuratrici già indicate ((OMISSIS), Commerciai Union, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)).

Le due domande proposte dalle eredi M. vennero decise dal Tribunale di Treviso con separate sentenze.

In particolare:

con sentenza 26 settembre 2008 n. 2107 il Tribunale di Treviso:

-) accolse la domanda di risarcimento del danno da imperita esecuzione della terapia radiante (primo giudizio) nei confronti della gestione liquidatoria della ULSS n. (OMISSIS);

-) dichiarò il difetto di legittimazione della ULSS n. (OMISSIS);

-) condannò quest’ultima alla rifusione delle spese di lite nei confronti di quattro delle compagnie assicuratrici chiamate in causa ((OMISSIS) e Italica, sul presupposto che, se fosse stato esaminato il merito della domanda di garanzia, sarebbe stata accolta l’eccezione di inoperatività della polizza da queste formulata; (OMISSIS) e (OMISSIS), sul presupposto che se fosse stato esaminato il merito della domanda di garanzia, fondata sarebbe stata l’eccezione di prescrizione da esse sollevata);

-) compensò le spese tra la U.L.S.S. n. (OMISSIS) e le restanti tre compagnie assicuratrici (Commerciai Union, (OMISSIS) e (OMISSIS)).

con sentenza 11 novembre 2008 n. 2482 il Tribunale di Treviso rigettò invece la domanda di risarcimento del danno da violazione del diritto all’informazione, dichiarando prescritto il diritto stesso.

La prima sentenza è stata impugnata in via principale dalla gestione liquidatoria della ULSS n. (OMISSIS) ed in via incidentale dalla ULSS n. (OMISSIS) e dalle originarie attrici.

La seconda sentenza è stata impugnata in via principale dalle eredi M., ed in via incidentale dalla gestione liquidatoria della U.L.S.S. n. (OMISSIS).

La Corte d’Appello di Venezia riuniti i suddetti appelli avverso le due sentenze sopra indicate, li ha decisi, con sentenza 22 luglio 2016 n. 1714.

Sulla domanda di risarcimento del danno da imperita esecuzione della terapia radiante, la Corte d’Appello ha affermato che (a prescindere da qualsiasi valutazione circa la sussistenza di un valido nesso di causa fra la terapia radiante e la necrosi) quella terapia fu eseguita correttamente dai sanitari: sia sotto il profilo della quantità di radiazioni erogate, sia sotto il profilo della estensione dell’area trattata, sia sotto il profilo della intensità delle radiazioni.

Di conseguenza ha riformato la sentenza di primo grado e rigettato la domanda di risarcimento.

In merito alle spese di lite la Corte d’Appello:

-) nulla ha disposto a carico delle danneggiate, prevedendo solo che restassero a loro carico le spese di c.t.u.;

-) ha accolto l’appello della ULSS n. (OMISSIS) e compensato le spese del primo grado tra questa, la Italica e la (OMISSIS);

-) ha condannato la ULSS n. (OMISSIS) alla rifusione delle spese di appello in favore di (OMISSIS) ed (OMISSIS);

-) ha compensato le spese di appello fra la ULSS n. (OMISSIS) e le altre assicurazioni.

Sulla domanda di risarcimento del danno da violazione del diritto all’informazione la Corte d’Appello ha ritenuto che il credito risarcitorio non fosse prescritto, in quanto soggetto al termine di prescrizione decennale; ha rigettato, tuttavia, nel merito anche questa domanda, osservando che se anche il paziente fosse stato esaustivamente informato, egli non avrebbe affatto rifiutato la cura radioterapia.

In merito alle spese di lite la Corte d’Appello:

-) ha accolto l’appello della Gestione Liquidatoria ULSS n. (OMISSIS) e compensato le spese del primo grado tra questa e tutte le coassicuratrici;

-) ha condannato le eredi M. alla rifusione delle spese di appello alla (OMISSIS);

-) ha compensato le spese di appello fra “le altre parti”.

