Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20931 del 05/08/2019

Cassazione civile sez. II, 05/08/2019, (ud. 26/03/2019, dep. 05/08/2019), n.20931

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7372-2015 proposto da:

D.S.L., D.S.A., elettivamente domiciliati in

ROMA, V.LE ANGELICO 205, presso lo studio dell’avvocato MARIA BIANCA

PADRONI, rappresentati e difesi dall’avvocato NADIA STRAVATO;

– ricorrenti –

contro

F.E., F.L.R., F.L., T.V.,

T.G., T.S. R.L., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA A.BAIAMONTI 10 INT 19, presso lo studio

dell’avvocato SELENIA PARENTE, che li rappresenta e difende

unitamente agli avvocati GESUE’ CARDI, ALBERTO D’ALESSANDRO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 3450/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 22/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/03/2019 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A. e D.S.L., con atto di citazione notificato il 5 agosto 2002 per pubblici proclami, su autorizzazione del Presidente del Tribunale di Latina, ex art. 150 c.p.c., assumendo di aver posseduto animo domini, pacificamente ed ininterrottamente, per oltre 20 anni, il terreno distinto nel catasto del Comune di (OMISSIS), formalmente intestato ad To.An., To.Fi., To.Jo., To.Ma. e To.Vi., evocavano in giudizio i predetti intestatari chiedendo di essere dichiarati proprietari per intervenuta usucapione, pro quota indivisa del 50% ciascuno del menzionato bene.

2. Il Tribunale adito, con sentenza del 5 aprile 2004, in contumacia dei convenuti, accoglieva la domanda attrice, dichiarando l’intervenuta usucapione del diritto di comproprietà del terreno in oggetto.

3. Avverso detta decisione proponevano appello nel 2009 F.E., F.L.R., quali eredi testamentari di To.Ma.As. ed eredi ex lege di T.M.I. a sua volta erede di To.An., F.L. quale erede di To.An., T.V. e T.N., quali eredi ex lege della loro madre To.An..

Gli appellanti assumevano che la notifica per pubblici proclami dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado doveva ritenersi nulla, in difetto della ricorrenza dei presupposti previsti dalla legge, non essendo state espletate idonee ricerche in ordine all’identificazione dei convenuti, in particolare presso il Comune di Sperlonga.

Gli appellanti adducevano di aver avuto conoscenza della sentenza solo nel corso di un altro giudizio in cui gli appellati avevano spiegato intervento volontario, eccependo di essere divenuti proprietari del terreno per intervenuta usucapione in virtù della pronuncia oggetto del gravame. Sulla base di tale presupposto, pertanto, l’appello doveva ritenersi tempestivo dato che la conoscenza dell’esistenza della sentenza da parte degli appellanti era avvenuta il 12 marzo 2009 e la notifica dell’appello era avvenuta 12 giugno 2009.

4. La Corte d’Appello accoglieva l’impugnazione, dichiarava la nullità della sentenza e rimetteva la causa dinanzi al Tribunale di Latina con concessione alle parti del termine di legge per la riassunzione.

Il giudice dell’impugnazione rilevava che il provvedimento del Presidente del Tribunale di autorizzazione alla notifica per pubblici proclami ex art. 150 c.p.c. era stato emesso in difetto dei presupposti di legge, in particolare in relazione al rilevante numero di destinatari o alla difficoltà di identificazione dei medesimi.

Le ricerche dei convenuti, ai fini della loro esatta identificazione, erano state effettuate solo mediante indagini presso la conservatoria e non era stata effettuata alcuna indagine presso il Comune di Sperlonga con richiesta della certificazione della situazione storica di famiglia da cui sarebbe stato possibile venire a conoscenza della data e del luogo di nascita e residenza di ciascuno dei convenuti, acquisendo tutte le informazioni necessarie per notificare la citazione secondo le forme ordinarie.

Pertanto, quantomeno per To.An. e To.Ma.As., la notifica per pubblici proclami era affetta da nullità per carenza dei relativi presupposti di legge, sicchè, trattandosi di litisconsorzio necessario, era nullo l’intero giudizio.

