Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20933 del 01/10/2020

Cassazione civile sez. II, 01/10/2020, (ud. 14/07/2020, dep. 01/10/2020), n.20933

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21379-2019 proposto da:

U.J., rappresentato e difeso dall’Avvocato STEFANIA SANTILLI

ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in MILANO, VIA

LAMARMORA 42;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore,

rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12 è

domiciliato;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 110/2019 della CORTE d’APPELLO di MILANO

depositata il 14/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/07/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

J.U., originario del (OMISSIS), presentava domanda per ottenere il riconoscimento della protezione internazionale: nel corso dell’audizione dichiarava di essere cittadino bengalese e di avere lasciato il suo paese unicamente per motivi economici, in quanto la sua famiglia, dopo aver subito la distruzione della casa in seguito a un’inondazione, si era trasferita presso i nonni, ma qui era poco gradita dagli altri congiunti, tanto da doversi trasferire su un terreno statale ove viveva di sussidi pubblici.

La Commissione Territoriale rigettava la domanda di protezione internazionale e umanitaria.

Avverso il provvedimento proponeva impugnazione J.U. chiedendo il riconoscimento dello status di rifugiato o in subordine del diritto a beneficiare della protezione sussidiaria, o in ulteriore subordine il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Il Tribunale di Milano rigettava il ricorso.

Contro tale ordinanza, il richiedente proponeva impugnazione, reiterando le domande proposte in primo grado.

Con sentenza n. 110/2019, depositata in data 14.1.2019, la Corte d’Appello di Milano rigettava l’appello, assumendo che si trattasse di questioni private, non integranti alcuna forma di persecuzione per motivi religiosi o politici o razziali, in quanto il vero motivo sarebbe stato la povertà e quindi la necessità di lasciare il proprio paese per trovare un lavoro. Secondo la Corte di merito era da rigettare anche la domanda di concessione della protezione sussidiaria. Nè poteva trovare accoglimento la domanda di concessione di permesso per motivi umanitari, non sussistendo nella fattispecie quella situazione di particolare vulnerabilità che la giurisprudenza maggioritaria richiede per il suo riconoscimento; laddove un eventuale rientro dell’esponente nel paese d’origine non avrebbe comportato per quest’ultimo un grave ingiustificato pregiudizio.

Avverso tale sentenza il richiedente propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi; resiste il Ministero dell’Interno con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta da parte della Corte distretttuale la “Violazione dei parametri normativi relativi alla credibilità delle dichiarazioni dei richiedenti fissati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), non avendo compiuto alcun esame comparativo tra le informazioni provenienti dal richiedente e la situazione personale del ricorrente nelle aree da esso indicate da eseguirsi mediante la puntuale osservanza degli obblighi di cooperazione istruttoria incombenti sull’autorità giurisdizionale”. Il ricorrente impugna la sentenza della Corte d’Appello nella parte in cui afferma la scarsa attendibilità delle dichiarazioni rese dallo stesso senza indicare le motivazioni che giustificano tale giudizio e le fonti consultate per accertarne la totale illogicità; e non ha tenuto conto dell’ultimo report pubblicato dall’European Asylum Support Office che evidenziava come la posizione geografica del Bangladesh lo rende uno dei paesi più vulnerabili al mondo ai cambiamenti climatici e a catastrofi naturali come cicloni e inondazioni.

1.1. – Il motivo è inammissibile.

1.2. – La doglianza, pur formalmente riferita a violazioni di legge, si risolve sostanzialmente in censura di fatto, essendo volta a conseguire una rivisitazione del merito della vicenda processuale, non consentita nel presente giudizio di legittimità.

La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto, rimesso al giudice del merito – e censurabile solo nei limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 vanamente evocato dal ricorrente (Cass. n. 88 del 2020). La Corte distrettuale ha ampiamente ed adeguatamente motivato perchè, nella fattispecie, si trattasse di questioni squisitamente ed esclusivamente private, non integranti alcuna forma di persecuzione per motivi religiosi o politici o razziali, in quanto il vero motivo sarebbe stato la povertà e quindi la necessità di lasciare il proprio paese per trovare un lavoro. Nel caso di specie, non solo non era stata fornita nessuna prova dell’asserita persecuzione personale, ma addirittura l’allegazione dei fatti risultava lacunosa, illogica e scarsamente attendibile. Difatti, nessun elemento era fornito dall’appellante quanto a un omesso intervento dell’apparato statale bengalese a propria tutela, tale da consentire il superamento del profilo appunto afferente a rapporti interfamiliari assulutamente e meramente privatistici. Da ciò la non contestata esclusione del fatto che il ricorrente fosse stato vittima di episodi di violenza nel Paese di origine,e la conclusione circa la, peraltro non dedotta, inesistenza di alcun elemento concreto di una eventuale persecuzione ai danni dello stesso.