La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione:

-) in via principale, dalle eredi M., con ricorso fondato su quattro motivi;

-) in via incidentale condizionata, dalla Regione Veneto con ricorso fondato su un motivo;

-) in via incidentale, dalla ULSS n. (OMISSIS), con ricorso fondato su 6 motivi (due dei quali condizionati);

-) in via incidentale, dalla Gestione Liquidatoria della ULSS n. (OMISSIS), con ricorso fondato su 10 motivi;

-) in via incidentale condizionata, dall'(OMISSIS) (ex Commerciai Union), con ricorso fondato su un motivo.

(OMISSIS) ha depositato un separato controricorso e relativa memoria, per resistere al ricorso incidentale della Gestione Liquidatoria.

La Gestione Liquidatoria ha depositato separato controricorso per resistere al ricorso incidentale di (OMISSIS).

Le eredi M. hanno depositato controricorso per resistere ai ricorsi incidentali della Regione, della ULSS n. (OMISSIS) e della Gestione Liquidatoria e successiva memoria con la quale hanno comunicato il decesso del difensore dei ricorrenti. Hanno depositato ulteriore memoria ex art. 380 bis con nuovo difensore.

L’udienza pubblica del 15 ottobre 2018 fissata davanti a questa Corte è stata rinviata a nuovo ruolo e nuovamente fissata per la data odierna in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO IN FATTO

che:

preliminarmente, va esaminata l’eccezione di improcedibilità del ricorso principale. La Gestione Liquidatoria e l’Azienda U.L.S.S., con i rispettivi controricorsi hanno rilevato che nell’elenco dei documenti riportato in calce al ricorso è indicata la sola copia autentica della sentenza impugnata ed hanno eccepito l’improcedibilità del ricorso ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2 (per asserita carenza di produzione della copia della sentenza impugnata munita della relata di notifica).

L’eccezione è infondata poiché dalla nota di iscrizione a ruolo emerge il deposito di tale atto.

In ogni caso, la copia della sentenza notificata è stata depositata dalla difesa della Regione Veneto che ne dà atto al numero 2 dell’indice in calce al controricorso e ricorso incidentale. Trova applicazione il principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza del 2 maggio 2017 n. 10648, secondo cui “…deve escludersi la possibilità di applicazione della sanzione della improcedibilità, ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, ….” ove “…la relata di notifica…risulti comunque nella disponibilità del giudice perché prodotta dalla parte controricorrente…”.

Ricorso principale degli eredi M..

Primo motivo:

Col primo motivo le ricorrenti principali prospettano, sia il vizio di violazione di legge, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 (deducono la violazione degli artt. 1176,1218,2236 e 2697 c.c.), sia il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.

La Corte d’Appello avrebbe erroneamente ed acriticamente recepito le conclusioni della seconda perizia disposta in grado di appello (e quarta di tutto il processo).

In grado di appello, per il tramite del proprio consulente di parte avrebbero mosso analitiche critiche a quella consulenza, deducendo in particolare che il paziente si sarebbe dovuto sottoporre ad una radiazione non superiore a 5.500 centigray (cGy), mentre il volume irradiato fu di 6.000 cGy; soggiungono che la superficie irradiata fu eccessiva; aggiungono che i consulenti di ufficio avevano erroneamente calcolato i margini della ferita chirurgica da irradiare.

Nell’illustrazione del motivo le ricorrenti, dopo aver richiamato la giurisprudenza di questa Corte secondo cui nei giudizi aventi ad oggetto la responsabilità del medico l’incertezza sul nesso di causa tra la condotta ed il danno ricade sul debitore, concludono affermando che nel caso di specie “permaneva un margine di incertezza sulla corretta esecuzione” del trattamento di radioterapia, e che di conseguenza la Corte d’Appello non avrebbe potuto ritenere raggiunta la prova liberatoria da parte della gestione liquidatoria.

Nella parte in cui lamenta il vizio di omesso esame d’un fatto decisivo il motivo è inammissibile per omessa specificazione del fatto decisivo omesso, tenendo conto che il “fatto” che giustifica l’impugnazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, non può consistere in un argomento od in una tesi difensiva.

In ogni caso, la Corte d’Appello ha preso in esame, sia il problema dell’adeguatezza della cura, sia quello della quantità di radiazioni irradiate, sia la questione dell’estensione dell’area interessata dalle radiazioni (pagine da 30 a 32 della sentenza d’appello).

