Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20932 del 05/08/2019

Cassazione civile sez. II, 05/08/2019, (ud. 10/04/2019, dep. 05/08/2019), n.20932

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17353-2015 proposto da:

C.M.C., CA.GI., elettivamente

domiciliate in ROMA, PIAZZA DELLA MARINA 1, presso lo studio

dell’avvocato LUCIO FILIPPO LONGO, che le rappresenta e difende

unitamente agli avvocati ALESSANDRO PATELLI, MARCO FRANZINI;

– ricorrenti –

contro

G.P., G.G., elettivamente domiciliati in ROMA,

V.TRIONFALE 6551, presso lo studio dell’avvocato MARIA GIOVANNA RUO,

che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato ENRICO

DELL’OCA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1524/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 08/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/04/2019 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Ca.Gi. e C.M.C., all’esito della fase cautelare, radicavano il giudizio di merito volto all’accertamento negativo del diritto di G.G. e G.P. di aprire alcune prese d’aria su di un muro a confine.

2. Il Tribunale di Como rigettava tutte le domande di parte attrice e riconosceva a parte convenuta la facoltà di aprire le bocchette di areazione come individuate nel provvedimento cautelare del Tribunale di Como del 18 marzo 2010 e nella relazione del consulente tecnico geometra P.V. del 24 febbraio 2010.

3. Avverso la suddetta sentenza proponevano appello Ca.Gi. e C.M.C..

4. La Corte d’Appello rigettava il gravame, ritenendo il primo luogo che la questione relativa al rispetto della normativa riguardante l’apertura di luci nel muro divisorio comune senza il consenso dell’altro proprietario era stata introdotta solo nel giudizio di appello, in quanto l’originaria prospettazione dell’attrice ricollegava l’illegittimità delle bocchette d’aria alla proprietà esclusiva del muro in capo alle ricorrenti.

Ciò premesso La Corte d’Appello evidenziava che l’accordo transattivo sottoscritto tra le parti il 23 ottobre 2009, all’esito di un primo giudizio cautelare intentato dalle ricorrenti per ottenere la rimozione dei tubi del gas esistenti sulla proprietà delle convenute, se pure non contemplava letteralmente l’autorizzazione a realizzare le prese d’aria in oggetto, aveva comunque lo scopo di consentire anche materialmente l’istallazione dell’impianto e che, comunque, le parti si impegnavano a prestare la massima collaborazione per la soluzione di ogni eventuale problema tecnico.

Poichè era fuori discussione la necessità delle aperture di ventilazione riconosciuta anche dal consulente tecnico degli appellanti e poichè le prese d’aria erano imposte dalla normativa vigente in materia di areazione degli ambienti in presenza di apparecchi di combustione al fine di garantire la salubrità e la sicurezza dei locali, la soluzione tecnica ottimale era finalizzata a consentire la messa a norma dell’impianto di adduzione del gas metano ed era la meno pregiudizievole rispetto alle altre soluzioni possibili; doveva al dunque respingersi anche la contestazione dell’appellante circa le modalità esecutive delle Bocchette realizzate mediante dei fori in facciata.

5. Ca.Gi. e C.M.C. hanno proposto ricorso per Cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di tre motivi di ricorso.

6. G.G. e G.P. hanno resistito con controricorso.

7. Le ricorrenti con memoria depositata in prossimità dell’udienza hanno insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. e dell’art. 112 c.p.c.

Le ricorrenti ritengono che la sentenza non abbia tenuto conto del fatto che, ai sensi dell’art. 1104 c.c., comma 2, se il muro è in comune nessuno dei proprietari può aprire luci senza il consenso dell’altro.

A parere delle ricorrenti, pertanto, vi sarebbe stato un mancato esame e di conseguenza una omessa pronuncia in violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato sul primo motivo di appello con il quale avevano contestato il diritto della controparte all’apertura di luci sul muro divisorio comune senza il consenso dell’altro proprietario.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 346 c.p.c. dell’art. 112 c.p.c..