5. D.S.A. e D.S.L. hanno proposto ricorso avverso la suddetta sentenza sulla base di 4 motivi di ricorso.

6. F.E., F.L.R., F.L., T.V., T.G., T.S. e R.L. hanno resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 331 c.p.c. e nullità della sentenza e del procedimento in relazione alla medesima norma (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 4).

A parere dei ricorrenti il giudice dell’appello, in applicazione dell’art. 331 c.p.c., doveva disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti delle parti convenute in primo grado To.Fi., To.Io. e To.Vi., comproprietari del terreno oggetto della domanda di usucapione e che non avevano partecipato al giudizio di appello, trattandosi di una causa inscindibile e dovendo la presenza delle parti nel giudizio di primo grado necessariamente persistere in sede di impugnazione.

1.1 Il primo motivo è infondato.

Secondo la tesi dei ricorrenti, la Corte d’Appello, pur in presenza di una violazione della vocatio in ius dei convenuti nel giudizio di primo grado, i quali non avevano ricevuto alcuna notifica della citazione, doveva integrare il contraddittorio nei confronti di alcuni dei comproprietari citati in primo grado che non avevano proposto appello e che dovevano ritenersi litisconsorti necessari.

La Corte d’Appello, invece, ha ritenuto implicitamente prioritario e logicamente precedente l’esame del motivo di appello relativo alla nullità della notifica della citazione nel giudizio in assenza dei presupposti di legge per procedere alla notifica mediante pubblici proclami.

L’accoglimento del suddetto motivo, infatti, comportava, la necessità di rimettere la causa al giudice di primo grado ex art. 354 c.p.c. Infatti, quando il giudice d’appello ravvisa la nullità della notificazione della citazione, deve dichiarare la nullità della sentenza impugnata ed ex art. 354 c.p.c., e rimettere la causa al primo giudice così da permettere la regolare instaurazione del contraddittorio con la controparte.

Sul punto, il collegio ritiene di dare continuità al seguente principio di diritto: “Nell’esaminare le varie questioni prospettate dalle parti, il giudice è tenuto a dare priorità solo a quelle che, per loro natura e contenuto – come le pregiudiziali e le preliminari – meritano logica e giuridica precedenza mentre, negli altri casi, seppure l’opportunità di un loro coordinamento logico può suggerire una considerazione prioritaria di talune questioni rispetto ad altre ed un particolare ordine di gradualità logica può apparire utile o apprezzabile, è tuttavia da escludere che il rispetto di un qualsiasi ordine prestabilito costituisca una condizione di legittimità della decisione, la quale può affrontare le varie questioni secondo la distribuzione ritenuta più opportuna (Sez. 2, Ord. n. 17909 del 2018).

Nella specie non vi era un rapporto di pregiudizialità tra la questione relativa alla nullità della citazione e l’integrazione del contraddittorio in appello, in quanto, come si è detto, l’accoglimento del primo motivo comportava necessariamente la rimessione del giudizio al giudice del primo grado con la necessità, in quella sede, di realizzare il contraddittorio pieno con tutti i comproprietari del terreno oggetto della domanda di usucapione.

In ogni caso, a prescindere dal rapporto di pregiudizialità logica, deve ribadirsi il principio più volte affermato da questa Corte secondo il quale: “in applicazione del principio processuale della “ragione più liquida”, desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente le altre, imponendosi, a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica e sostituisca il profilo dell’evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare ai sensi dell’art. 276 c.p.c.” (Sez. 5, Ord. n. 363 del 2019).

Infine, deve evidenziarsi che l’omessa integrazione del contraddittorio in appello segnalata col motivo comporterebbe la cassazione con rinvio alla Corte d’Appello per provvedervi (27616/2018; 20501/2015; 26156/2006 e altre). Quindi l’effetto non potrebbe mai essere quello – prospettato dai ricorrenti – di una immediata dichiarazione di nullità del giudizio di appello da parte della Corte di Cassazione.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato violazione e falsa applicazione dell’art. 327 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Premesso che la sentenza oggetto dell’appello era stata depositata il 5 aprile 2004 e che l’atto di impugnazione era stato notificato il 12 giugno 2009, lo stesso doveva ritenersi tardivo.