Nella parte in cui lamenta la violazione di legge il motivo è parimenti inammissibile.

Col motivo si sostiene che la Corte d’Appello avrebbe errato nel prestare credito ai consulenti tecnici d’ufficio.

Si tratta di una censura che investe un apprezzamento di merito, non sindacabile in questa sede.

La censura di violazione dell’art. 2697 c.c., è del tutto generica, dato che è basata sulla sola prospettazione che vi sarebbe stata incertezza sulla corretta esecuzione del trattamento. Sicché, la censura non può sfuggire a valutazione di inammissibilità per difetto di specificità (alla stregua del principio di diritto di cui a Cass. n. 4741 del 2005, ribadito in motivazione non massimata da Cass. Sez. Un., n. 7074 del 2017). E ciò a prescindere dal fatto che la Corte d’Appello non ha affermato che, all’esito dell’istruttoria, rimaneva incertezza sulla corretta esecuzione della terapia radiante.

Secondo motivo del ricorso principale.

Col secondo motivo si lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta, tanto dal vizio di nullità processuale, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, quanto dal vizio di omesso esame d’un fatto decisivo, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Le ricorrenti deducono che:

-) in grado di appello le eredi della vittima avevano mosso molte ed analitiche censure alla seconda consulenza tecnica d’ufficio, quella collegiale;

-) queste censure non erano state nemmeno esaminate dalla Corte d’Appello.

La sentenza impugnata, pertanto, da un lato sarebbe affetta da “omessa motivazione”, per non aver esaminato tali argomenti; dall’altro lato, sarebbe viziata per omesso esame di un fatto decisivo, cioè le “precise e circostanziate censure svolte dalle ricorrenti alla c.t.u.”.

A sostegno di questo motivo di ricorso le ricorrenti richiamano la consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui il giudice di merito quando intende aderire ad una consulenza tecnica d’ufficio non è tenuto ad esporre le ragioni della propria decisione, a meno che la consulenza sia stata oggetto di critiche circostanziate ed analitiche; in tal caso il giudice che intenda ugualmente aderire alla consulenza d’ufficio ha l’onere di motivare il proprio dissenso dalle critiche mosse dalle parti alla consulenza.

Le censure sono inammissibili. L’evocazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, è priva di pregio, perché la mancanza di motivazione non è prospettata con riferimento alla motivazione in sé, bensì come omessa motivazione sulle ragioni del discostarsi dalle c.t.u. di primo grado e sulle critiche svolte nella conclusionale e, quindi, con riguardo ad elementi estrinseci. Poiché le risultanze delle c.t.u. di primo grado e le critiche non costituiscono “fatti” storici, alla stregua dell’art. 360 c.p.c., n. 5, esprimendo invece valutazioni, il motivo – anche ove qualificato ai sensi di tale ultima disposizione – non rispetta il paradigma del n. 5 nuovo testo dell’art. 360 c.p.c..

A prescindere da tali considerazioni, la motivazione sul rigetto della domanda non manca ed è sufficiente richiamare il consolidato principio secondo cui l’omesso esame di argomenti difensivi non integra il vizio di omessa pronuncia o di mancanza di motivazione.

In particolare, nella parte in cui lamenta il vizio di omesso esame d’un fatto decisivo il motivo è infondato.

La Corte d’Appello, sia pure in modo stringato, non ha affatto t(OMISSIS)curato di prendere in esame i problemi centrali posti dalla lite: e cioè se la terapia radiante fu accurata per scelta e modalità esecutive.

E su questi punti la Corte d’Appello ha motivato, stabilendo che:

-) la terapia fu appropriata (pagina 30, ultimo capoverso);

-) le dosi somministrate non erano eccessive, giacché tali dosi devono essere elevate nel caso di meningiomi atipici (pagina 31, ultimo capoverso);

-) la tecnica adottata (quella bidimensionale) all’epoca dei fatti era largamente diffusa (pagina 32, terzo capoverso);

-) infine, “i volumi trattati comprendevano, per i casi di meningioma atipico o maligno, l’estensione della malattia prima dell’intervento, come definita dalla TAC” (pagina 32, terzo capoverso, in fine).

Tali affermazioni costituiscono implicito rigetto delle critiche tecniche mosse dalle attrici alla relazione di consulenza, in quanto sono incompatibili con quelle critiche.

