Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20930 del 30/09/2020

Cassazione civile sez. I, 30/09/2020, (ud. 26/06/2020, dep. 30/09/2020), n.20930

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9207/2019 proposto da:

D.L., elettivamente domiciliato in Roma Via Paolo Mercuri, 8

presso lo studio dell’avvocato Ludovici Luigi che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositata il

04/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/06/2020 dal Consigliere Paola Vella.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Venezia ha respinto la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, ovvero della protezione sussidiaria o umanitaria, proposta dal cittadino senegalese D.L., nato in (OMISSIS), il quale, per quanto si legge nel decreto impugnato, ha “dedotto di aver lasciato il proprio Paese in quanto accusato di essere un ribelle e di aver provocato la morte di alcuni suoi colleghi di lavoro e teme in caso di ritorno nel proprio paese di essere ucciso dai familiari dei suddetti colleghi”.

2. Il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Il Ministero intimato ha prodotto un atto di costituzione senza svolgere difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Con il primo motivo si deducono la nullità del decreto ex art. 132 c.p.c., n. 4 e l’omesso esame di fatti decisivi in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), in quanto la motivazione sulla inattendibilità del ricorrente violerebbe il minimo costituzionale ex art. 111 Cost., comma 6, stante la sua apparenza e manifesta illogicità, mentre il tribunale avrebbe omesso di esaminare i fatti decisivi riferiti in sede di audizione giudiziale e l’effettivo contenuto della dichiarazione testimoniale prodotta a supporto della narrazione, trascurando altresì la sfiducia dedotta dal ricorrente nei confronti delle autorità locali e il timore di essere arrestato per l’ingiusta accusa subita, stanti le gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani praticate in Senegal dalle forze di polizia per estorcere confessioni.

3.1. Il motivo presenta profili di inammissibilità prima ancora che di infondatezza.

3.2. Occorre premettere che, dopo la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (ad opera del D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012), il sindacato di legittimità sulla motivazione deve intendersi ridotto – alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi – al “minimo costituzionale”, nel senso che “l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce – con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza” – nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”” (Cass. Sez. U, 8053/2014; cfr. Cass. Sez. U, 33017/2018).

3.3. Nel caso di specie, la motivazione del decreto impugnato supera ampiamente il livello minimo costituzionale di cui sopra, mentre le doglianze sono rivolte ad apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, risolvendosi in censure non rispettose dei canoni del novellato art. 360 c.p.c., n. 5), i quali postulano l’indicazione di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo per l’esito della controversia, di tal che il ricorrente ha l’onere di indicare – nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. Sez. U, 8053/2014, 8054/2014, 1241/2015; Cass. 19987/2017, 7472/2017, 27415/2018, 6383/2020, 6485/2020, 6735/2020).

3.4. In sostanza, il ricorrente contrappone le proprie valutazioni al giudizio di non credibilità formulato dal tribunale, in termini di superficialità, sommarietà, genericità e inverosimiglianza delle dichiarazioni rese anche all’esito della ulteriore audizione in sede giudiziale (v. pag. 7 del decreto); tuttavia, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, si tratta di valutazioni di merito non sindacabili in questa sede (ex multis, Cass. 5114/2020, 21142/2019, 3340/2019, 32064/2018, 30105/2018, 27503/2018, 16925/2018), anche perchè “l’intrinseca inattendibilità delle dichiarazioni del richiedente, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 attiene al giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità, ed osta al compimento di approfondimenti istruttori officiosi, cui il giudice di merito sarebbe tenuto in forza del dovere di cooperazione istruttoria, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori” (Cass. 33858/2019).

3.5. In ultima analisi, va richiamato il recente arresto con cui le Sezioni Unite di questa Corte hanno ribadito l’inammissibilità di un “ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito” (Cass. Sez. U, 34476/2019).

3.6. D’altro canto, lo stesso tribunale motiva espressamente sulla insussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, anche “a prescindere dalla credibilità del ricorrente”, in quanto, per un verso, “dalla narrazione dei fatti svolta dallo stesso non emerge l’esistenza di alcuna persecuzione rilevante” e, per altro verso, “non sono poi emersi fondati elementi dai quali si desuma l’impossibilità per il ricorrente di avvalersi, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 6 della protezione delle autorità competenti”. Al riguardo, il ricorrente si limita a dedurre genericamente di aver illustrato in ricorso che la propri sfiducia nelle autorità locali troverebbe riscontro in qualificate fonti internazionali, senza tuttavia indicarle; da parte sua, il tribunale ha invece espressamente le cd. COI (Country of Origin Information) dalle quali emerge che “il Senegal è una delle democrazie più stabili dell’Africa e ha sperimentato due passaggi pacifici di potere tra partiti rivali dal 2000. Il rispetto del governo per le libertà civili è migliorato nel tempo e il paese è conosciuto per i suoi media indipendenti e l’impegno pubblico per la libertà di espressione e di confronto” (pag. 10 del decreto).

4. Il secondo mezzo denunzia la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e art. 15, in quanto il tribunale avrebbe escluso la sussistenza in Senegal di un conflitto armato solo in forza del miglioramento della situazione negli ultimi quattro anni, senza verificare se esso sia soltanto temporaneo e precario.

4.1. La censura è inammissibile perchè del tutto generica, a fronte dell’ampia, puntuale e dettagliata motivazione del tribunale illustrata da pag. 10 a pag. 13 del decreto impugnato, sulla base di plurime fonti qualificate e aggiornate, essendosi in sostanza il ricorrente limitato a prospettare un dubbio privo di concreti riscontri informativi.

5. Il terzo motivo prospetta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per avere il tribunale erroneamente affermato che la non credibilità della narrazione del ricorrente consenta di negare anche la protezione umanitaria (Cass. 27438/2016) omettendo altresì di considerare la grave violazione dei diritti umani fondamentali derivante dalla situazione socio-politica del Senegal e, in particolare, della regione del Casamance.

5.1. La censura non merita accoglimento.

5.2. Va al riguardo precisato che il precedente richiamato nel decreto impugnato (Cass. 27438/2016) è stato effettivamente superato dal diverso orientamento per cui il giudizio di scarsa credibilità della narrazione del richiedente, relativo alla specifica situazione dedotta a sostegno della domanda di protezione internazionale, non può precludere la valutazione, da parte del giudice, delle diverse circostanze che rilevino ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria (vedi, per tutte: Cass. 10922/2019, 2960/2020, 2956/2020). Tuttavia, le ulteriori rationes decidendi adottate sul punto dal tribunale risultano in linea con la giurisprudenza di questa Corte che, ai fini della protezione umanitaria – astrattamente riconoscibile ratione temporis (Cass. Sez. U, 29459/2019) – richiede “il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale” (Cass. 23778/2019, 1040/2020), escludendo il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari solo “in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza” (Cass. Sez. U, nn. 29459, 29460, 29461 del 2019; Cass. 4455/2018, 630/2020). Pertanto, sarebbe stato necessario che le lamentate condizioni di vulnerabilità venissero individualizzate sulla persona del ricorrente; ma ciò non risulta avvenuto.

6. Al rigetto del ricorso non segue alcuna pronuncia sulle spese, in assenza di difese del Ministero intimato.

7. Sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, (cfr. Cass. Sez. U, 23535/2019 e 4315/2020), se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2020

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