Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20928 del 30/09/2020

Cassazione civile sez. I, 30/09/2020, (ud. 26/06/2020, dep. 30/09/2020), n.20928

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13162/2019 proposto da:

J.S., rappresentato e difeso dall’Avv. Filippo Bersani;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno (OMISSIS), domiciliato ex lege in Roma, via

dei Portoghesi, 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 06/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/06/2020 dal Cons. GIUSEPPE DE MARZO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto depositato il 6 marzo 2019, il Tribunale di Milano ha rigettato il ricorso proposto da J.S., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento negativo della commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

2. Per quanto ancora rileva, il Tribunale ha osservato: a) che non era necessario procedere a rinnovare il colloquio con il richiedente, dal momento che la difesa, con il ricorso, dopo avere richiamato la vicenda negli esatti termini che si ricavavano dal verbale di audizione, non aveva introdotto ulteriori temi di indagine, nè allegato fatti nuovi che richiedessero specifici approfondimenti; b) che, secondo quanto riferito dal richiedente, egli era stato indotto a lasciare il Paese d’origine, a seguito della sua partecipazione, con una cugina più grande di lui, ad una manifestazione organizzata dal partito di opposizione, l’UDP, contro il presidente Ja.; c) che non appariva credibile che il ricorrente, mai identificato nel corso della manifestazione, al punto che, al termine, era tornato a casa, fosse stato ricercato circa due settimane dopo dalla polizia; d) che emergeva una sostanziale assenza di attività politica svolta in prima persona, tanto che nessun altro membro della famiglia, ad eccezione della cugina, fosse stato interessato da provvedimenti dell’autorità; e) che era documentato il ruolo apicale della cugina come oppositrice del regime di Ja.; f) che, a seguito delle elezioni del 2016, si era registrato un radicale cambiamento di regime, che aveva condotto all’insediamento di un successore, esponente di una coalizione di partiti dell’opposizione, tra i quali l’UDP; g) che, pertanto, anche a voler dar credito alle ragioni che avevano spinto il richiedente a lasciare il Gambia, non erano emerse circostanze che gli avrebbero impedito di tornare nel Paese, anche per effetto dell’aiuto concreto e della visibilità raggiunta dalla cugina; h) che il timore manifestato dal ricorrente, alla luce della dedotta attività dei sostenitori di Ja., finalizzata ad impedire che persone di etnia mandinga diventassero presidenti del Gambia, era privo di qualunque base, dal momento che non era ragionevole pensare che il primo potesse ragionevolmente aspirare a tale incarico; i) che, sollecitato il contraddittorio sul punto, non era stata fornito alcun sostegno alla allegazione che l’ex- presidente Ja. agisse o fosse in grado di agire come agente persecutore nei confronti di chi, come il richiedente, non avesse alcun passato di militante politico e, anzi, fosse legato ad una persona organica ad uno dei partiti di governo; I) che, del pari, difettavano i presupposti della invocata protezione sussidiaria, alla luce delle considerazioni sopra riassunte e del fatto che il richiedente non aveva indicato, tra le ragioni dell’espatrio, quella di sottrarsi ad una situazione di instabilità interna; m) che, quanto alla protezione umanitaria, il ricorrente risultava avere svolto le tipiche attività organizzate dai centri di accoglienza, inidonee ad esprimere un radicamento rilevante ai fini dell’art. 8 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; n) che il richiedente non aveva mai manifestato problemi di salute, aveva mantenuto costanti rapporti con la famiglia d’origine e aveva trascorso poco più di due anni in Italia, con la conseguenza che era in grado di affrontare senza problemi particolari il ricongiungimento con i familiari.

Il Tribunale, infine, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, comma 2, ha revocato l’ammissione al patrocinio dello Stato, provvisoriamente disposta dal Consiglio dell’ordine degli Avvocati, ritenendo che il ricorrente avesse agito con mala fede e colpa grave.