Infatti, E., L. e F.R., avrebbero potuto mediante un controllo presso la conservatoria, venire a conoscenza della sentenza appellata, anche perchè nel testamento di To.Ma.As., registrato il 2 luglio 2007, non si faceva riferimento al terreno in esame.

2.1 Il motivo è infondato.

Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità il contumace deve dare prova della nullità della citazione e dell’esistenza di circostanze di fatto positive dalle quali si possa desumere il difetto di anteriore conoscenza e la presa di conoscenza del processo in una certa data, prova che può essere fornita anche mediante presunzioni (Sez. 2, Sent. n. 8 del 2019).

Nel caso di specie l’appellante aveva provato di aver avuto conoscenza dell’esistenza del processo e della sentenza solo alla data del 12 marzo 2009, quando nel corso di altro giudizio era stata opposta l’esistenza della sentenza medesima.

D’altra parte, deve osservarsi che non ha alcun fondamento la tesi dei ricorrenti secondo cui i controricorrenti, illegittimamente pretermessi dal giudizio di primo grado per la nullità della notifica dell’atto di citazione, avrebbero potuto conoscere della sentenza mediante una ricerca presso la conservatoria.

Il contumace che dimostri di non avere avuto conoscenza del processo per nullità della notificazione della citazione, infatti, non ha alcun onere di attivarsi, dovendo, al più, fornire la prova del momento nel quale è venuto a conoscenza del processo o della sentenza. Inoltre spetta al giudice di merito l’indagine sulla conoscenza del processo (Cass. sez. L. n. 10038/2004, Cass. Sez. L. n. 8210/1995).

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 150 c.p.c. e dell’art. 50 disp. att. c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Il terreno oggetto della causa risultava intestato come da certificato storico per immobile dell’Agenzia del territorio, ufficio provinciale di Latina a più persone e all’esito delle indagini effettuate era stato impossibile acquisire le informazioni utili per individuare con precisione gli intestatari del terreno. Sicchè vista la difficoltà di identificare gli intestatari del terreno non era dato procedere alla notificazione dell’atto di citazione nei modi ordinari e, dunque, era stato legittimo il ricorso alla notifica per pubblici proclami ex art. 150 c.p.c., tanto che il pubblico ministero aveva espresso parere favorevole.

3.1 Il motivo è infondato.

Questa Corte con indirizzo consolidato ha affermato che: la mancanza dei presupposti di fatto in forza dei quali è autorizzata la notificazione per pubblici proclami, previsti dall’art. 150 c.p.c., sia sindacabile dal giudice del merito, con la conseguenza che il convenuto contumace in primo grado può denunziarne in sede di gravame l’effettiva insussistenza (Sez. 2, sent. n. 11299 del 2018). La verifica della ricorrenza di tali presupposti di fatto è un giudizio che spetta al giudice del merito e non è sindacabile in sede di legittimità ove congruamente motivato.

Nella specie la Corte d’Appello con ampia motivazione ha evidenziato che l’identificazione degli intestatari del terreno che i ricorrenti ritenevano di aver usucapito era possibile mediante un mero ricorso alla richiesta di un certificato storico di famiglia presso il Comune di nascita.

Dunque, non si è verificata alcuna violazione dell’art. 150 c.p.c., e il vizio prospettato dal ricorrente tende, inammissibilmente, ad una rivalutazione in fatto della effettiva sussistenza dei suddetti presupposti che legittimavano la notifica per pubblici proclami.

4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione alla mancata prova della proprietà del terreno oggetto di causa (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

La Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare un fatto decisivo per la formazione del giudizio, in quanto non era stato depositato alcun atto di proprietà che collegasse le controparti al terreno oggetto della causa e, dunque, i ricorrenti non erano legittimati ad agire in giudizio.

4.1 Il motivo è infondato.

La Corte di merito ha emesso una pronuncia di mero rito accertando l’insussistenza dei presupposti per la notificazione per pubblici proclami. Il tema della titolarità dal lato attivo e passivo della situazione giuridica fatta valere attiene al merito (Cass. Sez. Un. 2951/2016) e, quindi, formerà oggetto di dibattito nel giudizio che si dovrà riassumere.

5. Il ricorso è rigettato.

6. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

7. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 3500 più 200 per esborsi;

ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 26 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2019

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