Il terzo motivo del ricorso principale.

Col terzo motivo le ricorrenti prospettano, sia il vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, (lamentano la violazione degli artt. 2,13 e 32 Cost.; degli artt. 1175,1176,1218,1223,1337,1338,1375 e 2236 c.c.; nonché della L. 23 dicembre 1978, art. 33, L. 833); sia il vizio di omesso esame d’un fatto decisivo.

La censura riguarda la statuizione di rigetto dell’appello da esse proposto contro la sentenza di primo grado, che aveva a sua volta rigettato la domanda di risarcimento del danno da violazione del consenso informato.

Le ricorrenti deducono che la violazione, da parte del medico, del diritto del paziente ad essere informato, può produrre non soltanto un danno alla salute, ma anche un danno non patrimoniale diverso da quello alla salute, consistente nella violazione della dignità della persona, del suo diritto all’autodeterminazione, della sua facoltà di scegliere altre cure, di rifiutare le cure proposte, ovvero di rivolgersi ad altri ospedali.

Il quarto motivo del ricorso principale.

Col quarto e ultimo motivo le ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.).

Espongono, a tal riguardo, che in primo grado la domanda di risarcimento del danno per violazione del diritto all’informazione del paziente era stata rigettata per prescrizione.

Invece, l’appello su questo punto sarebbe stato accolto; sicché, una volta ritenuto non prescritto il loro diritto, “per logica e per consolidata giurisprudenza si imponeva l’accoglimento della domanda senza che fosse necessario aggiungere ulteriore prova”.

I due motivi vanno trattati congiuntamente perché strettamente connessi e sono inammissibili per estraneità alla ratio decidendi.

La Corte d’Appello ha rigettato la domanda di risarcimento del danno da violazione del consenso informato sul presupposto che “nessuna prova, neppure presuntiva, è stata fornita sulla circostanza che il paziente, se adeguatamente informato, avrebbe rifiutato la cura radiografica”.

In sostanza, la Corte territoriale, con una chiara argomentazione ha escluso il nesso di causa tra la condotta dei sanitari e tutti i danni che ne sarebbero potuti derivare. Le ricorrenti, al contrario, impostano le censure su un piano differente, sostenendo che la violazione del diritto del paziente all’informazione lede un diritto fondamentale diverso da quello alla salute.

La Corte d’Appello, a riguardo, non ha affermato che se il paziente fosse stato informato, la sua salute non sarebbe peggiorata. Il gidice di secondo grado ha accertato, con una valutazione in fatto, non sindacabile in questa sede, che se il paziente fosse stato informato, avrebbe ugualmente effettuato la radioterapia.

Se dunque questo è il “fatto” come ricostruito dalla Corte d’Appello, tale valutazione esclude il nesso di causa, tra la condotta tenuta dei medici e qualsiasi ipotetica conseguenza dannosa: quindi, sia tra la condotta ed il peggioramento delle condizioni di salute, che tra la condotta ed la presunta lesione alla libertà di autodeterminazione del paziente, correttamente sottolineata dalle ricorrenti.

Peraltro, deve solo aggiungersi che l’argomentazione della Corte territoriale si inserisce nel solco della giurisprudenza costante di questa Corte secondo cui non è configurabile un danno risarcibile per lesione del diritto di autodeterminarsi, nell’ipotesi in cui il paziente, se fosse stato informato, non avrebbe compiuto scelte diverse da quelle concretamente adottate.

L’inammissibilità riguarda anche l’ultimo motivo atteso che una volta consolidatasi per l’inidoneità della censura, la motivazione sulla mancanza di prova che il paziente, se informato, avrebbe rifiutato la terapia, la questione posta con il motivo diventa irrilevante difetto interesse.

A riguardo, infatti, va precisato che in primo grado la questione della esistenza o meno del danno e del nesso di causa fra l’insufficiente informazione e il pregiudizio, era rimasta assorbita dalla pronuncia sulla prescrizione.

Correttamente, pertanto, la Corte d’Appello, una volta ritenuta non prescritto il diritto, necessariamente avrebbe dovuto, come ha fatto, esaminare il merito della domanda risarcitoria e ciò impone di escludere la sussistenza di ogni profilo di extrapetizione.