3. Avverso tale decreto nell’interesse del J. è stato proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. Il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso. E’ stata depositata memoria nell’interesse del ricorrente.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione dell’art. 3, commi 3, 4 e 5, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5, 6 e 7, denunciando la assenza di una valutazione completa, obiettiva e imparziale dei fatti di causa.

Si rileva: a) che, contrariamente a quanto ritenuto dal decreto impugnato, il richiedente aveva dedotto di essere stato riconosciuto dalle forze dell’ordine, in occasione della manifestazione della quale s’è detto; b) che il richiedente era stato minacciato, al pari dei suoi familiari, al fine di sapere da questi ultimi dove si fosse nascosto; c) che solo una imprecisa e sintetica riproduzione delle dichiarazioni poteva avere indotto a credere che il timore del richiedente nascesse dal fatto che gli si volesse impedire di diventare presidente, dal momento che, piuttosto, si voleva impedire la sua partecipazione alla vita politica, in quanto da quest’ultima sarebbe potuta scaturire l’elezione di un presidente della sua etnia; d) che, peraltro, le carenze del verbale riassuntivo avrebbero dovuto indurre il Tribunale a disporre l’invocata audizione del richiedente.

2. Con il secondo motivo, si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 14 e 19 per non avere il Tribunale approfondito e valutato la situazione di violenza presente nel Gambia e la mancanza di tutela giuridica.

Si aggiunge: a) che è impensabile che, in uno Stato nel quale la dittatura era rimasta salda sino al 2016, senza incontrare ostacoli, un drastico cambio di governo potesse automaticamente eliminare il sistema di potere esistente; b) che, proprio nel 2017, si era registrato, secondo quanto documentato da numerosi articoli di giornale, un picco migratorio provocato dalla instabilità politica; c) che era del tutto comprensibile il timore del ricorrente di ritornare nel suo Paese, alla luce dell’aggressione subita dai manifestanti nell’occasione sopra ricordata e dalle violenze successive; d) che il Tribunale non aveva adeguatamente valutato le condizioni soggettive del richiedente.

3. I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione.

Premesso che il decreto impugnato dà esplicitamente atto che il ricorso non aveva introdotto temi di indagine o allegato fatti nuovi, si osserva che la doglianza secondo la quale la verbalizzazione dinanzi alla commissione sarebbe stata incompleta e fuorviante risulta – in difetto di alcuna specificazione in senso contrario da parte del ricorrente introdurre una questione nuova e, pertanto, inammissibile in questa sede.

Può aggiungersi che il tema della assoluta estraneità del ricorrente ad aspirazioni presidenziali in Gambia rappresenta un profilo del tutto secondario nella valutazione espressa dal Tribunale. Quest’ultimo fonda la valutazione di insussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria su ben altre considerazioni, legate essenzialmente al carattere al più meramente soggettivo del timore del ricorrente, giacchè nessun altro dei componenti della sua famiglia era stato destinatario di alcun provvedimento dell’autorità, e comunque sulla inattualità della situazione, in ragione del fatto che la stessa cugina, che aveva assunto un ruolo di ben altro spessore nelle proteste contro il passato regime, poteva rappresentare anche per la visibilità raggiunta fonte di aiuto concreto.

Tali aspetti non sono contrastati se non con allegazioni generiche, che insistono nel riproporre la situazione di instabilità del Gambia, ma non riescono a far emergere alcuna individuale posizione di esposizione del ricorrente a pericolo.

Il richiamo alle forze del precedente presidente è del tutto generico e, oltre non contrastare la motivata conclusione del decreto, secondo il quale quest’ultimo non avrebbe alcuna idoneità a porsi come agente di persecuzione, neppure spiega perchè proprio contro il ricorrente dovrebbe essere indirizzata siffatta potenza.