Secondo le ricorrenti la Corte d’Appello sarebbe andata oltre i limiti della domanda, in violazione dell’art. 346 c.p.c. e art. 112 c.p.c., in quanto l’aspetto relativo all’accordo transattivo intervenuto tra le parti sulla base del quale era consentito aprire le prese d’aria nel muro comune, non era stato proposto dalle controparti.

2.1 Il collegio ritiene logicamente prioritario l’esame del secondo motivo di ricorso che essendo infondato e costituendo un’autonoma ratio decidendi della sentenza rende inammissibile il primo per difetto di interesse.

La Corte d’Appello, infatti, ha fondato la sua decisione anche in virtù della transazione intercorsa tra le parti, interpretando la stessa in conformità con il giudice di primo grado e con il provvedimento emesso all’esito del procedimento d’urgenza, nel senso che l’accordo raggiunto tra le parti all’istallazione dell’impianto comprendeva anche le misure tecniche accessorie quale l’apertura delle bocchette di areazione oggetto delle doglianze della ricorrente.

Come evidenziato nel controricorso, erano stati gli stessi appellanti ad evocare la transazione nei propri motivi di appello così come la medesima transazione era stata richiamata nella comparsa di costituzione in appello.

In ogni caso giova ribadire che costituisce principio consolidato di questa Corte quello secondo il quale: “Il vizio di ultra o extra petizione ricorre quando il giudice pronuncia oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalle parti ovvero su questioni estranee all’oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato, fermo restando che egli è libero non solo di individuare l’esatta natura dell’azione e di porre a base della pronuncia adottata considerazioni di diritto diverse da quelle prospettate, ma di rilevare altresì, indipendentemente dall’iniziativa della parte convenuta, la mancanza degli elementi che caratterizzano l’efficacia costitutiva o estintiva di una data pretesa, in quanto ciò attiene all’obbligo inerente all’esatta applicazione della legge” (Sez. 3, Sent. n. 26999 del 2005, e Sez. 3, Sent. n. 15383 del 2010).

2.2 Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

Come si è detto, poichè la decisione si fondava su una duplice ratio decidendi, una volta rigettato il secondo motivo di ricorso il ricorrente non ha più interesse a sostenere il primo. Infatti, nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinchè si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione della sentenza, “in toto” o nel suo singolo capo, per tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro sorreggano. Ne consegue che è sufficiente che anche una sola delle dette ragioni non abbia formato oggetto di censura, ovvero, pur essendo stata impugnata, sia respinta, perchè il ricorso o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa, debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni poste a base della sentenza o del capo impugnato” (Sez. U, Sent. n. 16602 del 2005).

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3).

I ricorrenti contestano la violazione dell’art. 112 c..p.c. perchè le ricorrenti sono state condannate alle spese relative alla consulenza tecnica d’ufficio, nonostante l’elaborato peritale fosse sostanzialmente favorevole alle loro tesi, e, in ogni caso, anche la domanda relativa alle spese non era stata proposta dalle controparti.

3.1 il terzo motivo è infondato.

La sentenza ha fatto applicazione del principio della soccombenza che regola anche le spese della consulenza tecnica.

Infatti la liquidazione delle spese di consulenza tecnica d’ufficio, può tener conto dell’interesse processuale a chiedere l’atto solo in riferimento al momento anticipatorio ex. art. 90 c.p.c., e successivamente il relativo onere, è regolato dal principio della soccombenza nell’intera controversia, salva la compensazione di cui all’art. 92 c.p.c. (Sez. 1, Sent. n. 1753 del 1984).

Ne consegue che la Corte d’Appello, nella regolamentazione delle spese del giudizio, non è incorsa in alcuna violazione delle norme invocate dal ricorrente.

4. Il ricorso è rigettato.

5. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

6. La Corte – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – dà atto della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore di G.G. e G.P. delle spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 3500 più 200 per esborsi;

ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 10 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2019

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