Quanto ai ricorsi incidentali va anticipato che gli stessi sono stati proposti quando era già scaduto il termine breve che decorre dalla notifica della sentenza, di cui tutti i resistenti danno atto.

Ricorso incidentale della Regione Veneto.

Motivo unico:

Con l’unico motivo del proprio ricorso incidentale la Regione Veneto lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, che la sentenza impugnata avrebbe violato il D.Lgs. n. 502 del 1992; la L. n. 724 del 1994; la L. n. 549 del 1995; la legge regionale del Veneto n. 55 del 1994.

Nell’illustrazione del motivo si sostiene che erroneamente la Corte d’Appello avrebbe affermato che, rispetto alla domanda di risarcimento di danni causati dal personale dipendente delle disciolte Usl, la legittimazione passiva spetti, sia alle gestioni liquidatorie, che alle regioni.

Ricorso incidentale della ULSS n. (OMISSIS).

Il primo ed il secondo motivo di ricorso della Asl.

Il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale della Asl n. (OMISSIS) censurano la sentenza d’appello nella parte in cui, confermando quella di primo grado, ha tenuto ferma la statuizione di compensazione delle spese del giudizio di primo grado fra le attrici e la Asl n. (OMISSIS).

In particolare, col primo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 91 e 306 c.p.c..

Le attrici, nell’udienza di precisazione delle conclusioni, avrebbero rinunciato alla domanda proposta nei confronti dell’ASL n. (OMISSIS), pertanto non avrebbe dovuto essere emessa condanna alle spese.

Col secondo motivo la Usl n. 9 deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione – tra gli altri – dell’art. 91 c.p.c.

Nell’illustrazione del motivo lamenta che la Corte d’Appello ha compensato le spese di lite tra le attrici e la ASL sul presupposto che l’individuazione del soggetto tenuto a rispondere dei debiti delle disciolte Usl aveva dato luogo a cont(OMISSIS)ti giurisprudenziali, e comunque “gli interventi normativi succedutisi nel tempo non hanno agevolato la corretta interpretazione delle problematiche connesse al trapasso della titolarità delle posizioni debitorie contratte dalle disciolte Usl”.

Sostiene, tuttavia, la ricorrente che, al momento in cui venne introdotto il giudizio di primo grado (ottobre 1997) era ancora controverso se la legittimazione passiva spettasse alla Regione o alle gestioni stralcio, ma la legittimazione passiva non spettava alle neocostituite ASL.

Il terzo motivo di ricorso della ASL.

Col terzo motivo del ricorso incidentale la ASL n. 9 lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 91,306 e 269 c.p.c..

Il motivo investe la statuizione con cui la Corte d’Appello ha posto a carico della Usl, invece che delle attrici, le spese di lite del primo grado sostenute dalle assicurazioni chiamate in causa.

Espone la ricorrente che in primo grado, come accennato, la ULSS n. (OMISSIS) venne condannata a pagare le spese di lite nei confronti di quattro dei sette assicuratori da essa chiamati in causa: Italica, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).

Nel giudizio di appello tale statuizione venne riformata parzialmente: rimase ferma la condanna delle spese di lite di primo grado a favore di (OMISSIS) e (OMISSIS); vennero invece compensate le spese di lite di primo grado tra la ULSS da un lato, (OMISSIS) e (OMISSIS) dall’altro.

Secondo la ricorrente incidentale la ULSS non avrebbe dovuto essere destinataria di alcuna condanna alla rifusione delle spese di lite del primo grado di giudizio in favore delle compagnie assicuratrici chiamate in causa (il motivo, per quanto detto, riguarda solo la posizione delle compagnie (OMISSIS) e (OMISSIS)), in virtù del consolidato principio giurisprudenziale secondo cui le spese sostenute dal terzo chiamato in causa, in caso di rigetto della domanda principale, dovrebbero essere sostenute dall’attore soccombente, il quale con la propria iniziativa giudiziaria ha dato luogo alla chiamata in causa.

Il quarto motivo di ricorso della ASL n. (OMISSIS).