4. Con il terzo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 rilevando: a) che il J. aveva subito forti minacce e aveva perso ogni fonte di ricchezza, a causa dell’aggressione dell’ex-governatore locale, responsabile della morte del padre; b) che egli era orfano, proveniva da una classe disagiata, aveva uno scarso livello di alfabetizzazione ed era nipote di un leader anti-dittatoriale; c) che la situazione del Gambia era tale da esporlo ad una condizione di specifica, estrema vulnerabilità in caso di ritorno; d) che, entrato in Italia da minorenne, era stato accolto in un centro di accoglienza, aveva partecipato ad un corso di lingua italiana, aveva intrapreso attività di volontariato e, infine, aveva trovato lavoro.

La doglianza è inammissibile.

Va premesso che, con riferimento alla protezione umanitaria, il mero riferimento all’esistenza di un’occupazione lavorativa in Italia, non è sufficiente a superare la valutazione comparativa posta in essere dal Tribunale all’interno delle coordinate confermate da Cass., Sez. Un., 13 novembre 2019, n. 29459).

In particolare, le Sezioni Unite hanno precisato che non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072). Si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria (Cass. 3 aprile 2019, n. 9304).

Ora, senza indugiare nel rilievo che alcuni dei dati fattuali asseritamente trascurati dal giudice di merito non appaiono ricollegabili alla concreta vicenda in esame (non s’intende su quale obiettivo fondamento processuale riposi l’asserzione che un ex-governatore locale avrebbe provocato la morte del madre e minacciato il ricorrente), resta assorbente la considerazione che i profili legati alla precedente attività dello J. sono superati dai rilievi dedicati ai precedenti motivi, mentre le critiche che insistono nel sottolineare l’attività svolta in Italia non fanno emergere alcuna violazione o falsa applicazione della legge, ma solo un diverso apprezzamento delle circostanze fattuali, inammissibile in questa sede.

5. Con il quarto motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, comma 2, in relazione alla disposta revoca del patrocinio a spese dello Stato.

La doglianza è inammissibile.

Come ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. 20 febbraio 2020, n. 4315), nel quadro di una ricostruzione del sistema che ha superato il vaglio di costituzionalità (Corte Cost. 24 aprile 2020, n. 80), in mancanza di espressa previsione normativa (come quella esistente per il processo penale), il decreto di revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato è impugnabile mediante l’opposizione di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170 avendo tale opposizione, nell’ambito del testo unico sulle spese di giustizia, natura di rimedio di carattere generale, esperibile contro tutti i decreti in materia di liquidazione e, quindi, anche contro il decreto del magistrato che la rifiuti.

Tale regime giuridico non muta qualora la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato sia stata irritualmente adottata dal giudice con la sentenza che definisce il giudizio, anzichè con separato decreto, in quanto l’irrituale collocazione del provvedimento di revoca in seno al provvedimento che decide la causa (che tuttavia non ne determina la nullità) non ne muta la natura. Pertanto, anche avverso la revoca dell’ammissione al patrocinio che sia stata disposta con la sentenza che ha deciso la causa va proposta separatamente l’opposizione ex art. 170 cit.; dovendosi invece escludere che la parte che voglia dolersi dell’ingiustizia del provvedimento di revoca possa impugnare la sentenza con i mezzi di impugnazione previsti per la stessa, con ciò coinvolgendo nel giudizio di impugnazione le altre parti della causa, estranee al rapporto giuridico instauratosi tra chi ha chiesto l’ammissione al patrocinio e il Ministero della Giustizia.

In sostanza, il provvedimento di revoca, comunque sia pronunciato (con separato decreto o con la sentenza che definisce il giudizio), va sempre considerato autonomo rispetto alla sentenza che definisce la causa ed è soggetto ad un autonomo regime di impugnazione.

6. In conseguenza il ricorso va dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato alla rifusione delle spese sostenute dall’amministrazione resistente, da liquidarsi in Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese di controparte, che liquida in Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 26 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2020

 

 

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