Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20929 del 30/09/2020

Cassazione civile sez. I, 30/09/2020, (ud. 26/06/2020, dep. 30/09/2020), n.20929

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13800/2019 proposto da:

H.X., elettivamente domiciliato in Roma, piazza Unità, 13,

presso lo studio dell’avvocato Luisa Ranucci, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato Paolo Ferrati;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 30/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/06/2020 dal Cons. DE MARZO GIUSEPPE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto depositato il 30 marzo 2019, il Tribunale di Milano ha rigettato il ricorso proposto da X.H., cittadina della Repubblica popolare cinese, avverso il provvedimento negativo della commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

2. Per quanto ancora rileva, il Tribunale ha osservato: a) che non era necessario procedere a rinnovare il colloquio personale, essendo stati raccolti tutti gli elementi necessari ai fini della decisione; b) che, secondo la richiedente, ella sarebbe stata oggetto di persecuzioni legate alla scoperta, da parte delle forze dell’ordine, del fatto che anche suo marito si era convertito al culto Almighty God; c) che la vicenda narrata presentava numerosi aspetti di contraddittorietà ed era in parziale contrasto con le fonti disponibili sul Paese di origine; c) che vaghe erano state le spiegazioni quanto al fatto che ella, oltre che il marito, fosse ricercata dalla polizia e quanto alle circostanze nelle quali la sua fede sarebbe stata conosciuta da terzi; d) che, anche a voler superare i superiori dubbi di credibilità, andava rilevata la lacunosità e genericità del racconto, con riguardo al fatto che, unitamente al marito, fosse riuscita a conservare, nonostante la condizione di ricercata, il passaporto e ad usarlo per varcare indisturbata la frontiera; e) che, invero, il culto Almighty God è incluso dalle autorità cinesi tra quelli che fomentano il terrorismo e il separatismo, con la conseguenza che i suoi fedeli sono spesso oggetto di campagne di repressione; f) che la documentazione prodotta attestava la frequentazione della Church of Almighty God in Italia, ma nulla dimostrava, quanto alle vicende occorso in Cine e alle ragioni che avevano indotto la donna ad abbandonare il Paese di origine; g) che, in definitiva, non erano sussistenti i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria; h) che la ricorrente non aveva allegato, quanto alla protezione umanitaria, fatti ulteriori rispetto a quelli esaminati per le altre forme di protezione e, in particolare, nessuna circostanza idonea a rivelare un effettivo radicamento nel Paese ospitante.

3. Avverso tale decreto nell’interesse di H.X. è stato proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Il Ministero intimato ha depositato atto di costituzione, in vista della partecipazione all’eventuale udienza di discussione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 113 c.p.c., comma 1, art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 135 c.p.c., comma 4 e art. 737 c.p.c., in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 10, all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 specificando poi le censure in tre distinte articolazioni.

2.1. Con la prima si contesta il carattere apodittico delle argomentazioni che sorreggono la valutazione di non credibilità delle dichiarazioni della richiedente, soprattutto alla luce del fatto che, già dinanzi alla commissione, ella aveva manifestato la volontà di rilasciare ulteriori dichiarazioni, non riuscendovi per il diniego che le era stato opposto.

La doglianza è inammissibile, in quanto il Tribunale ha indicato con estrema chiarezza le ragioni della ritenuta incoerenza del racconto del richiedente, sottolineando come il documentato collegamento tra uffici di polizia e autorità preposte al rilascio del passaporto rendesse assolutamente inverosimile il rilascio di quest’ultimo documento, in favore di soggetto ricercato dalle forze dell’ordine per la sua adesione ad un credo cui si attribuiscono finalità terroristiche e separatistiche. In definitiva, la motivazione esibita è tutt’altro che apparente.

Nè la doglianza indica quali circostanze scardinerebbero la stessa esistenza di un siffatto apparato argomentativo.

2.2. Con la seconda articolazione si rileva che, ritenuta la contraddittorietà delle dichiarazioni della richiedente, il Tribunale avrebbe dovuto procedere all’audizione dello stesso.

La doglianza è inammissibile per la sua genericità, in quanto neppure indica quali chiarimenti la richiedente avrebbe potuto fornire per superare la stringente razionalità delle conclusioni sopra ricordate.

2.3. Con la terza articolazione si osserva che, attraverso l’audizione, il ricorrente avrebbe dissipato i dubbi del Tribunale, anche perchè, come da lui ben spiegato dinanzi alla commissione, i credenti non sono registrati dalla polizia.

La critica è inammissibile, in quanto, per un verso, conferma che l’audizione dinanzi al Tribunale non avrebbe introdotto elementi diversi da quelli già rappresentati dinanzi alla commissione e, per altro verso, non supera l’assoluta incomprensibilità di attività pervasive di controllo della polizia, quali descritte nel racconto, che tuttavia non sarebbero oggetto di registrazione e sarebbero incomprensibilmente prive di collegamento con la procedura di rilascio del passaporto.

Peraltro, i punti in fatto sui quali si concentra il ricorso (ossia le condotte che avevano reso nota alla polizia la sua qualità di credente e la mancata persecuzione della madre o della suocera) rappresentano elementi di mero contorno rispetto alla sopra descritta ratio decidendi.

3. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso non segue la condanna alle spese, dal momento che l’intimato Ministero non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 26 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2020

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