Con il quarto motivo del proprio ricorso la ASL n. (OMISSIS) lamenta, sia il vizio di violazione di legge di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 (si assumono violati gli artt. 1370 e 1917 c.c.); sia il vizio di omesso esame d’un fatto decisivo.

Il motivo investe la statuizione della Corte d’Appello con cui è stata confermata la decisione del Tribunale di condannare la USL alla rifusione delle spese del primo grado di giudizio in favore di due dei 7 coassicuratori: le compagnie, (OMISSIS) e (OMISSIS).

Espone la ricorrente che, in primo grado, essa venne condannata a rifondere le spese di lite sostenute dalla (OMISSIS) e dall'(OMISSIS) sul presupposto che il credito indennitario nei confronti di queste due compagnie doveva ritenersi estinto per prescrizione: le danneggiate infatti avevano inviato la propria richiesta risarcitoria alla ASL con lettera del 15 aprile 1996; mentre la ASL aveva comunicato agli assicuratori la richiesta risarcitoria del terzo solo nel 1998, e quindi ben oltre la scadenza del termine prescrizionale di un anno, previsto all’epoca dei fatti dall’art. 2952 c.c..

Tale valutazione sarebbe erronea sotto due aspetti. In primo luogo, perché la prescrizione del diritto all’indennizzo scaturente da un contratto di assicurazione della responsabilità civile decorrerebbe dal momento in cui l’assicurato ha conoscenza della richiesta risarcitoria del terzo; tuttavia, nel caso di specie, la richiesta risarcitoria inviata dalle eredi M. in data 15 aprile 1996 non sarebbe stata idonea a determinare tale conoscenza, perché costituita “da una semplice raccomandata da parte di un legale non munito di procura alle liti e privo di certi poteri rappresentativi”.

In secondo luogo, secondo la ricorrente incidentale, la statuizione della Corte d’Appello sarebbe erronea, perché il termine di prescrizione si sarebbe dovuto ritenere “interrotto dalla chiamata in causa dell’azienda stessa che, anche agendo quale successore o comunque nell’interesse delle USL n. 10, aveva effettuato l’estensione del contraddittorio nei confronti della compagnia assicurativa con atto di citazione di data 5 febbraio 1998”.

Il quinto e il sesto motivo del ricorso della ASL.

Con il quinto e sesto la ASL impugna “prudenzialmente” la statuizione con cui la Corte d’Appello, incidenter tantum, avrebbe “escluso l’operatività della polizza stipulata con (OMISSIS) e (OMISSIS)”.

Tale valutazione sarebbe errata, in quanto una corretta interpretazione del contratto di assicurazione avrebbe dovuto indurre la Corte d’Appello a ritenere che esso copriva la responsabilità dell’assicurato anche per i fatti commessi prima della decorrenza della polizza. Si deduce che la Corte d’Appello avrebbe erroneamente interpretato il contratto.

Il ricorso incidentale proposto dalla gestione liquidatoria.

Il ricorso della gestione liquidatoria contiene 10 motivi: i primi tre sono rivolti contro i capi della sentenza che hanno deciso la domanda di risarcimento del danno da imperita esecuzione della radioterapia (e di essi, i primi due sono condizionati); i motivi dal quarto al decimo sono rivolti contro i capi di sentenza che hanno deciso la domanda di risarcimento del danno da violazione del consenso informato.

Il primo motivo del ricorso della gestione liquidatoria.

La gestione liquidatoria lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione delle norme che hanno disposto la soppressione delle vecchie Usl.

Si sostiene che la Corte d’Appello avrebbe erroneamente ritenuto che la gestione liquidatoria non potesse, in grado di appello, “far proprie” le eccezioni sollevate in primo grado dalla Regione Veneto; ciò sul presupposto che la gestione liquidatoria, in primo grado, era rimasta contumace.

Deduce la ricorrente che la gestione liquidatoria sarebbe solo un organo della regione; che, pertanto, una volta costituitasi la regione essa non aveva alcun interesse a costituirsi nel giudizio di primo grado.

Il secondo motivo del ricorso della gestione liquidatoria.

Si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione della L. n. 724 del 1994; della L. 549 del 1995, e dell’art. 45 bis della legge regionale Veneto n. 55 del 1994.