2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la “Violazione dei parametri normativi relativi all’analisi delle domande di protezione internazionale e umanitaria come disciplinati nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. La Corte d’Appello di Milano, nel valutare la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria, non ha compiuto alcun esame della situazione oggettiva del paese di provenienza non avendo indicato le fonti in base alle quali ha accertato l’eseguibilità del rimpatrio in sicurezza e nel rispetto dei diritti umani ritenuti inviolabili”. Osserva il ricorrente che sia il Tribunale che la Corte d’Appello di Milano, nonostante il medesimo avesse sottolineato le criticità presenti in Bangladesh dal punto di vista climatico e ambientale, oltre il difficile momento politico e sociale che sta attraversando, ritenevano di escludere la rilevanza di tali informazioni senza in alcun modo motivare la scelta e facendo solo un generico riferimento alla situazione politica del paese che, nel caso di specie, non risulterebbe pertinente.

2.1. – Il motivo è inammissibile.

2.2. – Esso mescola alcuni rilievi cui si è già fornita risposta (v. sub 1) con la considerazione del mancato approfondimento del grave danno cui sarebbe esposto l’attuale ricorrente in caso di rientro in Patria. Ma, una volta esclusa – legittimamente, per quanto già precisato – la credibilità del racconto del richiedente, viene meno il requisito della individualità del pericolo, indefettibile ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria quanto alle ipotesi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e superabile, quanto alla configurabilità della ipotesi di cui alla lett. c), consistente nella minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile, solo in caso di accertamento di una violenza indiscriminata in situazioni, come specificato dalla stessa norma, di conflitto armato interno o internazionale.

Laddove, poi, nessun rilievo assume in parte qua la posizione geografica del Bangladesh, che lo rende un paese vulnerabile al mondo ai cambiamenti climatici e a catastrofi naturali come cicloni e inondazioni.

3. – Con il terzo motivo, il ricorrente censura la “”Violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e 19, comma 2 e art. 10 Cost., comma 3. Motivazione apparente in relazione alla domanda di protezione umanitaria e alla valutazione di assenza di specifiche vulnerabilità; omesso esame di fatti decisivi circa la sussistenza di gravi motivi umanitari che impediscono il rimpatrio, come definiti e interpretati dalle ultime pronunce di legittimità”. La Corte territoriale avrebbe omesso di valutare le condizioni di vita del paese l’origine, mentre il ricorrente allegava specificamente la situazione di vulnerabilità personale causata dai gravi e frequenti eventi climatici che hanno devastato il Bangladesh e impoverito in modo determinante la popolazione.

3.1. – Il motivo è inammissibile.

3.2. – Il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, postula la verifica che il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (v. Cass., sent. n. 4455 del 2018).

In ordine alla verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria – al pari di quanto avviene per il giudizio di riconoscimento dello status di rifugiato politico e della protezione sussidiaria – incombe sul giudice il dovere di cooperazione istruttoria officiosa, così come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 in ordine all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine. Nella specie, il Tribunale territoriale non ha violato il suddetto principio nè è venuto meno al dovere di cooperazione istruttoria, avendo semplicemente ritenuto, a monte, che i fatti lamentati non costituiscano un ostacolo al rimpatrio nè integrino un’esposizione seria alla lesione dei diritti fondamentali alla luce della disciplina antecedente al D.L. 4 ottobre 2018, n. 113 convertito nella L. 1 dicembre 2018, n. 132 (non applicabile ratione temporis alla fattispecie, non avendo tale normativa efficacia retroattiva secondo quanto affermato dalle sezioni unite di questa Corte: Cass., sez. un., n. 29459 del 2019).

3.3. – Quanto infine al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero questa Corte (Cass. n. 4455 del 2018; e successivamente Cass., sez. un., n. 29460 del 2019) ha precisato che “In materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza”.

A tal riguardo il motivo appare inammissibile anche alla luce della valutazione comparativa espressa dal giudice di merito con esaustiva indagine circa le condizioni descritte dello straniero con riguardo al suo paese di origine ed all’integrazione in Italia acquisita, valutazione in sè evidentemente non rivalutabile in questa sede.

4. – Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla controparte le spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 14 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2020

 

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