Si assume che poiché la gestione liquidatoria è un organo della Regione, in grado di appello pur essendo rimasta contumace in primo grado avrebbe potuto giovarsi “delle eccezioni e difese tutte svolte dalla Regione in primo grado”, ed in particolare dell’eccezione di prescrizione sollevata dalla regione stessa.

Il terzo motivo di ricorso della gestione liquidatoria.

Col terzo motivo la gestione liquidatoria lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 184 bis, 294 e 359 c.p.c..

La Corte d’Appello avrebbe erroneamente rigettato l’istanza di rimessione in termini, formulata ai sensi dell’art. 184 bis c.p.c., Deduce che:

-) in primo grado la gestione liquidatoria rimase contumace ritenendo sufficiente la costituzione in giudizio della regione Veneto;

-) quest’ultima chiese di chiamare in causa gli assicuratori della disciolta USL, e tale istanza venne rigettata per tardività;

-) al contrario, l’istanza di chiamata in causa formulata dalla Regione Veneto non poteva dirsi tardiva, perché l’interesse a chiamare in causa gli assicuratori sarebbe sorto solo dopo che la Regione constatò la contumacia della gestione liquidatoria;

-) in ogni caso, la gestione liquidatoria avrebbe potuto “subentrare nelle chiamate in causa effettuate dall’Azienda USL n. (OMISSIS) nel corso del primo grado, appropriandosi degli effetti processuale sostanziali prodotti da queste”.

Sulla base di queste considerazioni, la ricorrente conclude che l’istanza di rimessione in termini per chiamare in causa gli assicuratori, formulata in grado di appello, non avrebbe dovuto essere rigettata dalla Corte d’Appello, sussistendo un legittimo impedimento rappresentato dalla “ragioni oggettive che giustificavano l’affidamento” della gestione liquidatoria in merito alla non necessità di svolgere la chiamata in causa.

Il quarto motivo di ricorso della gestione.

Col quarto motivo la gestione liquidatoria lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 2 e 111 Cost.; degli artt. 1175 e 1375 c.c.; degli artt. 88 e 274 c.p.c..

Il motivo (come quelli che seguiranno), investe i capi della sentenza d’appello che hanno deciso la domanda di risarcimento del danno da violazione del diritto al consenso informato.

Espone la ricorrente che le eredi M., dopo aver introdotto un giudizio di risarcimento del danno, nel 1997, derivato dall’imperita esecuzione di un trattamento medico, nel 2004 hanno instaurato un secondo giudizio, avente ad oggetto una domanda di risarcimento del danno derivato dalla violazione del diritto del paziente ad una corretta informazione.

Sostiene la ricorrente che tale seconda domanda avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile, in quanto costituiva un abuso del diritto, compiuto al solo scopo di aggirare le preclusioni assertive ed istruttorie già maturate nel giudizio introdotto nel 1997.

Il quinto motivo di ricorso della gestione liquidatoria.

Col quinto motivo di ricorso la gestione liquidatoria lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo.

Il motivo censura la sentenza d’appello nella parte in cui ha rigettato l’eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da violazione del consenso informato.

Il sesto motivo di ricorso della gestione liquidatoria.

Col sesto motivo di ricorso la gestione liquidatoria lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 1218 e 2935 c.c.. Il motivo investe la sentenza d’appello nella parte in cui ha rigettato l’eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da violazione del consenso informato.

Sostiene la ricorrente che il diritto al risarcimento del danno da violazione del consenso informato sorge nel momento in cui il medico omette di informare il paziente; nel caso di specie tale omissione si sarebbe perfezionata nel 1990; pertanto, la prescrizione del credito risarcitorio sarebbe maturata prima ancora della notifica dell’atto di citazione (2004).

Il settimo motivo di ricorso della gestione liquidatoria.

Col settimo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 2697 c.c., e dei principi in materia di consenso informato.

Si sostiene che l’obbligo del medico di informare il paziente non si può estendere alle conseguenze imprevedibili della cura; che nel caso di specie il paziente era stato informato “di tutto ciò che verosimilmente avrebbe potuto collegarsi al ciclo di cure che si accingeva ad intraprendere”; che di conseguenza erroneamente la Corte d’Appello avrebbe ritenuto sussistere non provato l’adempimento esatto dell’obbligo di informare il paziente.

L’ottavo motivo di ricorso della gestione liquidatoria.

Con l’ottavo motivo si lamenta che la sentenza impugnata sarebbe viziata, sia per violazione di legge di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, (si assume violato l’art. 115 c.p.c., “relativamente alla valutazione del materiale istruttorio”), sia per omesso esame d’un fatto decisivo, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Nella illustrazione del motivo si sostiene che la Corte d’Appello avrebbe malamente valutato ed interpretato le deposizioni testimoniali, giungendo a conclusioni errate, affermando che il paziente non fu debitamente correttamente informato, laddove le prove raccolte deponevano in senso contrario.

Il nono ed il decimo motivo di ricorso della gestione liquidatoria.

Col nono motivo si deduce che la sentenza impugnata sarebbe affetta dal vizio di omesso esame del fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, e con il motivo successivo di lamenta la violazione di legge, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 (si assumono violati l’art. 1362 c.c. e ss., artt. 1370 e 1917 c.c.).

I due motivi investono la sentenza d’appello nella parte in cui (secondo la lettura che di quella sentenza dà la ricorrente) avrebbe escluso l’operatività del contratto di assicurazione stipulato dalla disciolta USL n. 10 di Treviso con le società (OMISSIS) e (OMISSIS).

Ricorso incidentale della compagnia (OMISSIS).

Con l’unico motivo del proprio ricorso incidentale condizionato (OMISSIS) S.p.A. lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 1917 c.c..

Si sostiene che la sentenza d’appello sarebbe errata laddove ha ritenuto che, essendo la morte del paziente avvenuta durante il periodo di vigenza del contratto di assicurazione, questo doveva ritenersi operativo ed efficace, a nulla rilevando che la condotta colposa fu tenuta dall’assicurato quattro anni prima della stipula del contratto.

Sostiene la ricorrente incidentale che il contratto, il quale non conteneva una clausola claim’s made, si doveva interpretare nel senso che erano coperte da garanzia solo le condotte tenute dall’assicurato in costanza di contratto e non i danni verificatisi in costanza di contratto, quando derivanti da condotte tenute prima della stipula.

Preliminarmente va ribadito che non si pongono questioni di procedibilità perché- come evidenziano nell’ultima memoria le ricorrenti principali – la copia notificata è stata prodotta dalla Regione Veneto, sicché viene in rilievo l’efficacia sanante di cui a Cass. Sez. Un., n. 10648 del 2017.

Come anticipato in premessa, dal momento che il ricorso principale è inammissibile, i ricorsi incidentali risultano tardivi e quindi inefficaci ex art. 334 c.p.c.. Infatti, la sentenza è stata pubblicata in data 22 luglio 2016 e notificata in data 8 settembre 2016 e, quindi, il termine per proporre l’impugnazione in via autonoma scadeva il 7 novembre 2016. I ricorsi incidentali sono stati notificati tutti nel mese di dicembre 2016 (rispettivamente il 17, 19, 17 e 15 dicembre).

Trattandosi di giudizi riuniti, instaurati rispettivamente nel 1997 e nel 2004, in considerazione delle alterne vicende processuali e dell’oggetto della controversia, ricorrono giusti motivi per compensare integramente tra tutte le parti le spese del giudizio di legittimità.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali si sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315), evidenziandosi che il presupposto dell’insorgenza di tale obbligo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. Cass. 13 maggio 2014, n. 10306).

Quanto alla posizioni dei ricorrenti incidentali, non sussistono i presupposti per il pagamento del doppio contributo trovando applicazione il consolidato principio secondo cui “il controricorrente, il cui ricorso incidentale tardivo sia dichiarato inefficace a seguito di declaratoria di inammissibilità del ricorso principale, non può essere condannato al pagamento del doppio del contributo unificato, trattandosi di sanzione conseguente alle sole declaratorie di infondatezza nel merito ovvero di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione, D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater” (Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 18348 del 25/07/2017 (Rv-645149 – 01).

P.T.M.

dichiara inammissibile il ricorso principale e inefficaci i ricorsi incidentali e compensa integralmente tra le parti le spese di lite;

sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti principali, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2021

 

 

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